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Il mondo com'è (405)
astolfo
Continentale – “Stiamo nel cuore
dell’Europa”, così lo scrittore Savinio spiega il paradosso della Germania,
molta cultura e molta violenza, in “Alcesti di Samuele”, 47-48: “Terra da ogni parte.
Terra, terra. E la terra strozza l’uomo, lo istupidisce, lo porta alla
disperazione. Queste crisi che periodicamente squassano al Germania, che altro
sono se non i movimenti convulsi di un sepolto vivo? La terra stringe tutt’intorno
questo paese, lo strozza, lo porta all’isterismo e alla pazzia”.
Lo
stesso si potrebbe dire degli Stati Uniti, che hanno una storia di violenze. Le
civiltà continentali vivono come costrette, in un orizzonte basso e chiuso,
anche in uno spazio ampio e disteso, come è la Germania centrale, o il grande belt agricolo americano.
Gli
Stati Uniti sono però anche potenza marinara. Questa duplice natura è stata la
forza della pax americana dal dopoguerra a oggi. Lo stesso per l’impero
romano, che si costituì dapprima come potenza marinara, contro i Cartaginesi.
Sull’ambivalenza
punta ora la Cina, potenza eminentemente continentale. Per allargare e irrobustire
la sua proiezione mondiale Pechino ha avviato il programma che fantasiosamente
ha chiamato Via della Seta: investimenti al’estero di ogni tipo e qualità,
pubblici e privati, per allargare comunque la presenza oltremare.
Il
rilievo di Savinio era venuto svolgendo in contemporanea, nel 1942, per i 450
anni della scoperta dell’America, su un altro piano di riflessione, Carl Schmitt
in “Terra e mare”. Un saggio sulla storia determinata dalla dicotomia
terra-mare scritto in forma di racconto, “Una considerazione sulla storia del
mondo raccontata a mia, figlia Anna” – il tema sarà sviluppato in “Il Nomos della
Terra”. Schmitt tratta di Venezia, potenza di terraferma proiettata sul mare,
ma soprattutto di Spagna, Portogallo e Gran Bretagna, che si avventurano fuori
dalle “colonne d’Ercole”, specie dopo la scoperta di Colombo.
Dottor Živago – Il film è
stato nelle sale 900 giorni. Tre anni. Benché durasse tre ore. E il Pci lo boicottasse.
Per un incasso di sei miliardi.
Partigiani tedeschi – Fu diffusa in
Germania la Resistenza a Hitler, in senso proprio, di opposizione politica
manifesta, ma non si dice.
Numerosissimi
furono i soldati tedeschi ribelli a Hitler in guerra. Non tutti renitenti: una
buona metà si batté con la Resistenza in Grecia e Jugoslavia, perfino in Polonia,
in Cecoslovacchia e in Russia, e in Italia dopo l’8 settembre. In tutti i paesi
occupati nei quali c’era un movimento di resistenza armato, compresa la Norvegia.
L’unica ricerca che ne è stata fatta, “Das letzte tabu”, l’ultimo tabù, dagli
storici Wolfram Wette e Detlef Vogel, dà i condannati per diserzione in circa 100
mila, molti dei quali comunisti. Molte diserzioni, specie nei Balcani e in
Grecia, provenivano dai battaglioni di disciplina “999”, di detenuti – che in
larga parte, però, non erano comuni ma politici.
Il
conto dei prigionieri politici non si fa, ma furono almeno cinquantamila, quelli
internati. A migliaia restarono in cattività tutt’e dodici gli anni di Hitler. Si
opposero anche gli artisti. Qualcuno preferì emigrare, ripartire da zero.
Stefan George, pur reazionario, volle morire a Minusio di Locarno per evitare
il funerale nazista Il poeta Metzger
piuttosto si fece fucilare. Un sergente Anton Schmidt si mise a salvare gli
ebrei, gratis, per cinque mesi, poi lo fucilarono. Un bellissimo sergente
venticinquenne delle SS voleva far evadere Rudolf Vrba da Auschwitz in uniforme
da alto ufficiale, con lui attendente (lo scrittore slovacco sarà famoso poi
per l’evasione da Aschwitz, ma con altra organizzazione). Salvò invece Lederer,
un ufficiale ceco, l’unico che si fidò di lui: lo portò a Praga in treno in
prima classe. Si chiamava Viktor Pestek. Poi tornò ad Auschwitz benché
ricercatissimo, pretendeva di far evadere un ragazza di cui s’era innamorato,
ma un tedesco lo riconobbe e lo denunciò, e finì al forno. E c’erano ebrei
nascosti variamente in Germania a guerra finita, nascosti dalla popolazione, malgrado
il puntiglio della persecuzione.
Poche
ricerche ne parlano, non di grande diffusione. Non c’è una festa o una giornata
dell’opposizione. “Nel secondo dopoguerra solo la Germania di Bonn ha saputo criticarsi a fondo, un atto
d’intelligenza e di forza. Un processo esteso anche all’altra Germania con il
crollo del Muro”, è stata considerazione lusinghiera, davanti al Bundestag il
27 gennaio 2003, di Jorge Semprun, lo scrittore spagnolo antifranchista già
esule in Francia, dove era stato fatto prigioniero dai tedeschi, per professo
comunismo, e internato a Buchenwald. Ma la Repubblica Federale tace della Resistenza:
niente celebrazioni, niente ricordi o richiami.
Ventimila
sono i condannati per reati militari giustiziati, nei conteggi di Vogel e
Wette. Le esecuzioni di tedeschi, militari e di civili, furono tante che si
dovettero trovare metodi diversi per eseguirle. Il Plötzensee, il carcere
presso Berlino dove è stato eseguito un quarto delle condanne a morte accertate
nel dodicennio, fu attrezzato per esecuzioni simultanee, otto alla volta per
impiccagione. Più tecniche sperimentali varie: la ghigliottina piacque, e
Hitler la sostituì all’ascia. Il record fu stabilito la notte del 7 agosto ‘44
con trecento decapitazioni. Furono ghigliottinati tutti i detenuti del
Plötzensee, per il timore che scappassero sotto le bombe.
Vogel
e Wette danno circa mille tedeschi passati con la Resistenza in Francia, 600 in
Jugoslavia e altrettanti in Grecia, 100 in Polonia. Per l’Italia non danno
cifre. Ma segnalano un rapporto della polizia segreta tedesca che dava a
Civitella (Arezzo) la diserzione nel luglio 1944 di ben 741 soldati. Civitella
era stata sede di uno dei peggiori massacri tedeschi di civili, per numero e
crudeltà anche peggiore di Sant’Anna di Stazzema o di Marzabotto (Civitella non
si celebra perché la popolazione locale è rimasta a lungo divisa sull’azione partigiana
che innescò la rappresaglia, e tuttora cova risentimenti). Lo storico della Resistenza
Roberto Battaglia, in uno scritto pubblicato a Vienna in tedesco nel 1960,
“Deutsche Partisanen in der italienischen Widerstandsbewegung”, dice “forte e
significativa” la “partecipazione di partigiani stranieri alla Resistenza italiana”,
tra essi anche di tedeschi. In “dimensioni ragguardevoli”, anche se non dà
cifre: “L’ingresso di tedeschi nelle file del movimento di Resistenza italiano
non si è limitato a pochi singoli casi ma ha raggiunto dimensioni ragguardevoli.
In tutte le regioni del Nord Italia, senza eccezione, è dimostrata la presenza
di tedeschi nelle principali formazioni partigiane”.
Se
ne trovano tracce sparsamente nella memorialistica. In Toscana, Umbria,
Lombardia, e le regioni di frontiera, Trentino, Friuli. Stranamente, la maggior
parte, senza nome. Le segnalazioni sono nell’ordine di molte decine, qualche
centinaio.
Il
fenomeno non è stato studiato perché fino al 2002 i condannati negli anni di
Hitler per diserzione, renitenza, disfattismo e tradimento erano considerati
tali anche dalla Repubblica Federale. Non c’è stata riabilitazione neanche dopo,
se non caso per caso. Nel 2006 una ministra socialista della Giustizia, Brigitte
Zypries, rifiutava la revisione dei processi: “Le asserite probabili
ingiustizie nei casi di condanne per alto tradimento, e il fatto che esse siano
state commesse durante una guerra di aggressione che infrangeva il diritto
internazionale non sono ragioni sufficienti per una riabilitazione”.
Lady Hester Stanhope – La
“mascula e amazzonia nipote di Pitt” (Mario Praz, “Il mondo che ho visto”, 214),
che nel 1813 volle visitare Palmyra, e farvisi “acclamare dagli arabi” quale
novella Zenobia – “un po’ per ammirazione, ma anche, certo, per le sue prodighe
largizioni”, id.
Ancora Praz,
evidentemente attratto, la ricorda (247) “fanatica eccentrica che trovava insipida
l’Europa, e affascinante, formidabile, sibilla in abito di sceicco”. Finirà
insabbiata, tra le comunità druse del Libano, a Djihoun, in fama di maga e
profetessa, dove morirà nel 1839, a 59 ani, indigente, in un palazzo in rovina.
Lamartine, che la incontrò e ne tratterà a lungo in “Le voyage en Orient”, la
dice “giovane, bella e ricca”, ma insoddisfatta, e per questo passata in Medio
Oriente, alla ricerca di sensazioni forti.
Resta però
nella storia dell’archeologia. Per gli scavi da lei finanziati e organizzati a
Ashkelon nel 1815, considerati i primissimi nella storia dell’archeologia
biblica. E per l’uso di documenti medievali italiani, con i quali introdusse
nell’archeologia sul campo le fonti testuali.
Era figlia
di Hester Pitt, sorella di William Pitt il Giovane, il primo ministro
britannico. Dall’adolescenza visse in casa della nonna materna. E nel 1803, a
27 anni, passò in quella dello zio primo ministro, fino alla morte di lui, nel 1806.
Per tre anni ne fu la segretaria e anche la padrona di casa, e in questo periodo
acquisì la rinomanza di cui si faranno eco Lamartine e Praz. Alla morte dello
zio ebbe dal governo una pensione annua di 1.200 sterline. Nel 1810, a 34 anni,
finita nel nulla una storia d’amore, decise di partire per il Medio Oriente.
astolfo@antiit.eu
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