Conoscenza – È terreno sempre
vergine, un work in progress – il più
resta da fare. Come ogni azioni, o attività, anche di pensiero. Che vada avanti
o indietro, nella storia, la riscoperta, il riconoscimento, la ricostituzione
(ermeneutica). E tanto più quando si vuole conclusiva, perfino sistematizzata.
Il tasso d’ignoranza resta più spesso di qualsiasi conoscenza.
Dio – Non è empatico.
È distante.
Cristo
non avvicina a Dio: non gli ha dato un’altra identità di quella della Bibbia,
nevrotica.
Ma
è creatore – Gesù lo è: ha creato l’uomo, con la coscienza. L’uomo riflessivo,
quale usa pensarsi – prima pensava il mondo. L’individuo, l’uomo che merita
attenzione. In ogni caso, in ogni condizione. L’anima c’era prima, in quanto
principio vitale, nel corpo ma distinto, ma non la coscienza – la
responsabilità, il diritto.
Conoscevamo
Dio senza Cristo, di fatto non ne conosciamo altri, sempre quello della Bibbia.
Ma conosciamo l’uomo solo per via di Cristo, e per come lui intende.
Che
può essere un limite?
Globalizzazione - È una forma di
uguaglianza. Quindi ingiusta.
È,
storicamente, l’immissione dei tre quarti del globo agli scambi a condizioni di
parità, col quarto più industrializzato e più ricco. Un’apertura che si condensa
nell’arricchimento rapido, a ritmi molto elevati, della Cina, un continente a
sé, col suo miliardo e mezzo di abitanti –l’area industrializzata e ricca Ocse,
o occidentale, serviva la metà di quella cifra. E con un parallelo
impoverimento, relativo (in rapporto alla crescita complessiva del pianeta), e selettivo
(sociale e generazionale), dell’area ricca. Una forma tipica di eguaglianza,
dagli effetti cioè disuguaglianti.
Tocqueville,
liberale, non se la spiegava, “la passione moderna dell’eguaglianza”. Che pure
è l’essenza del liberalismo. Fino alla proposta di legge Hansen, 2012, a nome
del partito dell’estrema sinistra svedese, il terzo maggior partito, per la
proibizione agli “individui di sesso maschile” di urinare in piedi.
Il
socialismo assunse l’eguaglianza nel momento in cui ritenne necessario assumere
la modernità – il mercato. L’eguaglianza come diritto era per Engels “qualcosa
che cade necessariamente nell’assurdo”. La “rivendicazione proletaria di
eguaglianza” Engels indirizzava all’abolizione della società di classi, e di
ogni arbitrio, di forza o di legge, non di un astratto principio di eguaglianza
– “ogni rivendicazione di eguaglianza che va al di là cade necessariamente
nell’assurdo”, scrive nell’“Anti-Dühring”. E a Bebel, il 18 marzo 1875: “Gli
abitanti delle Alpi avranno sempre altre condizioni di vita degli abitanti
delle pianure. Rappresentarsi la società socialista come l’impero
dell’eguaglianza è una concezione francese troppo ristretta”, che risponde agli
obiettivi della rivoluzione dell’Ottantanove ma “dovrebbe ora essere
sopravanzata, perché non crea che confusione negli spiriti ed è stata
sostituita da condizioni più precise e che rispondono meglio alle realtà”.
Di
fatto, nella globalizzazione, l’eguaglianza è delle “catene di valore” basate
sul lavoro cinese, senza garanzie (limiti, vincoli), né di salario né di orario.
E della finanza segreta, una sorta di iperuranio angelico-demoniaco che travalica
qualsiasi norma - un gioco senza barriere, ma non a somma zero, poiché la
moneta, che si vuole magica, è invece inflessibile: non c’è arricchimento senza
una perdita, a danno di qualcuno. Una uguaglianza compensabile di fatto dall’accresciuta
produzione globale di beni e servizi (ricchezza), ma parzialmente, e attraverso
squilibri, di impoverimento relativo. Di singoli, di collettività, e di Stati –
di capacità di una comunità di provvedere a se stessa, e comunque di
salvaguardarsi.
La
globalizzazione è un ciclo della storia, di ascese\decadenze. Con riflessi
sull’identità: l’impoverimento più che la misgenation
mette in questione l’identità - la mescolanza c’è sempre stata, anche
traumatica, con le invasioni, ma può far valere il detto “Graecia capta ferum captorem coepit”.
Induzione - Da Eco e Sebeok
ai social. Dall’epistemologia e la semiotica al manuale del fai-da-te del so-tutto audodidatta.
È
sempre materia scientifica – la probabilità. Ma più è materia pratica
ultimamente . Speculativa, materia di operatori finanziari (speculatori): Nassim
Nicholas Takeb, “Il cigno nero”, Paolo Basilico, “Uomini e soldi”, Guido Maria
Brera, “I diavoli”. O come fare soldi – derubando lecitamente, su vasta scala.
Male – Si direbbe il
punto debole di Dio, del Dio ebraico. Accettato per come è nella Bibbia, anche cattivo
o vendicativo. Ma non consono al vangelo. O allora, non il padre degenere del
figlio, che lo abbandona nel bisogno, una divinità. Di un regno che si vuole al
possibile umanizzare – nel senso di ragionevole, collaborativo, partecipe – compassionevole,
direbbe papa Francesco.
Marx – Si trascura
quanto ha mediato dalla tradizione liberale, anche se non di formazione
liberale – la formazione in Germania non glielo consentiva (lo teneva
all’oscuro), ma presto a Parigi e Londra entrò in altra formazione culturale,
tra illuminismo e liberalismo. Dalla tradizione in ultima analisi anarchica,
della libertà incondizionata. Che si esprime, con difficoltà, resistenze,
rivolte, in una rivoluzione continua.
La
nozione di eguaglianza Marx ha mediato dalla Rivoluzione francese, con riserva.
La nozione di classe ha mutuato anch’essa dagli storici liberali della
Rivoluzione, Thierry e Guizot.
Morte – “Lo
refrigerio de l’etterna gioia” evoca Dante in morte, al canto XIV del
“Paradiso”,
Peste – Non cambia
niente, non ha mai cambiato niente: assetto politico, assetto sociale, psicologia,
teologia. Il contagio non è una stranezza o un punto debole della razionalità.
È un’estensione del dominio della morte. Più massiccio ma anche meno drammatico
– di un incidente stradale, di un suicidio, di un assassinio. Non più casuale
di altre morti. Non più anticipata. E anche, in sé, prevedibile – misurabile,
contrastabile.
“Moralità
della peste”, annota Camus nei “Taccuini”, dicembre 1942, sotto uno specchietto
del romanzo “La peste” che si avviava a riscrivere: “Non è servita a niente e a
nessuno. Non ci sono che quelli che la morte ha toccato, in se stessi o nei
loro prossimi, che sono istruiti. Ma la verità che hanno così conquistato non
riguarda che loro stessi. È senza avvenire”. Senza presente.
Storia – Si può dire
immutabile, se non per slittamenti insignificanti, per via di eventi, ma non
nei registri (patterns). È stabile. È
conservativa, anche nell’innovazione.
La
storia ha tremila anni, quattro-cinquemila contando la civiltà minioca, la
scrittura cuneiforme e le ascendenze mesopotamiche. Regni o repubbliche,
migrazioni, potere e (in)giustizia, guerre, canoni, anche estetici o del gusto,
dei desideri, la nozione di felicità inclusa. Gli stessi materiali, le stesse
fogge, gli stessi canoni, di comportamento e di giudizio. Le stesse
istituzioni, perfino, civili e sociali, dalla procreazione alla morte. La
stampa e la rete macluhaniana hanno moltiplicato la comunicazione, non hanno
mutato gli assetti, sociali, psicologici, giuridici. Non c’è una polizia oggi,
o una giustizia, o un governo migliori di quelli di duemila anni fa, o solo
differenti.
La
tecnologia è molto cambiata, ma non nei suoi principi. L’elettricità è stato
l’unico Grande Balzo, che ha fatto della notte giorno, con l’accumulatore di
energia, e il motore elettrico o a scoppio – la dinamo di Faraday e Pacinotti.
L’igiene forse – l’asepsi.
Vita – Che cos’altro
ha l’uomo - possiede, in senso attivo?
Voluttà – È invenzione
tarda – non c’è nei poemi omerici. La gioia, l’ebbrezza, gli affanni, sono
scoperta del VII-VI secolo a.C., di Alceo, Saffo.
zeulig@antiit.eu
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