venerdì 12 giugno 2020

Heidegger ancorato ai vecchi primati nazionali

La questione Heidegger – tra nazismo e antisemitismo - vista da un altro punto di osservazione: l’identità tedesca, ossessione dei suoi discorsi politici, di alcune lezioni e di molte annotazioni nella prima metà degli anni 1930: “Chi samo noi? Che significa avere un’identità – in particolare che significa essere tedesco?”.
L’idea è venuta allo studioso dell’università di Barcellona, autore di un “Heidegger and the emergence of the question of being”, nonché ultimamente di un “Heidegger’s Black Notebooks and the Question of Anti-Semitism”, con la domanda che apre i “Quaderni neri”: “Chi siamo noi?” - noi tedeschi, non noi esseri umani. Un interrogativo non casuale: la questione Adrian analizza su tre tracce. Soprattutto rivedendo lo Hölderlin di Heidegger, acculato alla nozione di “Germania segreta” (Geheimes Deutschland) che era stata invece elaborazione dell’antimodernista Circolo Stefan George, di due dei suoi membri più rilevanti, Norbert von Hellingrath e Max Kommerel. La nozione di “Germania segreta” era stata comune a tutto il romanticismo, a Fichte, Schiller, Herder, Heine tra i tanti, che spesso, commossi, “evocano una grande, misteriora, celata e ignota Germania che deve ancora venire”. Mentre Hölderlin, proprio lui, ne aveva concezione diversa, e definita: “Tutti i gli accenni di Hölderlin alla «Germania segreta» si riferiscono al suolo nativo (Heimatboden) e al radicamento (Bodenständigkeit). Ma il suolo natio e il radicamento sono intesi non in forma materiale quanto piuttosto in termini poetici e linguistici. Secondo Hölderlin, l’essenza del tedesco è costituita dal suo linguaggio natio” – allo stesso modo, si può aggiungere, come la concepirà Hannah Arendt. E da una poesia che “istituisce e fonda il sito storico per l’esistenza del popolo”.
Nasce in questo ambito anche, va aggiunto, l’allontanamento di Goethe dal mainstream della Grande Germania o Germania segreta, che avrà tra gli epigorni, fra i tanti, Thomas Bernhard.
La “Germania spirituale segreta” è citata apertamente in un discroso del 1934 indirizzato agli studenti stranieri, “The German university”. Il nuovo spirito, spiega Heidegger, è stato risvegliato da tre grandi poteri che hanno operato tra il 1770 e il 1830: “1) La nuova poesia tedesca: Klopstock, Herder, Goethe, Schiller e i Romantici; 2) la nuova filosofia tedesca: Kant, Fichte, Schleiermacher,  Schelling, Hegel; 3) la nuova politica degli statisti e militari prussiani: von Stein, Hardenberg, Humboldt, Gneisenau, Clausewitz. Poeti e pensatori hanno creato un nuovo mondo spirituale nel quale la prevalenza della natura e i poteri della storia erano ritenuti in una tesa unità nell’essenza dell’assoluto”. Una conclusione heideggeriana, ambigua, che però il prosieguo spiega, con due definizioni restrittive di libertà, in questo nuovo spirito tedesco: “Libertà significa: l’obbligo di sottomettersi alla volontà dello Stato. Libertà: responsabilità per i destini del popolo”.
Fatta la tara dell’eloquio, un Heidegger in linea con la coda dei “primati nazionali” ottocenteschi, del secolo delle nazionalità. Che però assume una diversa coloratura alla luce delle altre due tracce seguite da Adrian. I riferimenti insistenti al völkisch , popolare, e alla “germanicità”, Deutschtum. Che lo apparentano alla destra conservatrice. Meglio impersonata, ma allora con più acume politico, da Ernst Jünger. E soprattutto la duratura insistenza, fino agli ultimi giorni, tardi anni 1970, sui caratteri anzionali, di americani, inglesi, russi e, in questo quadro, ancora ebrei, come distinti dal Deutschtum.
L’esito è noto, anche se sottovalutato: un’identità tedesca definita in termini di storia, tradizione e linguaggio, ma anche di destino e missione.,
Jesus Adrian, Who Are We – the Germans? Heidegger on the German and Jewish People, free online


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