Le croci di Tozzi
Tre croci, per tre destini avversi. Peggio che
avversi, falliti. Per incapacità e per disgrazia – le due cose non sono disgiunte
nei “miserabili” del senese Tozzi. Con una modesta luce finale nel cupo
mortorio, e un invito alla pietà: le nipoti dei tre morti romperanno il salvadanaio
per comprare tre croci, che i defunti abbiano un ricordo, almeno al cimitero.
Il romanzo di un fatto di cronaca. I tre
fratelli che in modi diversi muoiono rovinati, anche nella rispettabilità, non
sono i suoi soliti miserabili, sono conoscenti e forse amici di Tozzi: i tre
fratelli Giulio (suicida), Niccolò ed Enrico Torrini. Eredi incapaci di un apprezzato
antiquario di Siena. Ma poco o niente resta oltre l’aneddoto.
Giacomo Debenedetti ha caricato Tozzi di troppi
pesi: psicologismo pre-freudiano, simbolismo, pregnanza linguistica. Borgese,
che fece la fortuna di Tozzi proprio con la critica di questo racconto, lo diceva
“un capolavoro di realismo”, accostandolo a Verga. Qualche sorpresa la lettura
però riserva: il racconto ha lo stesso taglio – personaggi, vicende,
rappresentazione – di letture più recenti, di Flannery O’Connor. Che non c’entra
nulla con Tozzi, ma la provincia, indelebile, è comune, nei caratteri e nel
linguaggio, e il cattolicesimo da catecumeni.
Federigo Tozzi, Tre croci, Garzanti, pp. XXXII +105, € 8
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