René de Ceccatty ha voluto aggiungere una versione
pop, o meglio rap, della “Commedia” alle tante già in uso in francese. Rifacendosi
al Dante “romanzesco” e “realista” quale lo voleva Elsa Morante, che cita in
esergo. Traducendo il poema in versi ma mettendolo in rapporto col pubblico. A cui
lo stesso Dante si rivolge, sedici volte (al modo dei cantastorie, si può
aggiungere) – “secondo una postura narrativa che sarà spesso ripresa dagli
scrittori, fino a Violette Leduc e Jean Genet, passando per Villon, Baudelaire,
Stendhal e Lautréamont”. Confrontandosi a Dante dal vivo, invece che al
monumento. Fino a ipotizzare una sorta di “bottega” del poema, altrimenti di “impossibile”
fattura.
L’ipotesi – “il sospetto” – che Ceccatty butta
lì, in breve, tra parentesi, “che il libro non è di una sola mano”, sembra
eretica. Ma a ripensarci persuasiva: che Dante possa avere lavorato al poema in
analogia con i maestri delle arti applicate, la pittura, la scultura. Rime
ripetute, rime astruse, neologismi in serie, talvolta senza senso altro che il
suono, danno l’idea del lavoro creativo quale è stato, impervio. Con possibili
rifiniture, quindi, di scuola. La bottega non c’è, la vita e l’opera di Dante
non sono un mistero, ma la possibilità è seducente.
Sulla scia della traduzione calzante, filante,
ritmata di Jacqueline Risset, e mentre se ne prepara una nuova per la Pléiade,
in sostituzione di quella di André Pézard, l’anno venturo per le celebrazioni,
questa “popolare” di René de Ceccatty, la fortuna di Dante in Francia non ha
soste. Maggiore che in Italia, si direbbe, a giudicare dalle continue
riproposte. Non di tutto Dante, del poema. E al modo, Ceccatty ora dopo Risset, come De Sanctis consigliava di leggere il poema senza note. Ma Ceccatty, pur semplificando, tiene
ben presenti nell’ampia introduzione il “Convivio” e la Vita Nuova”.
Il linguaggio di Dante è complesso, è il
ragionamento del traduttore irriverente: “Digressioni astruse, allusioni
mitologiche o politiche, metafore complicate, personaggi designati per un
gesto, una battaglia,una città, città evocate da un fiume, stagioni suggerite
da un segno zodiacale…”. Dante non si può leggere senza le note? Volendo farne a meno, bisogna semplificare il poema. Ma la semplificazione, assicurare
la “leggibilità”, non è operazione da poco. Ceccatty avverte che ha sacrificato
molto del poema: parole o immagini speciose, di significato incerto, intraducibili
o insignificanti in francese. Difficile, ammette onesto, anche rendere la
varietà e complessità semantica e lessicale: Dante spazia tra varie lingue, il
latino, l’ebraico, il provenzale (non l’arabo…), i giochi di parole, e perfino
gli anagrammi (“515”, possibilmente anche il “pape satàn”). La sua traduzione considerando
egli stesso nella premessa “un sistema riduttivo”. Filosoficamente: “Ogni traduzione
è inesatta”. Anche solo tradurre “follia”, “cielo”, “inverarsi”, “segno”,
parole comuni, è arduo.
Ceccatty è modesto, del poema e di Dante avendo
opinione come di entità irraggiungibili – “il Paradiso può essere considerato
un’opera filosofica a parte intera che annuncia quella di Leibniz”. Anche se c’è
ironia nella cantica, Ceccatty la trova evidente. Beatrice del resto denuncia
come severa e non amorevole, in immagine evocando quella di Caterina Boratto, la
madre di Giulietta Masina in “Giulietta degli spiriti” - se non saccente, “una
chiacchierona impenitente”.
Una traduzione svelta. Anche come applicazione,
dice Ceccatty: in poco tempo, pochi mesi, viaggiando da Parigi a Montpellier per
l’insegnamento, e in vacanza in Canada, in Italia e alla Réunion. In aereo, “luogo
predestinato per questo lavoro”. E a Spoleto e in Umbria. Ma soprattutto a
Parigi. Partendo da un omaggio – un monumento - alla traduzione di Jacqueline
Risset, la poetessa franco-italiana scomparsa sei anni fa, grande cultrice di
Dante - tentò anche di farlo al cinema con Fellini. Anch’essa si era posta “la necessità
della leggibilità”, spiega Ceccatty, e c’è riuscita, senza tradire il poema, per
la “sua sensibilità poetica”: “Poeta lei stessa nelle due lingue, italiano e
francese, sa perfettamente ciò che vuole dalla poesia, fatta di concentrazione
e folgorazioni, che ricerca e riproduce in francese”. Per cui “la versione di
Jacqueline Risset è la sola che dà un’idea della vita, dell’invenzione, dei
cambiamenti di ritmo, degli effetti di realismo, della sensualità, degli
scherzi o dei momenti di profonda meditazione, di questo testo sempre inatteso”.
Una nuova traduzione con un atto di resa.
Curioso. Ma il Dante cantabile non è del tutto un tradimento. Vale sempre il suggerimento di Dorothy Sayers, che traducendo il poema in inglese nel 1949 consigliava di leggerlo di seguito, come un racconto di avventure.
Dante, La
Divine Comédie, Points, pp. 695 € 13,90
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