domenica 19 aprile 2020

Secondi pensieri - 416

zeulig

Capitalismo – Certamente è cristiano, ma prevalentemente – più compiutamente – cattolico. La Controriforma fu più attiva e conseguente nella scena capitalistica: nella funzione dell opere pubbliche, nelle infrastrutture della grande proprietà terriera di parrocchie, vescovadi, monasteri, del lusso, nelle arti (urbanistica, architettura, pittura, scultura, musica) e le cerimonie, nella cura universale della diocesi borromeiana, nella stessa deriva gesuitica del potere, anche civile.  

Delusion – Significa il contrario di ciò che dice: è illusione, tanto quanto “illusion”. Un’assunzione sbagliata del latino nell’inglese? No, il radicale de- ha lo stesso senso nel Cambridge English Dictionary che nel Battaglia e nella Treccani, il de- latino: è opposto, contrario, opporre, contrariare, rimuover e, ridurre. L’inglese non è una lingua precisa, semanticamente significativa – è semplice, e allusiva.

Globalizzazione – Ha dato accesso al benessere al Terzo mondo, ai due terzi o quattro quinti dell’umanità. Una rivoluzione storica. Un esito umanitario, ma indiretto. Si è imposta dapprima per un fine ristretto: rompere le rigidità, o difese, sindacali del lavoro, e farne una merce al minor costo. Con la delocalizzazione dei centri di produzione, o anche senza, con la concorrenza a distanza, a partire dalle merci di tecnologia meno complessa. Successivamente, nel primo Millennio, col coupling, la programmazione mondiale delle merci, oltre che del lavoro: il prodotto si concepisce e si organizza in un punto, si produce, assembla e confeziona in un altro (ma le tre funzioni possono anche serre disgiunte), si vende in altri, in una girandola logistica complessa e anche geniale ma consumatrice di energie psicofisiche, e di qualità ambientale, della terra, dell’aria, delle acque.
Il tutto – delocalizzazione e coupling - nel quadro di una superiore, illimitata, ottimizzazione del capitale: il disegno cui tutta la globalizzazione è indirizzata è la proliferazione del capitale. In tutte le forme e gli interstizi. Senza regole né salvaguardie.
L’esito, finanziario prima che sociale, è una progressiva, rapidamente accentuata, astrazione del capitale dalle forme produttive, di merci e tecnologie. Le quali non sono più protagoniste delle economie, ma ancillari – l’effetto si vede anche nei ritardi con cui l’industria farmaceutica affronta le pandemie di questo primo Millennio (ma già a partire dall’Aids), con farmaci e vaccini specifici. L’effetto maggiore è però sulla ricchezza: la globalizzazione l’ha incrementata, in teoria avrebbe creato l’abbondanza per tutti, ma l’ha anche spostata dalle aree già più avanzate o affluenti alle nuove. Ha creato più ricchezza, ma non a vantaggio di tutti: con svantaggi anche rilevanti nell’area euro-americana già più affluente. Il monte salari in quest’area si è compresso – non segue l’evoluzione della ricchezza mondiale. Avendo abbandonato del tutto la difesa sindacale – ovunque il mercato del lavoro è liberalizzato, cioè senza difese, se non l’assistenza pubblica. E seppure si è giovata dell’“effetto reddito” (l’aumento del reddito “reale” per effetto della riduzione di prezzo di molti beni, grazie alla produzione globale), una grande area del mondo, quella più affluente, grosso modo l’Europa e il Nord America, si impoverisce relativamente. I suoi redditi non aumentano cioè nella stessa misura di quelli mondiali, e probabilmente, se conteggiati come capacità di spesa o tenore di vita, tenendo conto delle ragioni di scambio, si comparano già sfavorevolmente con quelli asiatici, che solo trent’anni fa si potevano dire inesistenti (erano fuori mercato).   

Morte – Il Todtrieb di Freud, il trip ferale di “Al di là del principio di piacere”, l’istinto o pulsione di morte come opposto al precedente istinto di vita del “Futuro di un’illusione”, è una delle tante creazioni della “paura” (rifiuto) della morte. Che più spesso, dice Freud, si ritrova nelle sette o religioni – in alcune religioni, non nello spirito della religione, è una sciocchezza che la religione nasca dalla “paura” della morte. Ma è anche il proprio della vita, che da questa “paura” è animata e anche regolata, poiché porta a reprimere o condannare gli istinti distruttivi (antisociali): “incesto, cannibalismo, voglia di uccidere”.
Il trip di morte Freud sviluppa nel quadro di Dio come un’app umana. Meglio nella forma di un Dio delle arti, una favola culturale che l’uomo si racconta per non pensare alla morte. Sulla base del “primo motore” del pensiero e  dell’attività umana, il principio di piacere, Eros, la spinta a moltiplicare il desiderio, l’attività, l’amore, il piacere. Il Todtrieb nasce anch’esso protettivo, un’estensione del principio del piacere nella quiete. Come a dire, all’età del pensionamento: nel “principio del Nirvana”, per un bisogno di “condurre l’agitazione della vita alla stabilità dell’inorganico”. Una sorta di prova generale della morte. Ma insidiosa, perché si trasforma in tendenze masochiste e suicidarie. Senza soluzione – se non lo strizzacervelli.

Occidente – È iterativo? O in surplace, in un gioco dell’oca? O piuttosto in una corsa circolare , quindi senza senso. Claude Lévi-Strauss giunge a questa conclusione in chiusura dei “Tristi tropici”, scritto nell’inverno del 1954, a metà della vita e dell’opera: “Ogni sforzo per comprendere distrugge l’oggetto al quale ci eravamo attaccati, a beneficio di uno sforzo che lo abolisce, a beneficio di un terzo, e così via di seguito, fino a che non accediamo all’unica presenza duratura,che è quella in cui svanisce la distinzione tra il senso e l’assenza di senso: la stessa da cui eravamo partiti”. Nell’arco di tremila anni si poteva fare di più? Sono una piccola parte della storia, che è solo pochi secondi nella giornata dell’universo.
Il quadro della storia – la storia come progresso – non è sbagliato per leggere il reale? La storia non cambia nel quadro storico, troppo breve, uguale a se stesso.

Opinione pubblica – La difesa più calda, di John Dewey, 1927, “The Public and its problems”,  la confina ai buoni propositi. L’opinione pubblica nasce come problema pubblico quando si crea lo Stato, come distinto dal pubblico, il corpo dei cittadini che si rappresenta nello Stato. A maggior ragione quando lo Stato (il re, il governo) è elettivo. E quando problemi privati diventano pubblici, cioè di interesse collettivo o generale. Quali possono essere i problemi ambientali, industriali, sanitari. L’opinione pubblica nasce come coscienza di questi problemi condivisi, come di un interesse comune a controllare e indirizzare questi sviluppi. Non la volontà generale di Rousseau. Né il contratto di Locke. Non c’è un disegno generale o un contratto definito (costituzionale) tra le parti: all’opera sono gli interessi individuali e privati, che si raggruppano, divenendo in questo modo pubblici, e condizionano lo Stato.
Una curiosa difesa della democrazia – Dewey, fino ad allora impegnato in altri progetti e attività, scrive in difesa della democrazia contro Walter Lippmann. L’opinione pubblica si prospetta come limite all’interventismo-decisionismo statale. Una contraddizione, nel mentre che si prospetta un consolidamento, della democrazia.
Dewey, filosofo pragmatista, intellettuale influente nel primo Novecento negli Stati Uniti, fautore del voto alle donne, difensore della memoria di Sacco e Vanzetti, pedagogista, favorevolmente impressionato dall’istruzione universale obbligatoria del neo costituito regime sovietico, ha scritto “The Public and its problems” in chiave difensiva, contro Walter Lippmann, “Public opinion”,1922, doppiato tre anni dopo da “The Phantom Public”. Che, a parere di Dewey, metteva a rischio la democrazia. Ma la sua soluzione, individualista, del prevalere dell’interesse individuale, va nel senso che Lippmann opinava critico, in realtà temeva: il condizionamento dell’opinione, già un  secolo fa, da parte dei mezzi e meccanismi di controllo di massa. L’informazione, aveva spiegato Lippmann, vene direttamente o indirettamente manipolata: dall’interno, dai pregiudizi (personali, culturali, ambientali), e dall’esterno, dai media, e dalla conoscenza mediata e precaria delle leggi.  L’interesse pubblico c’è, aveva argomentato Lippmann, ma chi lo governa?
Dewey condanna l’analisi di Lippmann come “la più efficace messa in stato d’accusa della democrazia”. Ma, da difensore della democrazia, assottiglia la stessa opinione pubblica a un rifiuto della democrazia, delle scelte, delle maggioranze e minoranze, sul fondamento di principi inalienabili (le costituzioni). O comunque a una riserva nei confronti del processo democratico.
In realtà Dewey concorda con Lippmann, nella seconda parte del suo trattato, “Democratic needs and the Public”. L’apatia è lo stato generale della massa. L’opinione pubblica è il fatto di professionisti, pubblicitari a pagamento, voci più o meno controllate, interessi costituiti, aziendali e settoriali, la stessa industria dell’entertainment, una comunicazione pubblica o mediatica orientata. Un limite che solo si può superare con l’istruzione. E con la partecipazione al processo politico. Più facile e più robusta sul piano locale.
In questo Dewey eleva costituzionalmente e rafforza il localismo, che è alla base della democrazia americana, il comunitarismo, dove i problemi sono più alla portata e alla soluzione di tutti. Che però è un anelo sempre più asfittico debole in un Stato sempre più federale, in un quadro politico internazionalizzato, anzi di responsabilità e interessi mondiali. Mente rimane irrisolto il condizionamento che Lippmann prospettava, un secolo fa. Semmai aggravato da quella che si voleva la controinformazione, l’informazione libera in rete, dominio libero di interessi occulti – dei “Russiagate”, veri o fasi che siano, delle fake news.  

Storia – È troppo breve per leggere (reggere) l’universo. Per capirlo, cioè per cambiarlo – il progresso è un’idea.

zeulig@antiit.eu

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