Filosofia
–
Una breve veridica storia è quella di Holt,
“Perché il mondo esiste?”, 312: “Accettata l’ipotesi (Cartesio, n.d.r.) che l’io crei se stesso, il rischio è di
scivolare giù per una china trascendentale. E di trovare, giunti giù, una curiosa
forma di idealismo convinta che l’io,
creando se stesso, crei l’intera realtà.
Può sembra e assurdo ma è un concetto che affiora speso nella filosofia europea,
sin dai tempi di Kant. In versioni diverse, l’hanno fatto proprio Hegel, Fichte
e Schelling nel XIX secolo, Husserl e Sartre nel Novecento” – non considerando,
evidentemente, il “farraginoso Heidegger”.
Che
altro può indagare la filosofia se la materia resta ignota alla scienza?
Usa
dire la “filosofia europea”. Come se ce ne fosse un’altra. La filosofia, intesa
metafisica, è europea.
Hegel – “Mi serviva un
giorno per leggere dieci, al massimo quindici, pagine di Hegel. E alla fine della
giornata ero esausto”. È il ricordo di Giovanni Sartori in “Caso, fortuna e
ostinazione” (ora in “Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali”),
dell’anno 1943-44 in cui, nella sua città, Firenze, occupata dai tedeschi,
dovette nascondersi per sottrarsi alla leva della repubblica di Salò. Ma per
questo - “si ricordi che, almeno in
teoria, riuscivo a capire Hegel” – alla ripresa degli studi fu “considerato enfant prodige”, e nominato professore
di Filosofia.
Heidegger – Una lettera ora
resa pubblica del 2011 a Emmanuel Faye di Gregory Fried delinea una incontrovertibile
propensione nazista (razzista) di Heidegger, anche prima e dopo Hitler. Attraverso
la corrispondenza, dai primi anni 1910, contro la “giudaizzazione” dell’università
e della cultura tedesche. E con la ricostruzione, semplice, della
riabilitazione da Heidegger tentata e riuscita nel 1946-47. Fried è ri-traduttore
di Heidegger in America (insieme con Richard Polt e Tom Rockmore), e autore nel
2004 di un “Heidegger’s Polemos”, uno studio sul concetto di Auseinanderersetzung, di confronto frontale
con tutta la tradizione, Nietzsche compreso –Nietzsche compreso non per altro,
perché era cosmopolita.
Fried
si rifà allo stesso Faye, e a Rockmore come prefatore di Faye nella traduzione
americana, per chiarire l’ambiguità di Heidegger dopo la guerra. Puntò sulla
Francia, di cui non conosceva né apprezzava la filosofia, nemmeno Cartesio, e in
teoria avrebbe dovuto essere la grande nemica di ogni cosa tedesca, perché la
Francia aveva avuto il regime di Vichy, quattro lunghi anni di collaborazionismo,
da giugno 1940 a tutto agosto 1944, e perché la Francia era la potenza Alleata
occupante della regione di Friburgo, e quindi quella che avrebbe deciso del suo
destino accademico – “l’abilitazione a insegnare e perfino la sua biblioteca
privata erano a rischio”. Si indirizzò prima a Sartre, invitandolo a
Todtnauberg. Quando Sartre rifiutò, si rivolse a Beaufret, uno studioso allora sconosciuto,
ma non a lui: lo invitò a Todtnauberg, e gli inviò nel 1947 la “Lettera sull’umanismo”,
con la quale, “sbudellando Sartre”, si impose in Francia. Rockmore prova l’antisemitismo
di Beaufret, che sarà uno dei revisionisti dell’Olocausto: Faurisson, il negatore per antonomasia dello sterminio degli ebrei, è stato allievo
e poi collega di Beaufret, che lo sostenne sempre pubblicamente.
La
ricostruzione dell’Operazione Riabilitazione di Heidegger si può consolidare
con tre particolari che Fried omette. L’invito esteso a Celan, sempre a
Todtnauberg. Quello propiziato, via Beaufret, da René Char in Provenza. E l’operazione
simpatia felicemente avviata nel 1950, insieme con la moglie Elfride, nei
confronti di Hannah Arendt, l’amante ripudiata di venti anni prima, quando lei nel
1950 ebbe l’occasione di tornare in Germania.
Idiosincrasia – “L’idiosis
dei sentimenti e delle vite”, che Platone biasimava, come “il più pericoloso
male dello Stato”, Federico Condello propone di “renderlo
con « individualizzazione» o « privatizzazione» (“ma potremmo renderlo anche
con «idiozia», come l’etimo suggerisce”). Un aggiornamento del classicismo al
mondo virtuale digitale: come un movimento retrattile, in se stessi, nel
mentre che ci si immerge nel mondo, nella rete, nei social. La socialità,
l’impegno pubblico che Platone avocava, non è stare nel mezzo, nella folla, ma
riflettere.
Ma
resta curiosa l’assunzione della “idiosis” nell’idiosincrasia, il cui
significato corrente (“incompatibilità, avversione, ripugnanza verso oggetti,
situazioni o anche persone”) è l’opposto di quello etimologico. Le etimologie
sono complicate (controvertibili). Ma anche il classico.
Miscredenza - I miscredenti
e noi, in Knut Hamsun, “Per i sentieri dove cresce l’erba”, 109: “I miscredenti
affermano che è impossibile per loro condividere la nostra fede. Dicono che
solo la nostra superstizione, o più esplicitamente la nostra stupidità, ci
permettono di credere, e citano una serie di punti della Bibbia che la loro ragione
non può accettare. Eppure, amici miei, tra di noi ci sono individui che pur
condividendo la nostra fede non possono davvero essere tacciati di stupidità”.
Morte - L’anima muore
più volte. Non si può mai capire la morte. Conrad Lorenz, in una intervista nel
1989: “Mio padre diceva sempre che l’anima è molto più mortale del corpo. Non
si potrà mai capire la morte”.
“Timor
mortis conturbat me” è lamento medievale.
Opinione
pubblica –
John Dewey, “The Public and its problems”, 1927, avviava quella riflessione cui
concetti basilari (ovvi) della politica che poi intrigherà Sartori (“Democrazia
e definizioni”), ponendo il problema di cosa intendiamo quando parliamo di
“pubblico”, “Stato”, “governo”, “democrazia”. Dal punto di vista deweyano, del
pragmatismo, dell’effettualità delle cosa. Andando al fondo dei “fatti”, al
significato dei fatti.
La
maggiore disfunzione rilevava nell’interazione fra l’individuo, il soggetto
dell’azione, mentale e morale, e le influenze sociali di ogni genere entro cui
l’individuo opera – ed è operato. Di cui l’informazione è solo una parte.
Carlyle,
antidemocratico, si arrendeva alla stampa: “Inventa la stampa e la democrazia è
inevitabile”. In senso deteriore, a suo avviso.
Manzoni,
della peste, notava: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura
del senso comune”.
Scienza – Julian Huxley,
“Essays of a Humanist”, 1960, p. 107-8: “Quante vote ci hanno raccontato che la
luce abbagliante della scienza abolisce il mistero in favore della logica e della
ragione.. Non è affatto vero. La scienza ha rimosso il velo di mistero da tanti
fenomeni, a beneficio della razza umana: ma ci pone di fronte a un mistero fondamentale
e universale, quello dell’esistenza… Perché esiste il mondo? Perché la materia
del mondo è tale? Perché possiede caratteristiche mentali o soggettive oltre a
quelle materiali e oggettive?”
zeulig@antiit.eu
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