mercoledì 3 giugno 2020

La Grecia era spaventosa

“Si danno due regimi dei rapporti fra gli dèi e gli uomini: la convivialità e lo stupro. Il terzo regime, quello moderno, è l’indifferenza, ma implica che gli dèi si siano già ritirati”. Calasso va forte, apodittico, come tutto in questa rivisitazione, ma poi vero, forse. “Gli eroi omerici sappiamo che un Dio li agiva”, è altra apodissi. Ed è tutto quello che la psicologia sa, da allora non ha fatto un passo, se  non per indorare la pillola con la “responsabilità” di cui “i moderni sono fieri”, così pretendendo di lavarsi le mani “con una voce di cui non sanno neppure se a loro appartiene”. Vittime di Ate, divinità dell’accecamento, e di Ananke, “la necessità che tutto sovrasta” - “ogni idea di progresso è confutata dall’esistenza dell’Iliade”. Un mondo di ossessioni: “Lo stupro è un possesso che è una possessione”. Di un antifemminismo, si direbbe oggi, radicale. Di un’umanità poco attraente: “Olimpia è la felicità dei Greci, esperti d’infelicità”. Un’altra Grecia, non levigata, non idilliaca.
Un vagabondaggio nel mito greco. Greve più che lieve. Come la sua materia, venendo – con Omero – dopo “quattro secoli senza scrittura e senza centro”. Devastante anche, di una superficiale “mitologia greca”, del bello, il buono e il logico. Con poche concessioni: “I Greci evasero dal sacro verso il perfetto, confidando nella sovranità dell’estetico”. Peraltro per un periodo “brevissimo”- “finché durò la tensione fra ils acro e il perfetto, finché il saco e il perfetto riuscirono a convivere senza sminuirsi”.
Un racconto di vite divine contrastate. Di Zeus. Di Apollo. Di Ercole. Di Dioniso: “Il fallo di Dioniso è allucinogeno prima che impositivo. Ha natura vicina al fungo, al parassita, all’erba tossica”.Teseo è quello che regola la lotta, trasformando l’eroe da bruto a regolato e regolatore. Ma è anche quello che rapisce le donne:”Teseo trasformò in vezzo umano l’abitudine divina di rapire fanciulle”. È una delle tante manifestazione di una misoginia costante, profonda: il greco odia le donne, il femminile. Forse in memoria dell’epoca delle Amazzoni, feroci.
Cadmo e Armonia sono la coppia di identici, e la storia più breve delle “favole” mitiche di Igino, il bibliotecario di Augusto. Cadmo fu punito da Marte per avere ucciso il serpente che proteggeva la fonte Castalia: perse i figli. Si isolò allora in Illiria, insieme con la moglie Armonia, figlia di Venere e di Marte. E lì la coppia fu mutata in serpenti – il serpente è il prolungamento del mare in terra, la froma liquida.
Calasso, novello Igino, nel mentre che narra i miti, con Erodoto, Pausania, Plutarco, e Omero evidentemente, Esiodo, Eschilo, Sofocle, Euripide, Pindaro, Platone, li legge – li interpreta. Fantasticare non è illecito, in fondo i mirabilia medievali, per quanto santificati, non sono da meno. Con buoni affondi filologici. Uno dettagliato, al cap. III, documenta la guerra alle donne, a letto e in ogni occasione – “La moralità classica discendeva in larga parte dalla riflessione sull’amore”, ma “sull’amore per i ragazzi”, fondato “sull’esaltazione dell’ areté e sulla negazione dell’evidenza: il piacere”. Con richiami non si sa se più maliconici o pruriginosi. Di Armodio e Aristogitone che – questo ormai è saputo – non sono tirannicidi ma innamorati insidiati: Armodio, “nel fiore della giovinezza”, da Ippia, il figlio del tiranno Pisistrato, con gran dispetto dell’amante del giovane, Aristogitone, “cittadino medio”. Mentre Dioniso è scoperto da Clemente Alessandrino, padre della chiesa, nell’atto di improsarsi con un ramo di fico, esendo l’uomo della bisogna morto.   
Non uno sberleffo al mito, anzi, una revisione del “classico” – bello e puro. Una Grecia inquietante, malgrado i saperi, e la forza militare. Un Olimpo inquietante. “Quando  Greci dovevano appellarsi a un’autorità ultima, non citavano testi sacri ma Omero. Sull’Iliade si fondava la Grecia. E l’Iliade si fondava su un gioco di parole, sullo scambio di una lettera. Briseide, Criseide”. Entrambe indistinguibili, kallipàreos, “dalle belle guance”, se non per la lettera iniziale. “Se dovessimo definire cos’è stato il mito per i Greci, potremmo dire, usado il rasoio di Occam: tutto ciò che ci allontana dalla sensazione media del vivere «Insieme a un dio, sempre si piange e si ride»”, leggiamo nell’«Aiace»”.   
Una narrazione in antitesi – non polemica, non detta – con le riletture dei miti greci condotte da James Hillman, pure autore pregiato da Calasso in Adelphi, sulle tracce di Jung - “gli dei sono diventati malattie”.
C’è di più nella eccezionale mitografia greca, di immaginario e di materiale. Che Calasso puntiglioso - non gli sfugge, si direbbe, una virgola - mette in mostra. Con una vertiginosa rilettura in chiaro delle ingarbugliatissime mitologie greche – un’aneddotica che ha più dell’accumulo che del sensato. Senza paura, e senza riguardi: “Le figure del mito vivono molte vite e molte morti, a diferenza dei persoanggi del romanzo, vincolati ogni volta a un solo gesto”.  Vertiginosa anche la destianazione: un pubblico affollato, per molte edizioni, in Europa, a fine Novecento – era appena ieri (riproposto peraltro per i vent’anni, arricchito da immagini, nella grafica passatista, fine ‘400, della”Hypnerotomachia Poliphili”, in un’edizione “di lusso”, € 150).
Calasso ha sbrogliato la matassa? In parte sì, da cultore della materia mitica, come ha già fatto, all’epoca di questo “Cadmo e Armonia”, 1988, con Ignazio di Loyola, e come farà con la materia indiana. In parte la racconta, cioè la inventa. Seguire Dioniso, al cap. 5, è un’impresa. Viene in mente naturalmente Nietzsche, filologo anch’egli in libertà, benché in cattedra, e cioè “il mito siamo noi”. Il mito è “scandaloso”, dirà Calasso altrove (al convegno “Raccontare il mito”, maggio 1990, salone del Libro di Torino), di “irrefrenabile menzogna” – Platone sarà colto da “vertigine di terrore di fronte al proliferare delle immagini”. Ma questa non è una compilazione, per quanto dotta, al contrario, è un libro d’autore: la sistemazione (l’ordine) è invenzione.
La lunga, minuziosa, narrazione resta un ordinativo del magma. Anche se al modo chi sa i miti greci meglio dei greci - una messa in opera dell’erudizione molto creativa, anche troppo - ma l’erudizione si salva in altra maniera? “Le storie mitiche sono sempre fondatrici. Ma possono fondare sia l’ordine sia il disordine”. I miti non hanno buone opinione, contrariamente alla vulgata, epica, lirica, elegiaca. I miti inventati dai greci erano riprovevoli per Senofane, ridicoli per gli illuministi ionici, Talete, Anassimandro, Anassimene, matti per Cicerone, scandalosi e corrotti per la patristica e sant’Agostino, favolosi per Francesco Bacone. Il mito del mito è recente. Ancora Max Müller (1823-1900), il primo titolare di una cattedra di Filologia comparata, professore a Oxford, si impegnava a spiegare “ciò che nella mitologia greca c’è di stupido, di assurdo e di selvaggio, da far inorridire il più selvaggio dei pellirosse”.
Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, pp. 487 € 15



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