giovedì 21 maggio 2020

Le croci di Tozzi

Tre croci, per tre destini avversi. Peggio che avversi, falliti. Per incapacità e per disgrazia – le due cose non sono disgiunte nei “miserabili” del senese Tozzi. Con una modesta luce finale nel cupo mortorio, e un invito alla pietà: le nipoti dei tre morti romperanno il salvadanaio per comprare tre croci, che i defunti abbiano un ricordo, almeno al cimitero.
Il romanzo di un fatto di cronaca. I tre fratelli che in modi diversi muoiono rovinati, anche nella rispettabilità, non sono i suoi soliti miserabili, sono conoscenti e forse amici di Tozzi: i tre fratelli Giulio (suicida), Niccolò ed Enrico Torrini. Eredi incapaci di un apprezzato antiquario di Siena. Ma poco o niente resta oltre l’aneddoto.
Giacomo Debenedetti ha caricato Tozzi di troppi pesi: psicologismo pre-freudiano, simbolismo, pregnanza linguistica. Borgese, che fece la fortuna di Tozzi proprio con la critica di questo racconto, lo diceva “un capolavoro di realismo”, accostandolo a Verga. Qualche sorpresa la lettura però riserva: il racconto ha lo stesso taglio – personaggi, vicende, rappresentazione – di letture più recenti, di Flannery 
O’Connor. Che non c’entra nulla con Tozzi, ma la provincia, indelebile, è comune, nei caratteri e nel linguaggio, e il cattolicesimo da catecumeni.

Federigo Tozzi, Tre croci, Garzanti, pp. XXXII +105, € 8


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