La ninfa Callisto, invitata a Parigi, scopre
che tutto è come duemila o tremila anni prima, fogge, materiali, abitudini,
tessuti, metalli, pietre, passioni, paure, pose. Il racconto del titolo è un
piccolo capolavoro. “Un’ascesa al Venusberg”, il monte di
Venere, pure. Che non è pornografia, Louÿs stesso lo spiega: monte di Venere è
un toponimo, una collina nel Marienthal in Turingia, la valle di Maria, davanti
alla bachiana Eisenach, con una Venushöhle, una grotta di Venere, in custodia
ai monaci, castamente ribattezzata monte Hörsel, da cui Tannhäuser luminoso è
stato generato per il genio di Wagner allora impaludato nella “Saracena”, la
fase mediorientale dell’opera - e forse è Ursel, Orsolina, quella delle undici
o undicimila vergini, che reincarna la dea germanica Freya.
Altri brevi racconti
esplorano relazioni impossibili: della mummia di Psammetico, di una delle gemelle
siamesi, di uno stupro inconsumato.
Fantasia
e erudizione sono il proprio del francesissimo scrittore belga, che la
pornografia cui ha indulto ha bollato all’Inferno – l’Enfer è (o era, prima del liberi tutti) chiamato il reparto della
Bibliothéque Nationale a Parigi che custodisce i testi in odore di oscenità. Compagno
di liceo di Gide, primo editore di Valèry, appassionato fotografo di nudi,
molto somigliante da ragazzo al ritratto canonico di Proust, e molto mondano,
anche lui si “ritirava” per “scrivere”, chioma disordinata, sguardo insonne.
Pierre Louÿs, Una volupté nouvelle, L’Arbre vengeur,
pp. 123 € 7,50
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