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sabato 4 aprile 2020

Quando la modernità era porosa, incomprimbile


“Alcuni anni fa, accusato di mancanze morali, un prete veniva trasportato su un carro per le vie di Napoli seguito da una folla imprecante. Ma ecco che a un angolo comparve un corteo nuziale. Il prete si levò, impartì la benedizione e tutti quelli che erano dietro il carro caddero in ginocchio [...]. Dovesse (il cattolicesimo, n.d.r.) scomparire dalla faccia della terra, l’ultimo posto probabilmente non sarebbe Roma, bensì Napoli”. Walter Benjamin è divertito da Napoli, che scopre con la sua fiamma Asja Lacis, la rivoluzionaria lettone da poco conosciuta a Capri, e ne scrive sulla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, una mezza dozzina di articoli – il primo, “Napoli”, a firma congiunta, a ferragosto del 1925.
In questa e nelle altre corrispondenze-elzeviro, tra il 1925 e il 1930, approssima per la prima volta l’“immagine” di una città. Sono scritti precedenti ai ricordi d’infanzia su Berlino, e ai Passagenwerk su Parigi. Abortito il tentativo, successivo a Napoli, di ricreare Mosca, sempre con Asja Lacis al seguito - più castrante che ispiratrice. Della città come luogo teorico, esercitazione teorica. Fratta in episodi e scene brevi e brevissime, in immagini, come da montaggio al cinema. Un’esercitazione da effettuarsi in una città straniera, e possibilmente estranea, nella quale distanziarsi – o perdersi. Anche labirintica, che per Benjamin è la modernità in forma metropolitana. Oggettivando al possibile l’immagine.
Di Napoli Benjamin celebra “la ricca barbarie” in senso positivo, di un mondo che perpetua un altro tempo, della storia in continuo. A partire dalla mescolanza sociale – Napoli non camuffa i suoi poveri: “Il diciannovesimo secolo ha trasformato l’ordine medievale e naturale a favore delle condizioni di vita dei poveri, e abitazioni e abbigliamenti sono stati resi obbligatori a spese del cibo, qui queste convenzioni sono state rifiutate…. Qui la miseria porta verso il basso, così come duemila anni fa portava nelle cripte: ancora oggi la vita verso le catacombe porta attraverso un “giardino delle sofferenze”, ancora oggi sono i diseredati a fare da guida al suo interno”.  
Molto Benjamin è condizionato a Napoli dalla compagna, legnosa pasionaria. Ma vi avvia quella ricerca sui “misteri delle città”, frammentaria e insistita, inesauribile,  che culminerà a Parigi, nei “Passaggi” e le altre innumerevoli prose. La permeabilità fra interno ed esterno. Fra sopra e sotto. Con la differenza fondamentale che il sotto di Parigi ne è il mistero, mentre quello di Napoli è vita, festa, fantasmagoria.
Quello che era e sarà il folklore di Napoli Benjamin legge come dato significativo: “La vita privata del napoletano è lo sbocco bizzarro di una vita pubblica spinta all’eccesso. Infatti non è tra le mura domestiche, tra moglie e bambini, che essa si sviluppa, bensì nella devozione o nella disperazione”. Di nuovo: “La vita privata è frammentaria, porosa e discontinua... Le azioni e i comportamenti privati sono inondati da flussi di vita comunitaria. L’esistere, che per l’europeo del Nord rappresenta la più privata delle faccende, è qui …. una questione collettiva. Così la casa non è tanto il rifugio in cui gli uomini si ritirano, quanto l’inesauribile serbatoio da cui escono a fiotti”, eccetera.
Il concetto di “porosità” Benjamin riprende per l’assetto materiale della città, degli strati tufacei nei quali è scavata – un concetto che ha fatto e fa tuttora il nucleo del pensiero architettonico e urbanistico di e su Napoli. La città “è grigia, di un rosso grigio o ocra, di un bianco grigio. È assolutamente grigia in confronto al cielo e al mare”. Si sviluppa naturalmente verso l’interno, scavando nella roccia, creando sotterranei viventi e sempre abitati: “L’architettura è porosa quanto questa pietra (il tufo. n.d.r.)... Si evita ciò che è definitivo, formato. Nessuna situazione appare come essa è, pensata per sempre, nessuna forma dichiara il suo «così e non diversamente»”.
Napoli usa riscoprirsi con stranieri illustri, Benjamin dopo Adorno. Che però ne capiscono poco, di sfuggita, non ben sintonizzati – non a loro agio. Il concetto di porosità oggi fa perfino sorridere, tanto pare remoto nei modi di vita metropolitani: rapidi, nevrotici, introversi e perfino ciechi – fuori dal colore, certo, dal folklore.
Walter Benjamin, Napoli porosa, Dante & Descartes, pp. 80 € 7

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