martedì 16 giugno 2020

Secondi pensieri - 422

zeulig

Amore - Dice bene Lou Salomé, l’amore dura finché ognuno resta se stesso. Finché cioè non si adatta, anche se per convenienza, di buona volontà, timorosamente, non si uniforma. Ma le differenze agiscono dolorosamente. Tanto più in tre stanze - quando non in due. Senza più l’osteria di rincalzo, o il bar, il biliardo, le quattro chiacchiere con gli amici, ma casa e lavoro, lavoro e casa, invariabili, monotoni.
Non ha più spazio.
 
Ereignis – Concetto centrale in tutti gli stadi di Heidegger, è così repertoriato dallo stesso, in “Il principio di identità” (in “Identità e differenza”), p.44: “La parola Ereignis, “evento”, è tratta dal tedesco ormai formato. Originariamente er-eignen significa er-äugen, ossia scorgere (erblicken), chiamare a sé nel guardare, fare proprio, (en-eignen). Ora, pensata in base alla cosa indicata, la parola Ereignis, “evento”, deve parlare come parola-guida al servizio del pensiero. In quanto parola-guida così pensata essa è intraducibile al pari della parola-guida greca λόγος o della parola cinese tao”.
E ancora: “La parola Ereignis, «evento», qui non intende più ciò che solitamente definiamo come un qualsiasi avvenimento, un fatto che accade. La parola è utilizzata ora come singulare tantum, nome invariabile”. Ciò che essa nomina avviene soltanto al singolare, anzi, qui non si ha nemmeno più a che fare con un numero, ma con qualcosa di unico”. Un miracolo - intendendo peraltro dire semplicemente: ciò che ci riguarda.
 
Heidegger - Alla fine, si potrebbe anche dire di Heidegger come di uno che provò a rinnovare il vocabolario, con esiti incerti, senza più? Il “Vocabolario Heidegger”, o dell’indefinitezza.
Diventato famoso, per lungo tempo, grazie a Hitler dopo la sconfitta di Hitler – a una sconfitta, cioè, non digerita.
 
Kant – È un altro in Simone Weil, che “Kant conduce alla grazia”, dice, la filosofia porta alla religione: “Kant vi porta segnando i limiti della ragione, che non produce ciò che pensa, ma lo riceve”, con i suoi cento talleri possibili che nulla aggiungono ai cento talleri reali. Il reale è il possibile, certo, anche di noi desideranti, ma il contrario è pure vero: “Lo stesso per Dio”. L’intelligenza serve a ripulire l’ambiente dei falsi dei: il falso Dio che somiglia in tutto al vero, eccetto che non lo si tocca, impedisce per sempre di accedere al vero. Alla nostra verità, non del Dio astratto.
 
Minoranze – Nella nuova dottrina dei diritti universali, dell’eguaglianza e quindi della protezione del più debole, sono totalitarie e irriconoscenti. Questo è di ogni movimento rivoluzionario, o di affermazione dei diritti, ma qui perspiscuamente, incongruamente, nel nome della minorità-minoranza.
 
È normale se non  giusto. Nella fase dell’affermazione, rivoluzionaria, e anche dopo, del consolidamento. Ma allora non più nel nome dell’eguaglianza, se questa è acquisita, bensì nella deriva politica inevitabile verso l’autoaffermazione senza limiti, in mancanza di contrappesi. Tendenza a cui la minoranza sembra portata inevitabilmente, pretenziosa, distruttiva, germinativa, per gemmazione si direbbe, per partenogenesi. Una società aperta che subito si fa chiusa, perfino ottusa (anonima, meccanica), e di una sola opinione, irriflessa, all’insegna del “tutto subito”. Provocando inevitabile un movimento di bascula – quello che si semplifica come destra e sinistra.
 
È la caratteristica (limite) che fa dell’immigrazione un problema: la minoranza si vuole divergente e non convergente. L’irriconoscenza (l’insoddisfazione) è perfino dichiarata nei movimenti migratori, la non integrazione. Che si impongono – con la forza del bisogno, e dell’obbligo di carità - ma non si integrano. Se non in un quadro piramidale, o di scala di apprezzamento, tra le varie destinazioni – con gli Stati Uniti alla cuspide. E quindi con una riserva. Contro il mondo di cui stanno beneficiando, benché per la prima e ancora unica volta, se non in esclusiva – se non ci sono alternative.
Il somalo e il sikh si acconciano all’Italia, ma dopo che non hanno potuto raggiungere la Germania e la Gran Bretagna, dopo averci tentato con gli Statu Uniti. Arabi, Indiani, Iraniani, Africani, anche gli Ebrei nel dopoguerra, tutti i popoli in fuga da sé  sempre agli Usa guardano – pretendono al meglio  È il ragionamento che la Libia faceva, la Libia di Gheddafi, che i suoi studenti mandava alle università americane, a migliaia ogni anno, pagando rette salatissime: “L’Europa non esiste,  dunque gli Usa”. Lo stesso poi, su altra scala, l’Iran degli ayatollah.
 
Musica – Porta all’astrazione. È risaputo che Prokof’ev, pur essendo pieno del tempo, un uomo del tempo, nel 1917 si astrasse  nella sua dacia nei dintorni di Pietroburgo, “in assoluta solitudine”, a leggere Kant e comporre la sua sinfonia “classica”, Haydn inseguendo e Mozart, senza le incrostazioni di Beethoven. Mentre il popolo al fronte si ribellava e nelle città ribolliva la rivoluzione. Analogamente Richard Strauss, nell’estate del 1942, mentre Hitler gioiosamente suicidava la Germania nelle steppe, si dilettava a musicare “Capriccio”, la storia in cui l’abate Casti discute del primato, nel melodramma, della parola o della musica.
 
Nietzsche – Un parodista, magari senza volerlo (saperlo)? Ritorna – ciclica – l’ipotesi che Nietzsche si divertisse e intendesse divertire – improbabile, ma l’ermeneutica è improbabile. Ritorna con una “custode delle memorie”, Babette Babich, la filosofa americana del “New Nietzsche”, di “Nietzsche e la scienza”, e dei “New Nietzsches Studies” (“Nietzsche and Kant” è uno dei numeri, “Nietzsche and the Jews” un altro), che insegna alla Fordham, l’università gesuita di New York, in “Incipit parödie. Nietzsches Empedokles/Zarathustra. Zwischen Lukians uperanthropos und Nietzsches Űbermensch”. Tra Empedocle, l’eterno ritorno, e Luciano, il superuomo. Un esercizio più ampio, questo della nietzscheologa americana, riportando in gioco l’eterno ritorno oltre al superuomo - la novità dei quattro volumi di “Così parlò Zarathustra”.
Ma in tema di parodia la novità è relativa: era già materia nel 1995 da Robert Gooding-Williams, lo studioso afro-americano di W.H.DuBois, in “Zarathustra’s Descent: Incipit tragoedia. Incipit parodia”. E prima ancora del poligrafo Sander Gilman – da noi conosciuto per le controversie dell’ebraismo, “Il mito dell’intelligenza ebraica”, 2007, e per le curiosità, “La strana storia dell’obesità”, 2008, e “La storia del fumo”, 2009, ma già autore di “Conversations with Nietzsche: A Life in the Words of his Contemporaries”, 1991 - in  “Nietzschean Parody”, 1976, e “Incipit Parodia:  the function of Parody in the lyrical Poetry of Friedrich Nietzsche”, 1975 .
Non una novità, insomma. Prima ancora Klossowski, “Nietzsche, il politeismo e la parodia”, vi si era esercitato nel 1958, a proposito della parte prima del lirico trattato, della nozione di superuomo che vi entra nel gergo nietzscheano: come se “superuomo” fosse una maniera per dire l’inconsistenza e l’inconseguenza della riflessione al tempo di Nietzsche, positivista.
Lo stesso Nietzsche suggerisce che “incipit tragoedia” si potrebbe leggere “incipit parodia”. Gooding-Williams ha argomentato che quello che Nietzsche suggerisce – o il suo scritto comunque porta a concludere - è che “Zarathustra” non è “soltanto una tragedia ma anche una parodia del Neoplatonismo e una lettura paolina della Bibbia”.
 
Streit – Quello degli storici tedeschi negli anni 1980, quello delle Facoltà all’epoca di Kant, sempre in Germania, più che contesa o controversia indica difficoltà, spiega Heidegger avviando la conferenza “La struttura onto-teo-logica della metafisica” (in “Identità e differenza”, 53): “La parola tedesca Streit (in antico alto-tedesco strit), “contesa”, non significa in primo luogo la discordia, bensì l’angustia”.

zeulig@antiit.eu

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