Ci saranno dei capitali pubblici da
risarcire, e nuovi investimenti a diretta filiazione pubblica, sia pure sotto
forma di partecipazioni non di controllo.
Anche l’ottica va a cambiare. Non si
sarà più il privilegio del privato, come è avvenuto negli ultimi trent’anni.
Per esempio nella sanità.
In aggiunta alle circostanze già
analizzate che giocano contro le catene internazionali (leggi: cinesi) di
fornitura – in breve: l’esigenza di accrescere la quota nazionale di valore
aggiunto - gli investimenti tecnologici necessitano ora di controlli. Che per natura
sono nazionali – la sicurezza è ancora nazionale. Gli investimenti nella
comunicazione e nell’intelligenza artificiale toccano la sicurezza, personale e
nazionale, e la privacy, l’identità delle persone. I dati in gioco sono sensibili a tutti gli effetti,
commerciali o economici, giuridici, e perfino – come si vuole stia succedendo
nelle ultime elezioni – politici.
Il dibattito sul 5 G, che si popone
unicamente a imprinting cinese, è la punta di un iceberg sommerso. La materia è
vasta e sensibile – anche se Huawei, l’azienda protagonista unica del nuovo
sistema digitale, fosse solo privata e non al servizio del partito Comunista
Cinese. Ora nel contact tracing
contro la diffusione del coronavirus. Oggi e domani in una sorta di schedatura
universale di tutti i dati personali di ognuno.
In America si celebrano i Bell
Laboratories. Finiti nelle ristrutturazioni degli anni 1990 alla
Nokia, che li ha anestetizzati, ma una industria di primo piano nello sviluppo tecnologico. Impresa privata, privatissima, ma che con
capitali di ricerca anche pubblici aveva creato l’industria di questi anni: il
transistor, il fotovoltaico, il microchip, la telefonia cellulare.
(fine)
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