domenica 3 maggio 2020

La peste di Proust

Lezioni d’igiene, la materia d’insegnamento del dottor Adrien Proust (è il padre) all’università di Medicina, epidemiologia, padre del confinamento sistematico. Un’attività avviata nel 1869, al ritorno da una missione in Russia e in Persia, al fine di prevenire l’importazione del colera che là si manifestava. Sono “i principi”, dice il dottore, “di politica sanitaria liberale. Nel 1892, al ritorno dall’Egitto e da Venezia, dove è stato infine raggiunto un accordo sulla prevenzione, un accordo europeo, compreso l’impero ottomano, pubblica questa “Défense” – molto voluminosa, cinquecento pagine, per lo più di accorgimenti sanitari.
Nel 1879, dieci anni dopo la prima missione in Russia e in Persia, c’è stato un nuovo allarme in Europa, sempre per il colera in Russia, ai bordi del Volga presso Astrakan. Ma l’epidemia era stata presto circoscritta, grazie a un generale Melikoff – “in quel focolaio non perirono 400 persone”.
Anche allora c’era la Cina, con la peste, ma era lontana: “La peste di Canton del 1894 passò quasi inosservata. Non si trattava è vero che di Cinesi. Causò tuttavia la morte di 100 mila persone”. La peste di Canton e di Hong Kong in realtà, che si manifestò anche a Pakhoi, la “porta della Cina” nel bordo settentrionale del Golfo del Tonchino, a Nord di quella che era allora era l’Indocina francese.
La peste di Bombay due anni dopo, invece, provocò allarme in tutta Europa, per la morte tra settembre e ottobre a Londra di due marinai che venivano dalla città indiana. Si parlò perfino di isolare l’Inghilterra, nota il dottore. Il contagio fu circoscritto, ma si decise di “prendere delle misure comuni contro l’invasione e la diffusione della peste”. Una Conferenza sanitaria internazionale fu convocata per il 16 febbraio 1897 a Venezia.
Alla Conferenza si decise di applicare alla peste “il nuovo principio di base della profilassi internazionale moderna”, stabilito sempre a Venezia nel 1892, alla Conferenza sul colera. La misura decisa è una: che tocca ai paesi di approdo applicare le proprie misure sanitarie di prevenzione a qualsiasi natante.
Il resto della Conferenza sembra inverosimile. L’Inghilterra non vuole controlli, né dell’Egitto né dell’impero ottomano, nel Golfo Persico, che considera suo dominio esclusivo. La stessa Inghilterra decreta la sospensione in India, che allora comprendeva il Pakistan, del pellegrinaggio alla Mecca – su richiesta esplicita del dottor Proust. L’impero ottomano si oppose a qualsiasi protocollo congiunto di risposta alla peste, giidicandolo un’intromissione nella sua autonomia legislativa. La delegazione anglo-egiziana (l’Egitto era sotto protettorato inglese) litigò con le potenze europee perché voleva “nazionalizzare” il Consiglio sanitario d’Egitto ad Alessandria,  che nella precedente conferenza di Venezia, nel 1892, “aveva reso l’azione delle potenze preponderante”. La questione indigna specialmente il dottor Proust, che lottò e impose il mantenimento del Consiglio nella conformazione e nella sede attuale – “Alessandria è la città del commercio”, etc. . Si esaminano i casi della Persia, di Mascate, del Marocco. Infine, tutti sottoscrivono la cosiddetta convenzione di Parigi del 1894. Sperando per il meglio.
Niente che possa essere d’insegnamento oggi. Dove però non c’è nulla di nuovo. A parte il fatto che quello era un altro mondo, benché solo poco più di un secolo fa: colonizzato, direttamente o indirettamente, per il quale potevano decidere poche potenze europee, Italia compresa. La sola differenza è la Cina: non faceva parte del mondo, non essendo colonizzata.
La prima lezione del volume è “La peste in Cina”. Quanto di più remoto – tra l’altro il dottor Proust cita di passata “la situazione miserevole dell’impero ottomano, aggravata dai recenti massacri di Armeni”, 1896. A Hong Kong i morti contati furono solo 2.500-3.000, su una popolazione di 200 mila abitanti. Ma “a Hong-Kong la prima cosa che gli ammalati vedevano arrivando all’ospedale era una piramide di bare”. A Canton i 100 mila morti stimati si rapportavano a una popolazione di 1,6 milioni. Una peste, quella cinese, con una particolarità (sarà la stessa nella “Peste” di Camus, il romanzo della peste a Orano, in Algeria): “Un fatto interessante fu constatato. A  Canton e a Hong-Kong l’apparizione del morbo fu preceduta dalla morte dei topi… In certi quartieri si contarono fino a ventimila cadaveri di topi. In una sola strada ne son stati raccolti più di 1.500”. La particolarità è che “la morte dei topi non è stata segnalata nelle epidemie del Medio Evo” – né in quella, si può aggiungere, della Guerra dei Trent’anni, quella di Manzoni: “Prima dell’inizio dell’epidemia, la bestiola esce dalla sua tana sul pavimento o sul suolo della casa. Vacilla, si gira su se stesso, butta sangue, e soccombe”. Un altro regalo dalla Cina? “Si è detto anche che la razza dei topi che subiamo”, aggiunge il dottor Proust, “viene dalla Cina, e che forse questa sola razza può essere infettata dalla peste”. Ma poi ricorda che se ne parla già nella Bibbia, al libro di Samuele, capp. VI e VII.
Adrien Proust, Défense de l’Europe contre la peste, free online

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