Dispersi nell'analogia
Daumal
è recuperato da Calasso ne “Il cacciatore celeste”, il suo “libro degli amici”
sugli autori tra le due guerra. Di gente che viveva sopra il vulcano senza (pre)occuparsene.
O della fine delle avanguardie, profetiche e sterili – che evaporano al momento
della “produzione”, si sfilacciano, l’autore lasciando solo e confuso: Daumal
chi? un pazzo? Un autore cui Adelphi malgrado tutto è fedele: ne ha proposto
tutto, o quasi tutto, e questo “Monte Analogo” in più edizioni.
Questo
“romanzo d’avventure non euclidee e biblicamente autentiche”, come le vuole l’autore
nel sottotitolo, era in catalogo Adelphi già all’inizio del’attività, nel 1968.
In un catalogo cioè che si caratterizzava per l’insofferenza verso il “nuovismo”.
Forse perché pubblicava gli autori di Bobi Blazen, catastrofici per snobberia,
prima che lo stesso Calasso e Luciano Foà indirizzassero l’editrice. L’edizione
1968 era da un trentennio circa già negli Adelphi, Daumal ha un suo pubblico.
Ora Claudio Rugafiori ne propone una riedizione, riveduta, e ampliata con altre
note e riflessioni di Daumal sul romanzo in
progress.
Daumal
è degli anni 1930: muore nel 1944, ha iniziato il “Monte analogo” nel 1938, al
compimento dei trent’anni ma minato dalla tubercolosi. Avvia cioè qualcosa che
non pensa di concludere, non ne ha un disegno prestabilito. Lascia quindi un’opera
aperta, come l’impianto. Otto alpinisti, amici, partono alla ricerca del Monte
Analogo, la vetta più alta del mondo, un’isola che è un continente. Che appare
e scompare, con la luce e la riflessione. Una visione, un desiderio. “la
montagna è il legame fra la Terra e il Cielo”. Ma la meta è raggiunta, per
riflessione: il viaggio è verso il proprio “centro”, facilitato, dall’uso delle
analogie. Se non che s’interrompe prima dell’ascesa, al Campo Base. E non per
un termine simbolico: l’autore è morto.
Non
un romanzo d’avventure. Né sperimentale, come sembra a tratti - s’incontrano
pagine di segni ortografici, parole curiose, sogni irrelati. Neanche di
riflessione. Daumal, appassionato di filosofia indu, conoscitore del sanscrito, locupleta
la singolare spedizione di sogni, fantasie, visioni, aneddoti, miti, canzoni,
ragionamenti, ognuno significante per sé ma non congruenti. Un viaggio aperto. Ma
di forte malinconia, come un rimpianto della vita – “Cercando se stessi, si
vede che non si è niente, vedendo che non si è niente si desidera divenire,
desiderando divenire si vive”.
Condiscepolo
di Simone Weil, con la quale si dedicò a studiare il sanscrito, nella classe di filosofia di
Alain al liceo Henri IV. Daumal non ne media le accensioni. Anche nella deriva misticheggiante,
l’estensione è inerte, quasi meccanica, dell’immaginario, prolissa più che
fantastica o coinvolgente.
René
Daumal, Il Monte Analogo, Adelphi,
pp. 144 € 18
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