venerdì 22 maggio 2020

Appalti, fisco, abusi (172)

Asta Btp record, per ammontare, e per quota sottoscritta dal pubblico, tre quarti di 22 miliardi e rotti. Per l’interesse che il Btp paga, anche se minimo. Ma, di più, per la fiducia: nessuna paura di perdere il capitale. È la riprova che le agenzie di rating non sono affidabili – a meno che non lavorino nel losco, per la speculazione: allora avrebbero una razionalità.


L’Italia è affidabile come Panama, per Standard & Poor’s. Come le Filippine. Meno del Botswana. O del Messico, del Perù, della Malesia. Molto meno del Giappone - che invece è raccomandato, pur avendo un debito al 300 per cento del pil, o poco ci manca. Anche se l’Italia ha anche le terze riserve monetarie in oro al mondo, dopo gli Usa e la Germania.
Fitch ricalca le valutazioni di S & P’s. Moody’s mette l’Italia, in fatto di affidabilità, alla pari con Ungheria e Romania, e col Kazakistan. Ma peggio di Panama e le Filippine. E molto peggio del Botswana. Sempre valutando ottimamente, meglio di S & P’s, il Giappone – oltre che il Botswana.


Il Kazakistan al livello dell’Italia introduce un’altra dimensione del rating: la corruzione. I rating delle agenzie non si basano su criteri standard e chiari, sono valutazioni politiche. Che prescindono però anche dalla politica – il Kazakistan è una dittatura, regime incerto per eccellenza – se la committenza paga.
Il criterio base del rating è l’affare, quanto l’agenzia ci guadagna. Nelle valutazioni di banche e gruppi economici dichiaratamente, per contratto. Nelle valutazioni dei paesi per criteri oscuri.


Parte il finanziamento agevolato, con fidejussione assicurativa pubblica, per gli investimenti delle aziende colpite dal coronavirus. Con un ruolo anche qui attivo delle banche, le grandi, Intesa, Unicredit, e anche quelle regionali, Bper, Mps, Bpm, etc.. E quindi a beneficio di tutto il Sistema Italia. Ma partono pure critiche feroci. Non da parte di chi fa dell’anticapitalismo una missione. Da parte del corpaccione del potere - e dello stesso governo. 

Da parte dell’ex ministro dell’Industria Calenda. Del deputato di plurime legislature e titolare di vari dicasteri nella XVIIma, Andrea Orlando. Di un paio di altri politici. Tutti del Pd, che però finora è stato, da Prodi a D’Alema, Bersani, Renzi, il partito del capitale, ed è l’asse del governo in carica, che ha deciso il finanziamento agevolato. 


L’obiezione è all’automatismo legislativo: se c’è automatismo, si indebolisce il controllo politico, il sottogoverno. Sfuggono le aziende e sfuggono, soprattutto, le banche, beneficiarie indirette della nuova corsa agli investimenti.



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