“Alcuni anni
fa, accusato di mancanze morali, un prete veniva trasportato su un carro per le
vie di Napoli seguito da una folla imprecante. Ma ecco che a un angolo comparve
un corteo nuziale. Il prete si levò, impartì la benedizione e tutti quelli che
erano dietro il carro caddero in ginocchio [...]. Dovesse (il cattolicesimo,
n.d.r.) scomparire dalla faccia della terra, l’ultimo posto probabilmente non
sarebbe Roma, bensì Napoli”. Walter Benjamin
è divertito da Napoli, che scopre con la sua fiamma Asja Lacis, la
rivoluzionaria lettone da poco conosciuta a Capri, e ne scrive sulla “Frankfurter
Allgemeine Zeitung”, una mezza dozzina di articoli – il primo, “Napoli”, a
firma congiunta, a ferragosto del 1925.
In questa e nelle altre corrispondenze-elzeviro,
tra il 1925 e il 1930, approssima per la prima volta l’“immagine” di una città.
Sono scritti precedenti ai ricordi d’infanzia su Berlino, e ai Passagenwerk su Parigi. Abortito il tentativo,
successivo a Napoli, di ricreare Mosca, sempre con Asja Lacis al seguito - più
castrante che ispiratrice. Della città come luogo teorico, esercitazione teorica.
Fratta in episodi e scene brevi e brevissime, in immagini, come da montaggio al cinema. Un’esercitazione
da effettuarsi in una città straniera, e possibilmente estranea, nella quale distanziarsi
– o perdersi. Anche labirintica, che per Benjamin è la modernità in forma
metropolitana. Oggettivando al possibile l’immagine.
Di Napoli
Benjamin celebra “la ricca barbarie” in senso positivo, di un mondo che
perpetua un altro tempo, della storia in continuo. A partire dalla mescolanza sociale
– Napoli non camuffa i suoi poveri: “Il diciannovesimo secolo ha trasformato
l’ordine medievale e naturale a favore delle condizioni di vita dei poveri, e
abitazioni e abbigliamenti sono stati resi obbligatori a spese del cibo, qui
queste convenzioni sono state rifiutate…. Qui la miseria porta verso il basso,
così come duemila anni fa portava nelle cripte: ancora oggi la vita verso le
catacombe porta attraverso un “giardino delle sofferenze”, ancora oggi sono i
diseredati a fare da guida al suo interno”.
Molto
Benjamin è condizionato a Napoli dalla compagna, legnosa pasionaria. Ma vi avvia
quella ricerca sui “misteri delle città”, frammentaria e insistita,
inesauribile, che culminerà a Parigi,
nei “Passaggi” e le altre innumerevoli prose. La permeabilità fra interno ed
esterno. Fra sopra e sotto. Con la differenza fondamentale che il sotto di
Parigi ne è il mistero, mentre quello di Napoli è vita, festa, fantasmagoria.
Quello che
era e sarà il folklore di Napoli Benjamin legge come dato significativo: “La
vita privata del napoletano è lo sbocco bizzarro di una vita pubblica spinta
all’eccesso. Infatti non è tra le mura domestiche, tra moglie e bambini, che
essa si sviluppa, bensì nella devozione o nella disperazione”. Di nuovo: “La
vita privata è frammentaria, porosa e discontinua... Le azioni e i
comportamenti privati sono inondati da flussi di vita comunitaria. L’esistere,
che per l’europeo del Nord rappresenta la più privata delle faccende, è qui ….
una questione collettiva. Così la casa non è tanto il rifugio in cui gli uomini
si ritirano, quanto l’inesauribile serbatoio da cui escono a fiotti”, eccetera.
Il concetto
di “porosità” Benjamin riprende per l’assetto materiale della città, degli
strati tufacei nei quali è scavata – un concetto che ha fatto e fa tuttora il
nucleo del pensiero architettonico e urbanistico di e su Napoli. La città “è
grigia, di un rosso grigio o ocra, di un bianco grigio. È assolutamente
grigia in confronto al cielo e al mare”. Si sviluppa naturalmente verso l’interno,
scavando nella roccia, creando sotterranei viventi e sempre abitati: “L’architettura
è porosa quanto questa pietra (il tufo. n.d.r.)... Si evita ciò che è
definitivo, formato. Nessuna situazione appare come essa è, pensata per sempre,
nessuna forma dichiara il suo «così e non diversamente»”.
Napoli usa riscoprirsi con stranieri illustri,
Benjamin dopo Adorno. Che però ne capiscono poco, di sfuggita, non ben sintonizzati
– non a loro agio. Il concetto di porosità oggi fa perfino sorridere, tanto
pare remoto nei modi di vita metropolitani: rapidi, nevrotici, introversi e perfino
ciechi – fuori dal colore, certo, dal folklore.
Walter Benjamin, Napoli porosa, Dante & Descartes, pp. 80 € 7
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