Heidegger ancorato ai vecchi primati nazionali
La questione Heidegger – tra
nazismo e antisemitismo - vista da un altro punto di osservazione: l’identità
tedesca, ossessione dei suoi discorsi politici, di alcune lezioni e di molte annotazioni
nella prima metà degli anni 1930: “Chi samo noi? Che significa avere
un’identità – in particolare che significa essere tedesco?”.
L’idea è venuta allo studioso dell’università
di Barcellona, autore di un “Heidegger and the emergence of the question of being”,
nonché ultimamente di un “Heidegger’s Black Notebooks and the Question of
Anti-Semitism”, con la domanda che apre i “Quaderni neri”: “Chi siamo noi?” - noi
tedeschi, non noi esseri umani. Un interrogativo non casuale: la questione
Adrian analizza su tre tracce. Soprattutto rivedendo lo Hölderlin di Heidegger,
acculato alla nozione di “Germania segreta” (Geheimes Deutschland) che era stata invece elaborazione dell’antimodernista
Circolo Stefan George, di due dei suoi membri più rilevanti, Norbert von Hellingrath
e Max Kommerel. La nozione di “Germania segreta” era stata comune a tutto il
romanticismo, a Fichte, Schiller, Herder, Heine tra i tanti, che spesso,
commossi, “evocano una grande, misteriora, celata e ignota Germania che deve
ancora venire”. Mentre Hölderlin, proprio lui, ne aveva concezione diversa, e
definita: “Tutti i gli accenni di Hölderlin alla «Germania segreta» si
riferiscono al suolo nativo (Heimatboden)
e al radicamento (Bodenständigkeit).
Ma il suolo natio e il radicamento sono intesi non in forma materiale quanto piuttosto
in termini poetici e linguistici. Secondo Hölderlin, l’essenza del tedesco è costituita
dal suo linguaggio natio” – allo stesso modo, si può aggiungere, come la concepirà
Hannah Arendt. E da una poesia che “istituisce e fonda il sito storico per l’esistenza
del popolo”.
Nasce in questo ambito anche, va
aggiunto, l’allontanamento di Goethe dal mainstream
della Grande Germania o Germania segreta, che avrà tra gli epigorni, fra i
tanti, Thomas Bernhard.
La “Germania spirituale segreta”
è citata apertamente in un discroso del 1934 indirizzato agli studenti stranieri,
“The German university”. Il nuovo spirito, spiega Heidegger, è stato
risvegliato da tre grandi poteri che hanno operato tra il 1770 e il 1830: “1)
La nuova poesia tedesca: Klopstock, Herder, Goethe, Schiller e i Romantici; 2)
la nuova filosofia tedesca: Kant, Fichte, Schleiermacher, Schelling, Hegel; 3) la nuova politica degli
statisti e militari prussiani: von Stein, Hardenberg, Humboldt, Gneisenau,
Clausewitz. Poeti e pensatori hanno creato un nuovo mondo spirituale nel quale
la prevalenza della natura e i poteri della storia erano ritenuti in una tesa
unità nell’essenza dell’assoluto”. Una conclusione heideggeriana, ambigua, che
però il prosieguo spiega, con due definizioni restrittive di libertà, in questo
nuovo spirito tedesco: “Libertà significa: l’obbligo di sottomettersi alla
volontà dello Stato. Libertà: responsabilità per i destini del popolo”.
Fatta la tara dell’eloquio, un
Heidegger in linea con la coda dei “primati nazionali” ottocenteschi, del
secolo delle nazionalità. Che però assume una diversa coloratura alla luce delle
altre due tracce seguite da Adrian. I riferimenti insistenti al völkisch , popolare, e alla “germanicità”,
Deutschtum. Che lo apparentano alla destra
conservatrice. Meglio impersonata, ma allora con più acume politico, da Ernst
Jünger. E soprattutto la duratura insistenza, fino agli ultimi giorni, tardi
anni 1970, sui caratteri anzionali, di americani, inglesi, russi e, in questo
quadro, ancora ebrei, come distinti dal Deutschtum.
L’esito è noto, anche se sottovalutato:
un’identità tedesca definita in termini di storia, tradizione e linguaggio, ma
anche di destino e missione.,
Jesus
Adrian, Who Are We – the Germans? Heidegger
on the German and Jewish People, free online
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