Capitalismo – Certamente è
cristiano, ma prevalentemente – più compiutamente – cattolico. La Controriforma
fu più attiva e conseguente nella scena capitalistica: nella funzione dell
opere pubbliche, nelle infrastrutture della grande proprietà terriera di parrocchie,
vescovadi, monasteri, del lusso, nelle arti (urbanistica, architettura,
pittura, scultura, musica) e le cerimonie, nella cura universale della diocesi
borromeiana, nella stessa deriva gesuitica del potere, anche civile.
Delusion – Significa il
contrario di ciò che dice: è illusione, tanto quanto “illusion”. Un’assunzione
sbagliata del latino nell’inglese? No, il radicale de- ha lo stesso senso nel
Cambridge English Dictionary che nel Battaglia e nella Treccani, il de- latino:
è opposto, contrario, opporre, contrariare, rimuover e, ridurre. L’inglese non
è una lingua precisa, semanticamente significativa – è semplice, e allusiva.
Globalizzazione – Ha dato accesso
al benessere al Terzo mondo, ai due terzi o quattro quinti dell’umanità. Una
rivoluzione storica. Un esito umanitario, ma indiretto. Si è imposta dapprima
per un fine ristretto: rompere le rigidità, o difese, sindacali del lavoro, e
farne una merce al minor costo. Con la delocalizzazione dei centri di
produzione, o anche senza, con la concorrenza a distanza, a partire dalle merci
di tecnologia meno complessa. Successivamente, nel primo Millennio, col coupling, la programmazione mondiale
delle merci, oltre che del lavoro: il prodotto si concepisce e si organizza in
un punto, si produce, assembla e confeziona in un altro (ma le tre funzioni
possono anche serre disgiunte), si vende in altri, in una girandola logistica complessa
e anche geniale ma consumatrice di energie psicofisiche, e di qualità
ambientale, della terra, dell’aria, delle acque.
Il
tutto – delocalizzazione e coupling -
nel quadro di una superiore, illimitata, ottimizzazione del capitale: il
disegno cui tutta la globalizzazione è indirizzata è la proliferazione del
capitale. In tutte le forme e gli interstizi. Senza regole né salvaguardie.
L’esito,
finanziario prima che sociale, è una progressiva, rapidamente accentuata,
astrazione del capitale dalle forme produttive, di merci e tecnologie. Le quali
non sono più protagoniste delle economie, ma ancillari – l’effetto si vede
anche nei ritardi con cui l’industria farmaceutica affronta le pandemie di
questo primo Millennio (ma già a partire dall’Aids), con farmaci e vaccini
specifici. L’effetto maggiore è però sulla ricchezza: la globalizzazione l’ha
incrementata, in teoria avrebbe creato l’abbondanza per tutti, ma l’ha anche
spostata dalle aree già più avanzate o affluenti alle nuove. Ha creato più
ricchezza, ma non a vantaggio di tutti: con svantaggi anche rilevanti nell’area
euro-americana già più affluente. Il monte salari in quest’area si è compresso
– non segue l’evoluzione della ricchezza mondiale. Avendo abbandonato del tutto
la difesa sindacale – ovunque il mercato del lavoro è liberalizzato, cioè senza
difese, se non l’assistenza pubblica. E seppure si è giovata dell’“effetto reddito”
(l’aumento del reddito “reale” per effetto della riduzione di prezzo di molti
beni, grazie alla produzione globale), una grande area del mondo, quella più
affluente, grosso modo l’Europa e il Nord America, si impoverisce relativamente.
I suoi redditi non aumentano cioè nella stessa misura di quelli mondiali, e
probabilmente, se conteggiati come capacità di spesa o tenore di vita, tenendo
conto delle ragioni di scambio, si comparano già sfavorevolmente con quelli
asiatici, che solo trent’anni fa si potevano dire inesistenti (erano fuori mercato).
Morte – Il Todtrieb di Freud, il trip ferale di “Al di là del principio
di piacere”, l’istinto o pulsione di
morte come opposto al precedente istinto di vita del “Futuro di un’illusione”, è
una delle tante creazioni della “paura” (rifiuto) della morte. Che più spesso,
dice Freud, si ritrova nelle sette o religioni – in alcune religioni, non nello
spirito della religione, è una sciocchezza che la religione nasca dalla “paura”
della morte. Ma è anche il proprio della vita, che da questa “paura” è animata
e anche regolata, poiché porta a reprimere o condannare gli istinti distruttivi
(antisociali): “incesto, cannibalismo, voglia di uccidere”.
Il
trip di morte Freud sviluppa nel
quadro di Dio come un’app umana.
Meglio nella forma di un Dio delle arti, una favola culturale che l’uomo si
racconta per non pensare alla morte. Sulla base del “primo motore” del pensiero
e dell’attività umana, il principio di piacere,
Eros, la spinta a moltiplicare il desiderio, l’attività, l’amore, il piacere. Il
Todtrieb nasce anch’esso protettivo,
un’estensione del principio del piacere nella quiete. Come a dire, all’età del
pensionamento: nel “principio del Nirvana”, per un bisogno di “condurre
l’agitazione della vita alla stabilità dell’inorganico”. Una sorta di prova
generale della morte. Ma insidiosa, perché si trasforma in tendenze masochiste
e suicidarie. Senza soluzione – se non lo strizzacervelli.
Occidente – È iterativo? O
in surplace, in un gioco dell’oca? O
piuttosto in una corsa circolare , quindi senza senso. Claude Lévi-Strauss giunge
a questa conclusione in chiusura dei “Tristi tropici”, scritto nell’inverno del
1954, a metà della vita e dell’opera: “Ogni sforzo per comprendere distrugge
l’oggetto al quale ci eravamo attaccati, a beneficio di uno sforzo che lo abolisce,
a beneficio di un terzo, e così via di seguito, fino a che non accediamo
all’unica presenza duratura,che è quella in cui svanisce la distinzione tra il senso
e l’assenza di senso: la stessa da cui eravamo partiti”. Nell’arco di tremila
anni si poteva fare di più? Sono una piccola parte della storia, che è solo
pochi secondi nella giornata dell’universo.
Il
quadro della storia – la storia come progresso – non è sbagliato per leggere il
reale? La storia non cambia nel quadro storico, troppo breve, uguale a se
stesso.
Opinione
pubblica
– La difesa più calda, di John Dewey, 1927, “The Public and its problems”, la confina ai buoni propositi. L’opinione
pubblica nasce come problema pubblico quando si crea lo Stato, come distinto
dal pubblico, il corpo dei cittadini che si rappresenta nello Stato. A maggior
ragione quando lo Stato (il re, il governo) è elettivo. E quando problemi privati
diventano pubblici, cioè di interesse collettivo o generale. Quali possono
essere i problemi ambientali, industriali, sanitari. L’opinione pubblica nasce
come coscienza di questi problemi condivisi, come di un interesse comune a
controllare e indirizzare questi sviluppi. Non la volontà generale di Rousseau.
Né il contratto di Locke. Non c’è un disegno generale o un contratto definito
(costituzionale) tra le parti: all’opera sono gli interessi individuali e privati,
che si raggruppano, divenendo in questo modo pubblici, e condizionano lo Stato.
Una
curiosa difesa della democrazia – Dewey, fino ad allora impegnato in altri
progetti e attività, scrive in difesa della democrazia contro Walter Lippmann. L’opinione
pubblica si prospetta come limite all’interventismo-decisionismo statale. Una contraddizione,
nel mentre che si prospetta un consolidamento, della democrazia.
Dewey,
filosofo pragmatista, intellettuale influente nel primo Novecento negli Stati
Uniti, fautore del voto alle donne, difensore della memoria di Sacco e
Vanzetti, pedagogista, favorevolmente impressionato dall’istruzione universale
obbligatoria del neo costituito regime sovietico, ha scritto “The Public and
its problems” in chiave difensiva, contro Walter Lippmann, “Public
opinion”,1922, doppiato tre anni dopo da “The Phantom Public”. Che, a parere di
Dewey, metteva a rischio la democrazia. Ma la sua soluzione, individualista,
del prevalere dell’interesse individuale, va nel senso che Lippmann opinava critico,
in realtà temeva: il condizionamento dell’opinione, già un secolo fa, da parte dei mezzi e meccanismi di
controllo di massa. L’informazione, aveva spiegato Lippmann, vene direttamente o
indirettamente manipolata: dall’interno, dai pregiudizi (personali, culturali,
ambientali), e dall’esterno, dai media, e dalla conoscenza mediata e precaria
delle leggi. L’interesse pubblico c’è,
aveva argomentato Lippmann, ma chi lo governa?
Dewey
condanna l’analisi di Lippmann come “la più efficace messa in stato d’accusa
della democrazia”. Ma, da difensore della democrazia, assottiglia la stessa
opinione pubblica a un rifiuto della democrazia, delle scelte, delle
maggioranze e minoranze, sul fondamento di principi inalienabili (le
costituzioni). O comunque a una riserva nei confronti del processo democratico.
In
realtà Dewey concorda con Lippmann, nella seconda parte del suo trattato,
“Democratic needs and the Public”. L’apatia è lo stato generale della massa. L’opinione
pubblica è il fatto di professionisti, pubblicitari a pagamento, voci più o
meno controllate, interessi costituiti, aziendali e settoriali, la stessa
industria dell’entertainment, una
comunicazione pubblica o mediatica orientata. Un limite che solo si può superare
con l’istruzione. E con la partecipazione al processo politico. Più facile e
più robusta sul piano locale.
In
questo Dewey eleva costituzionalmente e rafforza il localismo, che è alla base
della democrazia americana, il comunitarismo, dove i problemi sono più alla
portata e alla soluzione di tutti. Che però è un anelo sempre più asfittico
debole in un Stato sempre più federale, in un quadro politico
internazionalizzato, anzi di responsabilità e interessi mondiali. Mente rimane
irrisolto il condizionamento che Lippmann prospettava, un secolo fa. Semmai
aggravato da quella che si voleva la controinformazione, l’informazione libera
in rete, dominio libero di interessi occulti – dei “Russiagate”, veri o fasi
che siano, delle fake news.
Storia – È troppo breve
per leggere (reggere) l’universo. Per capirlo, cioè per cambiarlo – il
progresso è un’idea.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento