martedì 28 aprile 2020

Il mondo com'è (402)

astolfo
Amedeo Guillet – Diplomatico italiano, da ultimo. Si ricorda come ambasciatore, prima della pensione, in Marocco in una circostanza speciale, molto cruenta: l’eccidio ordinato dal generale Ufker, uomo di fiducia del re Hassan II, alla festa nei giardini del palazzo reale di Skhirat, il 10 luglio 1971, per i 42 anni del re, alla presenza di un migliaio di invitati, diplomatici e gente dello spettacolo, marocchini e francesi. Un centinaio di persone furono uccise a caso, e circa duecento ferite. L’ambasciatore Guillet, con la sua esperienza militare, si segnalò per avere messo in salvo buon numero di ospiti alla festa del re – la Germania lo premiò per aver salvato il proprio ambasciatore. Finirà subito dopo la carriera diplomatica in India.
L’ambasciatore era un generale, che s’era fatto tutte le guerre di Mussolini, e quando gli inglesi riconquistarono l’Africa Orientale continuò a combatterli. Da capo guerriglia, soprannominato Comandante Diavolo. Era stato anche l’organizzatore, per conto di Balbo, nel 1937 della cerimonia a Tripoli in cui Mussolini si proclamò “difensore dell’islam”.
Era un comandante in realtà, non un generale, un capo di combattenti sul campo, comandava a cavallo le Bande Amharà, composte di eritrei, etiopi e yemeniti, circa 1.700 uomini, con le quali molestava i britannici nell’Eritrea nord-occidentale. Riparò infine a Massaua, fingendosi un manovale arabo di origini yemenite, Ahmed Abdallah Al Redai. Finché non si mise in salvo nello Yemen, con un salvacondotto del governatore britannico all’Asmara. A Hodeida fu arrestato come sospetta spia britannica, ma riuscì a entrare nelle grazie del sovrano yemenita, e per un anno fu l’istruttore della sua cavalleria. Poco prima dell’8 settembre riuscì a tornare in Italia su una nave della Croce Rossa, fingendosi pazzo.
All’armistizio passò a Brindisi, fedele monarchico. E si occupò nel Sim, il servizio d’informazioni militari di Badoglio. Smobilitato dopo la guerra, mise a frutto la laurea in Scienze Politiche e nel 1947 vinse il concorso per la carriera diplomatica.
Amico di Montanelli dal tempo della guerra d’Africa, se ne parlò negli anni 1970, dopo il pensionamento nel 1975, come del Lawrence d’Arabia italiano. Ma il vero Lawrence, non quello del film, era corpulento, a cavallo soffriva. Guillet invece era un cavaliere – era anche stato designato a far parte della squadra italiana di equitazione all’Olimpiade di Berlino nel 1936, prima delle tante guerre cui poi partecipò. Aveva in effetti il cavallo bianco, e la barbiccia a cornice sulla bocca. Ma non gli istinti animaleschi, non che se ne sappia, né la scrittura – Lawrence è scrittore.

J’accuse - Zola, reduce da un lungo soggiorno a Roma alla quale dedicava un voluminoso romanzo,  non era interessato allo scandalo Dreyfus. Marcel Prevost, l’autore delle “Demi-vierges”, lo sintonizzò sull’affaire. Su cui Zola cominciò a produrre articoli e pamphlet, prima del celebre “J’accuse”.

Kalashnikov – L’ingegnere del mitra portatile senza rinculo, è morto a 94 anni, il 23 dicembre 2013. Un centinaio di milioni di fucili d’assalto che portano il suo nome erano già stati fabbricati, AK-47, Avtomat Kalashnikova, anno 1947. Arma tipicamente d’assalto, per terrorizzare, per uccidere indistintamente. Un’arma “robusta e senza fioriture”. Facile da copiare. Disponibile a 50 dollari.  “Mi piace la pesca”, diceva andando in pensione, “la caccia e le donne. Così, in quest’ordine”.
Era nato nel 1919 a Kuria, nell’Altai, da piccoli proprietari terrieri, poi espropriati dalla rivoluzione e mandati in Siberia. Crebbe scrivendo poesie. Si allontanò dalla Siberia per arruolarsi contro Hitler. Ferito, in ospedale cominciò a disegnare e riprese a scrivere poesie. Partecipò a due concorsi, ne vinse uno. Ma restò nell’esercito: da sergente maggiore arriverà a generale. 

Katyn – La località oggi bielorussa è famosa per il massacro degli ufficiali e civili polacchi prigionieri di guerra che per un mese e mezzo, da 3 aprile 1940, vi operò la polizia politica sovietica, allora Nkvd. Un numero minimo di 21.857 persone ne furono vittime, di cui circa ottomila ufficiali.
Il massacro fu noto all’epoca, i giornali di Mussolini avevano pure le foto. Ezra Pound si arruolò per una commissione d’inchiesta internazionale della Croce Rossa. Katyn era luogo di visite organizzate per gli ospiti del Reich nell’estate del 1943. Ma fu cancellato dal diniego di Stalin. E tale restò alla vittoria, malgrado la guerra fredda – una guerra dei furbi? Il generale Wladyslaw Sikorski, capo del governo polacco in esilio a Londra, che ne aveva chiesto conto a Stalin nell’aprile del 1943, quando l’eccidio dei 22 mila fu scoperto dai tedeschi, s’inabissò nell’Atlantico con l’aereo che lo riportava a Londra da Lisbona. Dove i servizi segreti britannici erano diretti da Kim Philby, lo spione venduto all’Urss.
A Norimberga Stalin poté portare il massacro a carico dei tedeschi. E a lungo dopo Mosca manterrà questa posizione. Fino al 1990, quando riconobbe che il massacro era opera di Stalin.

Rommel - C’era un Rommel pure nella disprezzata Polonia, pure lui generale, Juliusz. Un generale scrittore, anche di romanzi. Fu uno degli organizzatori della Resistenza polacca dopo l’invasione tedesca. Era diventato famoso nella Grande Guerra come quello che aveva la più grande battaglia di cavalleria del Novecento. Anche lui al momento decisivo, come il più celebre omonimo tedesco,  staccato dalla sua armata, con la quale doveva difendere nel 1939 il confine con la Germania. Ma non si uccise. Negoziò la resa e si fece la guerra da prigioniero. Alla fine della guerra, costretto alle dimissioni per la mancata difesa, si fece comunista: si schierò col nuovo regime polacco imposto da Stalin. Continuando a scrivere romanzi.

Sacco – Per antonomasia è quello di Roma, 1527, a opera di bande di lanzichenecchi: quattro-cinque mesi di saccheggi e distruzioni, di vite umane e di cose, intervallati da un’estate di peste. Ma almeno altri due si registrano negli annali.
Il sacco di Brescia fu il primo, 19-24 febbraio 1512, a opera sempre dei lanzichnecchi, ma per contro della Francia, col concorso dei guasconi: la caccia all’uomo, per cinque giorni senza sosta, col massacro di migliaia di persone. Anche dentro le chiese, dove la popolazione si era rifugiata, fatto allora estremamente scandaloso, perché non era ancora intervenuto lo scisma di Lutero: il Duomo, Santa Maria delle Consolazioni, San Desiderio, sant’Eufemia della Fonte. Il capo della resistenza all’invasione francese, Luigi Avogadro, fu decapitato in piazza della Loggia e squartato, gli arti poi appesi a patiboli in vari luoghi della città. Per evitare lo stesso trattamento, Bergamo pagò 60 mila ducati.
Il sacco di Mantova, 18 luglio 1630, fu opera dei lanzichenecchi per conto dell’imperatore asburgico Ferdinando II: la popolazione fu decimata, il palazzo Ducale spogliato e incendiato, dissolta la biblioteca, una delle più ricche d’Italia. Ferdinando II se ne voleva signore per avere sposato nel 1622 Eleonora Gonzaga. Che però non aveva diritto alla successione.
In tutti i “scchi” la popolazione subì anche la peste.

Trieste – Si rappresentava, nei Sei-Settecento, in tutte le vedute, con un turco inturbantato. Come si vede nei quadri di Venezia dei secoli precedenti, i secoli d’oro della Serenissima. Come a dirsi porta dell’Oriente. Mirando, fin dal primo Settecento, borgo allora insignificante, a proporsi luogo di scambio dell’impero asburgico con il Mediterraneo orientale.
Fu il vincitore dei Turchi a Vienna, Eugenio di Savoia, a consigliare nel 1717 all’imperatore Carlo VI la concessione dello statuto di porto franco a Trieste.

astolfo@antiit.eu

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