C’è una legge anche per i social
L’Europa
discute, se tassare o no i social per gli enormi profitti che realizzano con la
pubblicità, il ciclone Trump dice e subito fa. Devono sottostare alle leggi
contro la diffamazione e per la sicurezza dello Stato, e al controllo dell’ufficio
federale per la correttezza sui mercati. Non possono cioè esimersi dai delitti
di cui sono veicolo, e non possono truffare i concorrenti o il fisco.
Contro
la regolamentazione di Trump è indubbio che si eserciteranno numerosi
procuratori e giudici, federali e statali – il presidente è inviso all’establishment americano. Anche perché Trump ha agito per
reazione – al controllore dei contenuti di twitter, Yoel Roth, un attivista
politico di Sanders, la sinistra del partito Democratico, molto attivo contro Trump,
che gli aveva censurato due tweet come fake
news. Ma la regolamentazione era da fare, da vent’anni almeno. Evitata
colpevolmente da Clinton, Bush jr. e Obama, per ingraziarsi i potenti gestori
dei social – solo uscendo dalla Casa Bianca Obama disse che la questione era “cruciale”
per la democrazia. E al giudizio costituzionale passerà contro tutte le
obiezioni che i social possano sollevare con i loro potenti trust legali.
L’esito
traspare dal giubilo dei giornali, malgrado l’odio diffuso contro Trump, che
vedono infine un freno all’impunità dei social e i siti online, liberi di
rubare contenuti e idee.
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