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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (427)
Giuseppe Leuzzi
Federico
Zeri mostra in “Dietro l’immagine” una piccola tavola di Antonello da Messina,
dipinta nelle due facciate, che su quella frontale ha un Cristo in “aspetto che
oggi si definirebbe mafioso”. Un Cristo
dolente, alla flagellazione, certo non bello. Nell’ovale, il nasone, gli occhi.
Però fa effetto che un dipinto del Quattrocento, di Antonello, un Cristo
nascosto in una collezione privata americana, diventino notevoli grazie all’aggettivo
mafioso.
Il
professor Zarrillo, direttore del San Raffaele di Milano, lo stesso ospedale
che propagò il contagio tre mesi fa, lo dichiara ora finito – “il virus è
sfinito”. Così si fa. Nessuno ride.
Oppure:
il virus sara sfinito al San Raffaele, troppo lavoro.
L’eroe è un
bruto
L’eroe
classico (greco) è un bruto, prima di Teseo. Si potrebbe argomentare in questo
retaggio la proliferazione “naturale” (spontanea) delle mafie. “Pare che in
quell’età”, scrive Plutarco (dove?), “vivessero uomini che, per destrezza di
mano, velocità di gambe e forza di muscoli, superavano la natura consueta ed
erano instancabili. Mai usavano le loro doti fisiche per fare del bene e
giovare agli altri, bensì si compiacevano nella brutale arroganza e godevano a
sfruttare la propria forza per azioni selvagge e feroci, soggiogando,
maltrattando e sterminando chi cadeva
nelle loro mani. Il rispetto, la giustizia, l’equità, la magnanimità per
loro erano virtù apprezzate soltanto da chi mancava del coraggio di fare il
male e aveva paura di subirne, ma non riguardavano chi aveva la forza per
imporsi”.
Non
è così. Le mafie sono un problema dei Carabinieri. E non si conoscono mafiosi
atletici, sono flaccidi in genere, e abili solo con le armi, a tradimento. Del
resto, Teseo, fondatore di Atene, deve esserne espulso: ha fatto un numero
eccessivo di morti, ha abusato degli dei, morirà assassinato in una faida –
nessuno è santo in vita. Però, volendo nobilitare le mafie, è suggestivo.
Con
Teseo peraltro le cose cambiano, avendo lui inventato “l’arte della lotta”,
sena più trucchi e sotterfugi: “Prima di Teseo era solo una questione di
statura e di forza bruta”. Prima della legge – del canone, del codice.
Il virus va al
Sud
“Vorrei
vedere, se invece della Lombardia, al centro del’epidemia ci fosse stata una regione
del Sud”. Non proprio in questi termini, ma contrariato dalle pressioni della Lombardia
per aprire gli spostamenti senza più alcun controllo, il presidente della
Toscana Enrico Rossi lo ha però detto: “Vedere Fontana e anche Sala così spinti
verso le riaperture, dopo il disastro che proprio in Lombardia ha avuto il suo
epicentro, mi lascia sbalordito e contrariato. Chissà se al posto della
Lombardia ci fossero state altre regioni, magari del Sud…”. Fontana, Lega, e
Sala, Pd come Rossi, uniti nella lotta.
Non
è sorprendente ma è incredibile che non ci sia autocritica a Milano. Anche una
limitata, di una sola persona. Un articolo di giornale - se ne scrivono tanti
ogni giorno.
A
Bergamo intanto la Procura della Repubblica solerte lavora a incriminare Roma.
Il governo. Le autorità sanitarie. È colpa loro se gli ospedali sono stati
gestititi male e malissimo in Lombardia, negli ospedali e dai medici di base, disinformati.
E se Bergamo non è stata dichiarata “zona rossa”.
Non
sembra. La Procura chiama a testimoniare il presidente della Regione Lombardia
e il suo assessore alla Sanità. Personaggi non si sa se più ridicoli o incapaci.
Ma la giudice milanesissima Maria Cristina Rota, che ha attivato la procedura,
non lo nasconde: si aspetta che la colpa sia di Roma. Solo, annora non sa come.
Milano
non ha finito di appestare e già butta la merda ai piani bassi, come usa. Il
leghismo non è un episodio.
Calabria
Ha
allevato e valorizzato personalità notevoli: Cassiodoro, Cicco Simonetta, Campanella,
Telesio. Che però non hanno proliferato. La Calabria non fa sistema. Per una aloofness che ritiene da puzza al naso (snobismo)
ma è più probabile tribale (anarchismo).
Un Joanni
(Joanne) Maurello è autore di un lungo “Lamento per la morte di don Enrico d’Aragona”
un epicedio in dialetto calabrese, cosentino: 296 versi, divisi in quattro
parti (“capituli”), stampati a Cosenza nel 1478. Ma non se ne sa nulla, né della
vita né dell’opera, e nessuno se ne occupa.
Di don Enrico d’Aragona,
un non personaggio, invece si sa tutto: figlio bastardo del re di Napoli
Ferrante, morì giovane – l’occasione dell’icedio – nel castello di Terranova di
Sibari, per avere mangiato funghi velenosi.
I
Bronzi di Riace a Reggio Calabria si celebrano per la bellezza. Mentre sono
esemplari unici: “Sono un esempio praticamente unico di cosa dovessero essere i
grandi bronzi greci del V secolo a.C.”, Federico Zeri, “Dietro l’immagine”,
61-62. Non ne sono rimasti altri. Ma Reggio, che li espone, non attira gli
studiosi – non promuove studi, non organizza simposi, non si fa pubblicità.
La
regione con la sanità ufficialmente più disastrata, con le amministrazioni di
destra e con quelle di sinistra, ha effettuato lo stesso numero di tamponi, più
o meno, per 100 mila abitanti della Toscana, l’Emilia-Romagna, la Liguria, e
molti di più di tutte le altre regioni meridionali. La necessità aguzza
l’ingegno? Al Sud è proverbio errato. Ma qualche verità deve avercela.
Il
maestro Arlia, 31 anni, concerti ala Carnegie Hall e alla Filarmonica di Berlino,
è celebrato da “Buone Notizie”. Tipo un immigrato che ce l’ha fatta. O una coltivazione
sfiziosa – il crisantemo sulla tomba, o sulla spazzatura.
Arlia
è celebrato anche come “più giovane direttore di conservatorio d’Italia”, il “Tchaikovsky”
di Catanzaro-Nocera Tirinese – lo dirige dal 2014, cioè dai suoi 24 anni. Un
conservatorio di cui si dice: “900 studenti, una parte consistente dei 5 mila
aspiranti musicisti della regione”. Come di perditempo, o di illusi,
superficiali. Calabria non si può legare a musica, anche se molti la praticano.
Alarico,
dopo aver saccheggiato Roma, pretese per il riscatto metalli preziosi e sacchi
di pepe. Forse
per questo si avventurò in Calabria: era ghiotto di peperoncino.
Ma
questo Alarico, di cui Cosenza si onora, in effetti è rincuorante: che il
glorioso impero romano sia crollato per mano sua. C’è sempre una speranza.
Emanuele
Trevi, “Due vite”, dice che Rocco Carbone s’immaginava come il comm. Ingravallo
di Gadda, “misero e pertinace”. Per essere, pensa Trevi, “arrivato in città da
un Meridione opaco, per niente solare e tanto meno dionisiaco: un retroterra di
grigiore sociale e culturale dal quale era possibile portarsi dietro
nient’altro che il decoro del contegno e una scienza disillusa del cuore
umano”. Ma a Reggio, dove Rocco era nato, e a Cosoleto, dove era cresciuto, con
la madre maestra e il padre sindaco, no: la cultura non manca, né il decoro.
Nella
villa palladiana di Nugola a Pisa, dove Rocco vive un matrimonio alla Grande
Gatsby con Samantha Traxler, Trevi nota invece un particolare molto calabrese:
“Nel garage fiammeggiava una Bmw rossa, regalo di nozze dei suoi”. Al Figlio.
Persefone,
nume tutelare di Locri e delle subcolonie locresi, figlia di Demetra e Zeus, è
incestuosa, prima che vittima di Ade – che peraltro era suo zio, fratello del
padre: con Zeus genera il Toro, di molte toponomastica e varia simbologia.
Locri
è colonia femminista – matrilineare. Ma la donna non vi ha nome in realtà. “Persefone
o Persefatta” Calasso (“Le nozze di Cadmo e Armonia”,225-6) dice “nomi oscuri,
nelle cui lettere risuonavano l’assassinio (phónos)
e il saccheggio (pérsis). Sovrapposti
a una bellezza senza nome se non di Fanciulla: Core”. I Greci non amavano le
donne.
leuzzi@antiit.eu
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