Il mondo com'è (404)
astolfo
Alsaziano – È Il cane pastore
tedesco, ribattezzato “alsaziano” in Francia e Inghilterra dopo la guerra del
1914-1918 in odio alla Germania.
Fritz Bauer – È un giudice tedesco, ebreo, emigrato al tempo di
Hitler dopo una breve carcerazione, dapprima in Danimarca, poi in Svezia,
esponente socialista di primo piano, animatore nell’esilio anche di una “Sozialistische
Tribüne” con Willy Brandt, tornato in patria nel dopoguerra e reintegrato. Si
impegna soprattutto nei dossier sulla
persecuzione antisemita. Ma con difficoltà: a lungo non riesce a scuotere
il torpore, la voglia in Germania di rimuovere gli anni di Hitler, e anzi viene
ritenuto un mestatore. È lui che indirizza il Mossad su Eichmann in Argentina,
dopo che la Germania ha rifiutato di estradarlo e processarlo. Scopre anche che
in Argentina Josef Mengele, il famigerato dottore dei lager, che conduceva esperimenti dal vivo sulle carni dei gemelli, risiedeva
in tutta tranquillità, poiché nel 1956 aveva ritirato al consolato tedesco un
passaporto a suo nome.
I
rapporti di Bauer erano del resto difficili anche con Israele. Abitato e
governato da ebrei dell’Est Europa prevalentemente, che non amavano gli ebrei
tedeschi, ritenuti supponenti. La prima volta che Bauer si recò a Gerusalemme il fondatore
e capo del Mossad Isser Harel gli oppose brutale: “Io mi occupo degli ebrei
vivi, non degli ebrei morti”. E quando infine il Mossad decise il colpo di
teatro del rapimento e il processo di Eichmann, Bauer non ottenne in Germania,
benché fosse una personalità di rilievo, di farlo estradare: un processo a
Francoforte, dove era la sua giurisdizione, avrebbe significato smascherare
troppe complicità. Una eventualità che non solo Adenauer, il cancelliere degli
anni 1950-1960, ma anche gli americani non potevano permettersi.
Su
Bauer si è esercitato ultimamente Olivier
Guez, “L’impossible retour, histoire des juifs en Allemagne après 1945”.
Nel 1975, morto Bauer, Isser Harel, libero dagli
incarichi ufficiali, ha raccontato in un memoriale fiume, “The House on
Garibaldi Street”, il rapimento di Eichmann in Argentina, senza fare menzione
del giudice
Bauer – si limita a dire di avere avuto l’indirizzo di Eichmann in Argentina da
“fonte sicura”. Non lo menziona nemmeno dopo, quando gli oppone il suo vaffa: “Io
mi occupo degli ebrei vivi, non dei morti”.
Malleczeven - Friedrich
Rech-Malleczeven, 1884-1945, barone, si ricorda per aver tenuto un diario
manoscritto anti-Hitler durante gli anni di Hitler nascondendolo per
precauzione in giardino. Un conservatore, che ricorda nello stesso diario con
affetto i suoi “graziosi padroni”, i re di Baviera, e vede i totalitarismi
figli della Ragione borghese e della Rivoluzione francese. Ma che su Hitler ha
idee ancora più chiare: “So perfettamente che bisogna odiare con tutto il cuore
la vostra Germania, se si ama veramente la Germania”.
Un
personaggio, quindi, che la Germania non terrà in considerazione – la Germania
è anarchica ma non ama i dissidenti. Del barone si è sentito solo nel Sessantotto.
Disperato dalla Notte dei Cristalli e dalle persecuzioni, per primi degli ebrei,
si augurava la guerra, e la sconfitta.
Turanismo – Ritorna
con Erdogan? È l’ideologia panturca che, originata in Persia, è stata coltivata
nell’Ottocento soprattutto in Europa, in Germania e in Ungheria, oltre che in
Turchia, e in Giappone. Elaborata da intellettuali ottomani, che in chiave di “risorgimenti”
nazionali offrivano ai popoli ugro-finnici, o ugrici, una tradizione radicata
ancora più lontano che in Persia, in India (dravidismo), in Mongolia e in Giappone. “Sistemata” da Friedrich Max Müller (1823-1900), figlio di Wilhelm Müller, il poeta autore
della “Bella Mugnaia” – Müller è mugnaio - e del “Viaggio d’inverno” di
Schubert. Iniziatore delle religioni comparate, professore di Filologia comparata a Oxford, il primo titolare al mondo di questa disciplina, Friedrich Max Müller fu animatore del turanismo: “tutti turchi”, tutti quelli che parlano lingue uralo-altaiche, che lui dice
sbrigativamente turche.
Una Società Turanica risulta fondata nel 1839 fra i
Tartari della Russia. Con lo steso
nome ne fu fondata una in Ungheria nel 1910. Doppiata dieci anni dopo da una
Alleanza Turanica. In Giappone il cammino è inverso: Alleanza Turanica nel
1921, Società Turanica dieci anni dopo.
L’“Enciclopedia Treccani” trova al fenomeno radici
europee: “Le origini del panturchismo si potrebbero
cercare anche più lontano, nelle pubblicazioni del polacco Costantino Bosenski,
emigrato a Costantinopoli nel 1848, e diventato musulmano, autore dell’opera «Les Turcs anciens et
modernes» (Costantinopoli 1869), negli scritti turcologici di
A. ámbéry, nella «Introduction
à l’histoire de l’Asie» di L. Cahun, nelle prime poesie nazionaliste
di Meḥmed Emīn (1896-1897). Tutto ciò servì a far sorgere una coscienza
nazionale dei Turchi, che fino allora si sentivano più ottomani o musulmani che
turchi; questo nazionalismo diventò fin da principio panturchismo e ciò si
spiega per ragioni politiche; i Turchi evoluti della Russia infatti si volsero
a Costantinopoli come a faro della rinascita turca e furono anzi i migliori
propagandisti dell'idea nazionale”.
Un fantasma geopolitico oggi – resta solo nella voce
cospicua dell’Enciclopedia Treccani. Che però non è morto, e anzi radica,
sotterraneamente, e per lo più indistinto, il nazionalismo turco. Basato sulle
ricerche linguistiche, dell’origine e le derivazioni dei linguaggi. Nonché,
ultimamente, stando a wikipedia, da ìl Dna: le teorie “panturaniche” avrebbero ricevuto
nuovo impulso dalla “presenza dello stesso
aploide N3 nel cromosoma Y del DNA” di Jakuti (80 per cento), Finni (70), Inuit
dell’Ovest (60), Udmurti (53), Sami (49), Buriati (47), Lituani (41), Lettoni,
Evenchi dell’Est (20).
Il termine è derivato dal bassopiano detto Turanico, che
unisce gli stati turchi dell’Asia centrale, Turkmenistan, Uzbekistam,
Kirghizistan, e Kazakistan. E in quest’area sopravvive, oltre che in Azerbaigian,
più vicino all’Europa, nel Caucaso. Ma anche in Turchia ha, non dichiarate,
radici.
Al turanismo vengono collegati i Lupi Grigi, il gruppo
terroristico di cui faceva parte Alì Agca, l’attentatore di papa Giovanni Paolo
II a san Pietro, e il Movimento Nazionale Turco, residuato del kemalismo, il
rinnovamento repubblicano del primo dopoguerra. Al turanisno si ispirano anche
due partiti politici di estrema destra in Ungheria, Jobbik (Movimento per un’Ungheria
Migliore), che ha un decimo dei seggi all’Assemblea Nazionale, e in Giappone, Kokka
Shakaishugi Nippon Rodosha.To, partito Nazionalsocialista Giapponese dei Lavora
ori, senza rappresentanza politica.
Insieme con la localizzazione geografica, il nome fa
riferimento a un Tur o Turai, personaggio dello “Shah-Nameh”, l’epopea persiana
di Firdusi, 1000 d.C. circa. Tur-Turaj, da intendere “il padre dei Turani”, è il
primogenito dell’imperatore Fereydun. Fratello peraltro di un Iraj che il poema
dice espressamente capostipite dei Turani-Turchi. Turanshah, scià dei Turani, è
il nome del fratello di Saladino.
Di origine persiana è comunque la parola: Turan era il paese
a Nord dell’Amu-Darja (Oxus), territorio non conquistato e nemico – solo successivamente
diventano Turkestan.
Turandot, nome diventato famoso con Puccini, è “figlia di
Turan”, nome in uso sia in Iran che in Turchia.Il nome e l’opera sono tratti dalla
“fiaba teatrale” di Carlo Gozzi (1762), che dice la sua “commedia dell’arte”
tratta da “Les mille et un jour”, di François Pétis de la Croix.
La fiaba di Gozzi ha avuto molte impersonificazioni. Soprattutto
in Germania, a opera di Goethe, di Schiller e di molti altri, fino a Brecht, e
musicata da von Weber (1809). Dopo Puccini, sarà ripersa da Busoni, nel 1917.
astolfo@antiit.eu
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