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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (429)
Giuseppe Leuzzi
“Il
dominio naturale ha Comunità naturale, il violento violento”: è uno degli
“aforismi” di Campanella, recuperati dalla vecchia edizione 1911 (Lanciano,
Carabba), a cura di Domenico Ciàmpoli, “La città del sole & aforismi”. Da
quando il Sud è diventato violento? Da dopo l’unità – in Calabria con la
Repubblica.
“La
metamorfosi classica naturalizza, il
rito cristiano umanizza”, spiega
Carlo Ossola in “Dopo la gloria”. Bisognerebbe spiegarlo ai vescovi urtati dal
“paganesimo”: ciò che è pagano e ciò che non lo è – nelle processioni e nei
riti in genere. Sanzionabile forse, come ignoranza e superstizione, ma umana e
cristiana - volendo fare a meno della tradizione.
Conversando
con Mahmud Salem Elsheikl nel 1980 a Forte dei Marmi Montale
s’inquietava di sapere se ci sono dialetti arabi: “Se i dialetti sono innovativi
rispetto all’arabo, o sono ancora più arcaici” (la conversazione è riportata in
“Poesia travestita”, 13). Dialetti innovativi? Oggi di direbbe una curiosità
molto più bizzarra che quarant’anni fa – oggi tutti parlano dialetto per non
dire nulla.
Leggi temperate
Tra
gli aforismi del 1601, non molto puntuti, Campanella si fa questo atlante
politico dell’Europa: “Alli
settentrionali per natura feroci non conviene imperio stretto, ma licenzioso,
perché a pena di Repubblica portano il peso. Però Anarchie e Repubbliche e
Principati solo per elezione per lo più si fanno, come i Tartari, i Moscoviti,
i Poloni, i Svezii, i Germani, i Svizzeri mostrano…
“Alli
meridionali, massime a quelli che stanno sotto ai tropici, non convengono se
non principati che a bacchetta comandino, e leggi severe; perché son deboli di
forze ed astuti e religione cerimoniosa…”…
Non
che sotto i Tropici si sapesse allora granché. Ma “nelle regioni mezze tra il
settentrionale e il tropico, Repubbliche e Principati temperati, e leggi più o
meno severe, secondo che più o meno ai Tropici s’avvicinano, convennero sempre,
come a’ Greci, Italiani, ecc.”.
C’è
da sperare.
Ma fia, figlia
mia
Una
nuova fantasiosa etimologia della parola mafia – la parola sembra eccitare la
fantasia – in aggiunta alle tante che abbiamo repertoriato in “Fuori l’Italia
dal Sud”, è di Gay Talese nel vecchio “Onora tuo padre”. Durante i Vespri
Siciliani, racconta Talese, “migliaia di francesi furono uccisi in pochi
giorni, e si è preteso da alcuni storici locali che la Mafia (la mafia è maiuscola in Talese, nd.r.) è
iniziata allora, prendendo il nome dal grido angosciato della madre di una
bambina che correva per le strade urlando ma
fia, ma fia, figlia mia figlia mia”.
Non
si sa da dove Talese l’abbia presa – è scrittore accurato, preciso, perfino
troppo. Ma non sarà per questo che dalla mafia non ci si salva.
Un
racconto, benché minuzioso, straordinariamente accattivante, e per questo
pericoloso. Del fallimento della mafia siculo-americana, di fatto della sua
disintegrazione – il peggiore nemico della mafia è la mafia. Ma con un che di
tragico, mitico. Uno ha difficoltà a tornare ai Riina, ai Provenzano, i
corleonesi mediocrissimi sanguinari.
I don notabili
Nel monumento alla mafia siculo-americana che è “Onora tuo padre”, Gay
Talese usa “don” per capomafia, non “padrino” (godfatner) come i boss venivano
chiamati dall’Fbi e dai media dopo Puzo. Usa il “don” come usavano tra loro i
capimafia e i subordinati: i “dons” si riunivano, i “dons” discutevano, la
commissione dei “dons” decideva. L’ambizione dei mafiosi era – è – di diventare
notabili, più che di arricchirsi. Di arricchirsi per diventare notabili.
Nella
stessa apologia, “Onora tuo padre”, Talese fa di Josegh Bonanno e Peter
Magaddino, capimafia in America negli anni 1950-1960, originari di
Castellammanre del Golfo, Trapani, due ragazzi antifascisti, in guerra contro i
metodi militari del prefetto di Mussolini, con controlli, divieti e violenze
per tutti, cioè per i molti non mafiosi. Studenti a Palermo al Collegio
Nautico, avevano “aderito a una giovane organizzazione radicale antifascista
che faceva circolare letteratura antifascista, denunciava Mussolini in
volantini e manifesti, e rubava o danneggiava le sue immagini negli edifici
pubblici”. Mori ne decretò l’arresto, ma i due ragazzi fuggirono, con cinque mafiosi, su una nave da carico diretta a Marsiglia. Da qui furono a Parigi,
ospiti di un cugino di Bonanno che era pittore. Quindi si imbarcarono per Cuba.
E da Cuba furono trasbordati a Tampa.
Per una storia
comparata delle mafie
Ci
sono tante storie delle mafie. Anche se non documentate, se non dal punto di
vista della repressione – e non può essere che sì così, la mafia è crimine,
peggio in quanto associazione a delinquere segreta, e quindi non lascia tracce,
non vuole. Ma anche accettando queste storie per buone, hanno un difetto: non
sono comparative. In questo – anche in
questo – l’America ha creato un precedente. Ha catalogato le mafie su
base etnica, e ne ha rilevato una rotazione: quando prevale l’una non c’è
l’altra. La mafia è stata in America irlandese tra fine Ottocento e primo
Novecento, ebrea tra le due guerre, italiana (siculo-napoletano) a partire dal
proibizionismo e fino agli anni 1960. Poi latinoamericana e afroamericana.
Si
potrebbe caratterizzare la mafia etnicamente, oltre che periodizzarla, anche da
noi. Quella siciliana contro i Borboni. Napoletana e siciliana contro i
piemontesi. Calabrese, siciliana e napoletana pro e contro la Repubblica.
Problemi di base
mafiosi
Questo
sito ha una rubrica che intitola Problemi di base. È curioso, inquietante, che
i problemi di base mafiosi non vengano posti, di fatto non nella rubrica. Chi e
perché diede a Riina e Provenzano le coordinate esatte , di tempo e luogo, per
la strage di Capaci, che necessitava di lunga e complessa preparazione,
compresa la segretezza o mascheratura mentre si facevano opere di scasso, di
un’autostrada. Lo stesso per via d’Amelio. Tanto più, nel secondo caso, che
l’attenzione dell’apparato repressivo doveva essere al culmine. Chi e perché ha
spiegato a Riina e Provenzano, ignoranti, rozzi, il senso di san Giorgio al Velabro
(Campidoglio), dei Georgofili, della Galleria milanese di Arte Moderna?
Annetta è
napoletana
“Annetta”,
una delle “donne” di Montale, è Anna, figlia di un ammiraglio Nicastro,
napoletano. Di Gustavo Nicastro, che
visse a lungo anche lui in Versilia (morì a Viareggio, nel 1940), ammiraglio di armata,
senatore del regno, o del suo fratello minore Ugo, anch’egli ammiraglio.
Montale,
che non amava parlare delle “donne” dei suoi versi, spiega a Mahmud Salem
Elsheikl, grande italianista, accademico della Crusca, in visita deferente a Forte
dei Marmi, con Rosanna Bettarini, il 18 luglio 1980 (la conversazione è
riprodotta parzialmente dall’accademico in Eugenio Montale, “Poesia
travestita”), che Anna “era figlia di uno dei due ammiragli che tornano in una
poesia”. Il prosieguo è così sintetizzato da Elsheikl: “I due ammiragli
omonimi, rivela Montale, si chiamavano Nicastro , e con espressione furbastra
aggiunge: «Non credo che ci siano altri esempi di ammiragli italiani omonimi».
Non
si ferma qui Montale, è preda di un raptus di generosità.”Non credo di dover
dedicare”, aggiunge nel resoconto di Elsheikl, “la capinera alla figlia di nessun ammiraglio. Tuttavia suo padre aspirava
ad aiutarmi”. A trovare un impiego: Montale giovane non aveva professione.
“Annetta”
del “Diario del ‘72” è un’evocazione di gioventù, con l’amico Bisolfi, tra la
“rupe dei doganieri\, e la foce del Bisagno dove ti trasformasti in Dafne”. Ed
è l’”Annetta – Arletta” della lirica del 1930, che diede il nome alla plaquette
del 1932 che risulterà la prima pubblicazione di quelle che saranno “Le
Occasioni” – di cui ora la plaquette costituisce
la quarta e ultima parte.
La
conversazione con Elsheikl è l’unico punto fermo della questione. Le
ricostruzioni in genere fanno capo alla famiglia degli Uberti, che aveva
gradito e facilitato l’accostamento. “Annetta” sarebbe Anna degli Uberti,
figlia sempre di un ammiraglio, Guglielmo degli Uberti, anch’egli napoletano, e
di madre livornese, Margherita Uzielli, di famiglia di Livorno di origine ebraica
sefardita, che per questo ebbe qualche noia nel 1939 – la madre si adopererà
molto per l’accostamento. Gli Uberti nei primi anni 1920 trascorrevano le vacanze
a Monterosso.
Anche
Guglielmo aveva un fratello ammiraglio, Ubaldo, sommergibilista di molte
imprese, e poi buon amico e confidente
di Ezra Pound a Rapallo.
leuzzi@antiiit.eu
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