domenica 12 aprile 2020

La vita nella fede

Tre ore di emozioni, si direbbe, sul nulla: la vita di tre o quattro famiglie di contadini in una cascina bergamasca a fine Ottocento. Dove cambiano solo le stagioni, tra nascite, giaculatorie, e fatica. Un capolavoro di immagini, col sottofondo di un dialetto addolcito, e del latinorum delle preghiere – comprensibile (e compreso). Un monumento, storico.
Riproposto su Rai 3 come omaggio a Bergamo, ora al centro dell’epidemia, colpisce perché è un film religioso. Tanto più diverso, attraente oggi, nel mondo senza più fede. Di gente pia, il sabato in modeste riunioni da ballo, o all’ascolto di narrazioni,  epiche, curiose, le altre lunghe notti tra vespri, rosari, giaculatorie, invocazioni, voti, o preci speciali in presenza del folle, l’uomo più caro a Dio. La vita quotidiana è povera, ma fiduciosa, e senza fatica.
In una cascina isolata un mondo pieno. Di pudori estremi, quasi all’afasia, essendo le cose condivise, passioni e doveri. Di nascite come eventi naturali. Di bambini e bambine bradi ma accuditi, in ogni aspetto. Comprese le più grandi che hanno un fratellino sempre a carico, che si portano in collo. Lo stesso rito è semplice: un voto, un sortilegio, un consiglio, i sacramenti, il sacerdote vive, parla, indirizza come tutti, uno dei tanti. Solo la morte e la malattia, degli uomini come delle bestie, suscitano apprensione.
L’esemplificazione dal vivo di quella vita semplice cui il romanzo lombardo allude ma tralasciandone la rappresentazione – Manzoni non ne aveva esperienza. Ma, come nel romanzo, organizzato dalla diocesi borromeiana, di san Carlo prima del cardinale. Del “lavorerio” ordinato. In cui l’ordine non è servitù – il padrone, pur presente, è remoto. Della dignità di ognuno. Della vita, comunqne, come una festa
Ermanno Olmi, L’albero degli zoccoli

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