giovedì 7 maggio 2020

Secondi pensieri - 418

zeulig

Conoscenza – È terreno sempre vergine, un work in progress – il più resta da fare. Come ogni azioni, o attività, anche di pensiero. Che vada avanti o indietro, nella storia, la riscoperta, il riconoscimento, la ricostituzione (ermeneutica). E tanto più quando si vuole conclusiva, perfino sistematizzata. Il tasso d’ignoranza resta più spesso di qualsiasi conoscenza.

Dio – Non è empatico. È distante.
Cristo non avvicina a Dio: non gli ha dato un’altra identità di quella della Bibbia, nevrotica.
Ma è creatore – Gesù lo è: ha creato l’uomo, con la coscienza. L’uomo riflessivo, quale usa pensarsi – prima pensava il mondo. L’individuo, l’uomo che merita attenzione. In ogni caso, in ogni condizione. L’anima c’era prima, in quanto principio vitale, nel corpo ma distinto, ma non la coscienza – la responsabilità, il diritto.
Conoscevamo Dio senza Cristo, di fatto non ne conosciamo altri, sempre quello della Bibbia. Ma conosciamo l’uomo solo per via di Cristo, e per come lui intende.
Che può essere un limite?  

Globalizzazione - È una forma di uguaglianza. Quindi ingiusta.
È, storicamente, l’immissione dei tre quarti del globo agli scambi a condizioni di parità, col quarto più industrializzato e più ricco. Un’apertura che si condensa nell’arricchimento rapido, a ritmi molto elevati, della Cina, un continente a sé, col suo miliardo e mezzo di abitanti –l’area industrializzata e ricca Ocse, o occidentale, serviva la metà di quella cifra. E con un parallelo impoverimento, relativo (in rapporto alla crescita complessiva del pianeta), e selettivo (sociale e generazionale), dell’area ricca. Una forma tipica di eguaglianza, dagli effetti cioè disuguaglianti.
Tocqueville, liberale, non se la spiegava, “la passione moderna dell’eguaglianza”. Che pure è l’essenza del liberalismo. Fino alla proposta di legge Hansen, 2012, a nome del partito dell’estrema sinistra svedese, il terzo maggior partito, per la proibizione agli “individui di sesso maschile” di urinare in piedi.
Il socialismo assunse l’eguaglianza nel momento in cui ritenne necessario assumere la modernità – il mercato. L’eguaglianza come diritto era per Engels “qualcosa che cade necessariamente nell’assurdo”. La “rivendicazione proletaria di eguaglianza” Engels indirizzava all’abolizione della società di classi, e di ogni arbitrio, di forza o di legge, non di un astratto principio di eguaglianza – “ogni rivendicazione di eguaglianza che va al di là cade necessariamente nell’assurdo”, scrive nell’“Anti-Dühring”. E a Bebel, il 18 marzo 1875: “Gli abitanti delle Alpi avranno sempre altre condizioni di vita degli abitanti delle pianure. Rappresentarsi la società socialista come l’impero dell’eguaglianza è una concezione francese troppo ristretta”, che risponde agli obiettivi della rivoluzione dell’Ottantanove ma “dovrebbe ora essere sopravanzata, perché non crea che confusione negli spiriti ed è stata sostituita da condizioni più precise e che rispondono meglio alle realtà”.
Di fatto, nella globalizzazione, l’eguaglianza è delle “catene di valore” basate sul lavoro cinese, senza garanzie (limiti, vincoli), né di salario né di orario. E della finanza segreta, una sorta di iperuranio angelico-demoniaco che travalica qualsiasi norma - un gioco senza barriere, ma non a somma zero, poiché la moneta, che si vuole magica, è invece inflessibile: non c’è arricchimento senza una perdita, a danno di qualcuno. Una uguaglianza compensabile di fatto dall’accresciuta produzione globale di beni e servizi (ricchezza), ma parzialmente, e attraverso squilibri, di impoverimento relativo. Di singoli, di collettività, e di Stati – di capacità di una comunità di provvedere a se stessa, e comunque di salvaguardarsi.

La globalizzazione è un ciclo della storia, di ascese\decadenze. Con riflessi sull’identità: l’impoverimento più che la misgenation mette in questione l’identità - la mescolanza c’è sempre stata, anche traumatica, con le invasioni, ma può far valere il detto “Graecia capta ferum captorem coepit”.

Induzione - Da Eco e Sebeok ai social. Dall’epistemologia e la semiotica al manuale del fai-da-te  del so-tutto audodidatta.
È sempre materia scientifica – la probabilità. Ma più è materia pratica ultimamente . Speculativa, materia di operatori finanziari (speculatori): Nassim Nicholas Takeb, “Il cigno nero”, Paolo Basilico, “Uomini e soldi”, Guido Maria Brera, “I diavoli”. O come fare soldi – derubando lecitamente, su vasta scala.

Male – Si direbbe il punto debole di Dio, del Dio ebraico. Accettato per come è nella Bibbia, anche cattivo o vendicativo. Ma non consono al vangelo. O allora, non il padre degenere del figlio, che lo abbandona nel bisogno, una divinità. Di un regno che si vuole al possibile umanizzare – nel senso di ragionevole, collaborativo, partecipe – compassionevole, direbbe papa Francesco.

Marx – Si trascura quanto ha mediato dalla tradizione liberale, anche se non di formazione liberale – la formazione in Germania non glielo consentiva (lo teneva all’oscuro), ma presto a Parigi e Londra entrò in altra formazione culturale, tra illuminismo e liberalismo. Dalla tradizione in ultima analisi anarchica, della libertà incondizionata. Che si esprime, con difficoltà, resistenze, rivolte, in una rivoluzione continua.
La nozione di eguaglianza Marx ha mediato dalla Rivoluzione francese, con riserva. La nozione di classe ha mutuato anch’essa dagli storici liberali della Rivoluzione, Thierry e Guizot.

Morte – “Lo refrigerio de l’etterna gioia” evoca Dante in morte, al canto XIV del “Paradiso”,

Peste – Non cambia niente, non ha mai cambiato niente: assetto politico, assetto sociale, psicologia, teologia. Il contagio non è una stranezza o un punto debole della razionalità. È un’estensione del dominio della morte. Più massiccio ma anche meno drammatico – di un incidente stradale, di un suicidio, di un assassinio. Non più casuale di altre morti. Non più anticipata. E anche, in sé, prevedibile – misurabile, contrastabile.
“Moralità della peste”, annota Camus nei “Taccuini”, dicembre 1942, sotto uno specchietto del romanzo “La peste” che si avviava a riscrivere: “Non è servita a niente e a nessuno. Non ci sono che quelli che la morte ha toccato, in se stessi o nei loro prossimi, che sono istruiti. Ma la verità che hanno così conquistato non riguarda che loro stessi. È senza avvenire”. Senza presente.

Storia – Si può dire immutabile, se non per slittamenti insignificanti, per via di eventi, ma non nei registri (patterns). È stabile. È conservativa, anche nell’innovazione.
La storia ha tremila anni, quattro-cinquemila contando la civiltà minioca, la scrittura cuneiforme e le ascendenze mesopotamiche. Regni o repubbliche, migrazioni, potere e (in)giustizia, guerre, canoni, anche estetici o del gusto, dei desideri, la nozione di felicità inclusa. Gli stessi materiali, le stesse fogge, gli stessi canoni, di comportamento e di giudizio. Le stesse istituzioni, perfino, civili e sociali, dalla procreazione alla morte. La stampa e la rete macluhaniana hanno moltiplicato la comunicazione, non hanno mutato gli assetti, sociali, psicologici, giuridici. Non c’è una polizia oggi, o una giustizia, o un governo migliori di quelli di duemila anni fa, o solo differenti.
La tecnologia è molto cambiata, ma non nei suoi principi. L’elettricità è stato l’unico Grande Balzo, che ha fatto della notte giorno, con l’accumulatore di energia, e il motore elettrico o a scoppio – la dinamo di Faraday e Pacinotti. L’igiene forse – l’asepsi.

Vita – Che cos’altro ha l’uomo - possiede, in senso attivo?

Voluttà – È invenzione tarda – non c’è nei poemi omerici. La gioia, l’ebbrezza, gli affanni, sono scoperta del VII-VI secolo a.C., di Alceo, Saffo.


zeulig@antiit.eu

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