Ma Hölderlin non è Heidegger
Hölderlin è una Dichtung, una poetica, meglio un esercizio in poetica, che sotto il
suo nome si tramanda, a opera di
Heidegger – Zaccaria è l’autore di un “Heidegger e l’essenza futura della
filosofia”. La cui ricchezza sta “in quello che, grazie all’opera, si lascia
tacere”. Un poeta da seminari, un poeta per filosofi. Flebile e fertile –
fertile per essere flebile, un riempitivo. Di ogni avventura, perché esercita
soprattutto ad “apprendere, dai suoi versi, il silenzio”. Una suggestione.
Questo non è Hölderlin, poeta di molti versi, drammatici,
tragici, lirici, religiosi, storici, logici, anche nei lunghi anni di follia.
Di molteplici esperienze, compresa la follia, che non gli impedì di versificare
con compiutezza, seppure dietro identità fittizie. Un poeta in radice
religioso, come i coevi Hegel e Schelling, condiscepoli a Tubinga. È quello che
un certo germanesimo, e Heidegger, hanno elevato nel secondo Novecento a ombra.
Un manichino o attaccapanni buono per qualsiasi abito, purché “ispirato” – indistinto,
esoterico.
Zaccaria rifà Hölderlin con Heidegger - ma in parte anche contro. È un seminario a conclusione di un corso che
Zaccaria ha tenuto alla Bocconi “Sull’essenza del linguaggio (Hölderlin, Heidegger)” . Alla
poesia del silenzio segue una polemica contro un “Apparato di controllo” all’opera
per prevenire e impedire il “pensiero poetante” di Heidegger: “La ricerca del
ritmo e del tono non sembra essere un tratto esclsuivo del poetare: anche il
pensiero scientifico avrebbe la sua propria tonalità”. Quindi una discussione
sul perché la poesia non è la matematica. E il Mitsein, “il con-essere dell’autentica poesia” - ma “autentico” oggi
non suona bene? Con il poeta-profeta-povero Hölderlin. A p. 23 la “decisività destinale” è già
troppo. O poco dopo il polemos che si
fa sinonimo di das Heilige, e questo non
si traduce, come è, “il sacro”, ma “il salubre”. Unica notazione significante di Heidegger sul
poeta, una o due righe sulle migliaia sotto cui lo ha seppellito: “Un poeta
strano , se non addirittura misterioso, recondito”.
Uno dei partecipanti, Andrea Ghislandi, a un
certo punto sbotta: “Avrei paura di un uomo che non ha mai scritto nulla di
inessenziale, che ha indovinato tutto, un uomo sempre «grande»”. Che
non è Hölderlin ma Heidegger.
Una lettura fuori tempo, controcorrente. Anche
se il seminario è del 2000: le cose mutano in fretta. Affascinante, e in fondo
l’unica cosa interessante, è la tabella che i partecipanti compilano alla
lavagna segnando ognuno ciò che a suo parere lega Heidegger e Hölderlin. Una dozzina di temi.
Che ne dicono la multiversità – o se si vuole l’instabilità, se non l’incauto
impossessamento – della relazione. Specie per Hölderlin, che ne guadagna poco e ci perde molto –
non si legge più.
Gino Zaccaria, Hölderlin e il tempo di povertà, Ibis, remainders, pp. 175 € 4
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