Riproposto su Rai 3 come omaggio a Bergamo, ora
al centro dell’epidemia, colpisce perché è un film religioso. Tanto più diverso,
attraente oggi, nel mondo senza più fede. Di gente pia, il sabato in modeste
riunioni da ballo, o all’ascolto di narrazioni, epiche, curiose, le altre lunghe notti tra
vespri, rosari, giaculatorie, invocazioni,
voti, o preci speciali in presenza del folle, l’uomo più caro a Dio. La vita
quotidiana è povera, ma fiduciosa, e senza fatica.
In una cascina isolata un mondo pieno. Di
pudori estremi, quasi all’afasia, essendo le cose condivise, passioni e doveri.
Di nascite come eventi naturali. Di bambini e bambine bradi ma accuditi, in ogni
aspetto. Comprese le più grandi che hanno un fratellino sempre a carico, che si
portano in collo. Lo stesso rito è semplice: un voto, un sortilegio, un
consiglio, i sacramenti, il sacerdote vive, parla, indirizza come tutti, uno
dei tanti. Solo la morte e la malattia, degli uomini come delle bestie,
suscitano apprensione.
L’esemplificazione dal vivo di quella vita
semplice cui il romanzo lombardo allude ma tralasciandone la rappresentazione –
Manzoni non ne aveva esperienza. Ma, come nel romanzo, organizzato dalla diocesi
borromeiana, di san Carlo prima del cardinale. Del “lavorerio” ordinato. In cui
l’ordine non è servitù – il padrone, pur presente, è remoto. Della dignità di
ognuno. Della vita, comunqne, come una festa
Ermanno Olmi, L’albero degli zoccoli
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