Tutto quello che ci si aspetta di trovare nei
luoghi dove Magris è stato, parliamo degli anni 1980-1990, in compagnia, con la
moglie Marisa Madieri, o con gli amici, e da solo, nella vedovanza, con la seconda
moglie J.(ole), per curiosità, per turismo, per mestiere (università, festival,
premi, presentazioni), e molto di più, ovunque. Nella Mancha, alle Canarie, a
Londra, alle Isole Fortunate, in Germania naturalmente tra mille aneddoti, e a
Vienna e dintorni. Nell’Istria e viciniori, con i Sorbi, o Sorabi, Cici e i
Bisiachi – il rapporto forse più curioso, per lui stesso, è di Magris con gli
slavi. In Russia, col Muro pendente. Tra i cechi-slovacchi, anche senza
trattino, ma allora separati, subito dopo il Muro. Nel Vietnam dopo il diluvio.
In Cina, nel comunismo affarista – o nella naturalezza della civiltà,
dell’accumulatore tradizione. Lo stesso nella invisibile, profonda, cultura
persiana. Nel “grande Sud”, che è quello australe.
Prose sapide, come Magris ne scriveva a ridosso
di “Danubio”: dappertutto ha, trova e trasmette un motivo di interesse, almeno
uno. Una curiosità, una notazione, un riferimento, una storia, la vita degli
altri come nostra, anche se lontana o paradossale. “Non ci sono molti bambini –
bambini credibili, non insopportabili e falsi pupi – tra i grandi personaggi
della letteratura universale”. La Germania ricca è “asettica, come certe donne
perfette, bellissime e indesiderabili”. Jünger ricordando in Cina per “le nuove forme di
organizzazione dei conflitti, del lavoro e dell’esistenza”. L’inspiegabile
islam disumano: “L’islam, al tempo della dominazione araba in Spagna, era più
tollerante e liberale del Cristianesimo. Il volto della civiltà cambia talora
in modo menzognero”. La Persia barbuta dei khomenisti vista nella sua
leggerezza, nella curiosità delle donne sfrontata, nel gorgoglio delle acque,
nelle “sue improvvise dolci oasi di verde, fiori e specchi d’acqua”.
In fondo, il viaggio è questo, la curiosità: un
travaso secondo il principio dei vasi comunicanti – del vasto sistema persiano
dei qanat, per portare l’aqua in
superficie. Curiosa la stessa scoperta della Persia nel 2004, l’Italia è
proprio provinciale. L’anno prima tocca a Magris scoprirsi il primo scrittore
italiano ad Hanoi dopo la guerra, finita da trent’anni: la caduta del Muro ha
dissolto l’megno.
Un libro a cui Magris ha messo mano più volte.
Nella edizione italiana del 2005 rispetto alla prima edizione, in francese, per
la collezione “Voyager avec”, della Quinzaine Littéraire, e in questa seconda
edizione. Preceduta da un saggio da manuale sul viaggiare e sui libri di
viaggio. Con Weininger (“viaggiare è immorale, diceva l’inflessibile Weininger,
ma lo diceva durante un viaggio”), Canetti, Kafka, Karl Rahner, Michelstaedter,
J. Roth, Novalis, il romanzo tedesco di formazione, Musil, Breton, Borges, “gli
ebrei orientali che escono dal ghetto o dallo shtetl”, Camōes, Conrad, Eichendorff,
Dante naturalmente, Marisa Madieri, e soprattutto don Chisciotte. Con Kant: “«Legga letteratura
di viaggio», diceva a un teologo Kant, che pure non voleva muoversi da
Königsberg”.
Viaggiare è “immorale”, è
“crudele”, etc., ma poi “è la vita”, è il “continuo premabolo, un preludio a
qualcosa che deve ancora sempre avvenire”. O anche: “Il viaggiatore è un
anarchico conservatore; un conservatore che scopre il caos del mondo perché lo
commisura con un metro assoluto che ne
svela la fragilità, la provvisorietà, l’ambiguità e la miseria”. Ma il viaggio
è letteratura, o viceversa: “Fin dall’«Odissea» viaggio e letteratura appaiono
strettamente legati: un’analoga esplorazione, decostruzione e ricostruzione del
mondo e dell’io”. Incidentalmente,
alle Canarie, in breve, rileva il punto chiave del “mosaico danubiano” –
Germania naturalmente inclusa: la “ossessiva fissazione sulla propria
identità”. Ogni suo luogo finisce per essere, anche nell’angustia, un’isola
felice.
Magris sarà stato il solo scrittore di viaggi
del secondo Novecento, considerando Praz espressione ancora del primo Novecento
– specialmente fertile invece di letteratura di viaggio: Soldati, Cecchi,
Alvaro, Borgese, Rossi, anche Flaiano, Vergani, Bacchelli. I libri di viaggio
di Moravia e Calvino non tengono, Pasolini è Pasolini anche in Africa e in
India, come a Napoli o in Calabria, Piovene è autore di un solo viaggio (quello
in America è spento), comandato. Magris sa viaggiare, cioè scrivere di viaggi,
forse per l’origine e l’identità triestina – che si perpetua nel millennio con
Rumiz: di radicamento forte, in quanto città di frontiera, e insieme di estrema
apertura, curiosità, sensibilità - come
lui stesso spiega in “Trieste. Un’identità di frontiera”. I suoi libri di viaggio
sono numerosi, a partire dal fulminante “Danubio”, e tutti più o meno sempre
vivi: “Itaca e oltre”, “Microcosmi”, e anche il romanzo “Un altro mare”.
Con una incongrua vindicatio della Prussia, aggirandosi a Berlino fra le trenta
mostre celebrative del 1981. Che Magris non vuole quella del chiodo sull’elmo
ma della tolleranza religiosa, dell’imperativo categrico di Kant, della
resistenza a Hitler, della “più salda fedeltà socialdemocratica e di maggiore
apertura socialista” nella infelice repubblica di Weimar. A Berlino, forse. Che
però non è “Prussia”. E non fosse, certo, per il Kulturkampf, la guerra ai cattolici, per le guerre in continuo di
espansione, per la flotta dell’ultimo Kaiser. Con una vindicatio, comunque, ancora più sorprendente, del cristianesimo
nella polemica anticlericale: il laicismo dissecca. E il ricordo reverente, più
volte, di Angelus Silesius, il mistico di Breslavia, “sacerdote cattolico”. Straordinario
lo sfogo contro la Mitteleuropa, appena evocata per la “fedeltà toccante”, da
parte di un aedo della stessa, musliano fervente – Musil non è la Mitteleuropa, critico nostalgico?
L’Europa centrale così piena di division e “finisce talora per diventare
ossessiva e insopportabile, una gabbia da manicomio, un caffè in cui ristagnano
il fumo e il tanfo”. Eccetera: “Talvolta non si vede l’ora di scappar via, di
andare su una spiaggia libera e aperta, di mettersi in mare”.
Claudio Magris, L’infinito viaggiare, Oscar, pp. 262 € 13,50
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