Tozzi al debutto è stato a lungo poeta. Con
raccolte pubblicate anche da editori importanti, benché a spese d’autore.
Esordì nel 1911 con “La zampogna poetica”, una raccolta pubblicata in Ancona da
Giovanni Puccini - il padre di Mario Puccini, che molto contribuirà poi a far
conoscere Tozzi narratore, dopo la morte prematura. Seguitò nel 1913 con “La
Città della Vergine”, edita da Angelo Fortunato Formìggini, con le xilografie
di Gino Barbieri e Ferruccio Pasqui. Nel mezzo, 1912, una raccolta intitolata
“Specchi d’acqua”, rimasta allo stato di bozze, corrette.
Un Pascoli minore è la raccolta d’esordio, col
bozzettismo alla Fucini in agguato, benché le dediche siano a E.A.Poe, al Poe
poeta, a Mallarmé, a Cecco Angiolieri. Le età, le stagioni, i campi. Di
fantasia spoglia, come sarà poi la narrazione, curata nella metrica (prevalgono
i sonetti), ma di nessuna ispirazione. Non quelle indirizzate a un paio di
signorine, e a muse altrettanto ignote. Non quelle bellicose – ce ne sono (“A
idilli son simili le pugne\ he allietano i miei spirti di gigante….”) e ce ne
saranno anche nelle altre raccolte (“mani mozzate son le mie rime”…). E nemmeno
quelle, numerose, a carattere religioso.
“Le rime, somiglianti a corrrentìe,\ auliscono
sì come ghirlandelle” è l’esordio del sonetto a Poe – con la rima, a proposito
di Febo: “E invano a Marsia scorticò la pelle\....\ e la bellezza porge le
mammelle”. Le ballate “A una donna nuda” conclude anche queste bellicoso:
“Spesso pensai con molta voluttà\ che io uccidessi allo sbocco d’una strada\
tutti, volgendo a torno la mia spada”. Supplisce l’esergo della raccolta (non
pubblicata) a seguire, “Specchi
d’acqua”. “Ché tale diventa la creatura\ quale è quelal cosa che ama”. Ma
questa è santa Caterina.
La raccolta non pubblicata, “Specchi d’acqua”,
è la più viva. A metà canzoniere d’amore, declinato in tutti i sintomi, elegia,
dispetto, malinconia, gioia indefinita, e in tutte le forme, invocazione,
mottetto, rapsodia, visione. A metà antifonario, che una “Canzone alla Vergine”
conclude, seguita da un inno “A Dio”.
“La città della Vergine”, con dedica a Domenico
Giuliotti”, è il poema di Siena. Con un cap. “I Salimbeni”, uno “Santa
Caterina”, e uno “Battaglie” – quello delle “mani mozzate sono le mie rime”.
Questo è l’aspetto più originale, la devozione. La passione, anche, religiosa.
Che forse meriterebbe qualche scandaglio. Come pure l’ambiente nel quale Tozzi
è venuto crescendo, non propriamente campanilistico. Le dediche degli ultimi componimenti
delineano un, sia pure modesto, ambiente letterario cui Tozzi si legava, oltre
Giuliotti: Ettore Cozzani, Ferdinando Paolieri, Antonino Anile.
Nel complesso un canzoniere d’amore. Specie le
ultime raccolte, postume, pubblicate da Glauco Tozzi come “Fascicoli”, due quaderni
manoscritti senza titolo. E i primi componimenti, è presumibile, di Tozzi, del
1903-4, trascritti come “Liriche sparse”. Insieme con “Quadernetto”, altro
tiolo del figlio Glauco, che introduce il volume.
La raccolta, qui introdotta da Benedetta Livi,
è sempre quella curata nel 1981 da Glauco Tozzi per Vallecchi.
Federigo Tozzi, Poesie, Ugo Mursia, p. 246 € 12,50
Un Pascoli minore è la raccolta d’esordio, col bozzettismo alla Fucini in agguato, benché le dediche siano a E.A.Poe, al Poe poeta, a Mallarmé, a Cecco Angiolieri. Le età, le stagioni, i campi. Di fantasia spoglia, come sarà poi la narrazione, curata nella metrica (prevalgono i sonetti), ma di nessuna ispirazione. Non quelle indirizzate a un paio di signorine, e a muse altrettanto ignote. Non quelle bellicose – ce ne sono (“A idilli son simili le pugne\ he allietano i miei spirti di gigante….”) e ce ne saranno anche nelle altre raccolte (“mani mozzate son le mie rime”…). E nemmeno quelle, numerose, a carattere religioso.
“Le rime, somiglianti a corrrentìe,\ auliscono sì come ghirlandelle” è l’esordio del sonetto a Poe – con la rima, a proposito di Febo: “E invano a Marsia scorticò la pelle\....\ e la bellezza porge le mammelle”. Le ballate “A una donna nuda” conclude anche queste bellicoso: “Spesso pensai con molta voluttà\ che io uccidessi allo sbocco d’una strada\ tutti, volgendo a torno la mia spada”. Supplisce l’esergo della raccolta (non pubblicata) a seguire, “Specchi d’acqua”. “Ché tale diventa la creatura\ quale è quelal cosa che ama”. Ma questa è santa Caterina.
La raccolta non pubblicata, “Specchi d’acqua”, è la più viva. A metà canzoniere d’amore, declinato in tutti i sintomi, elegia, dispetto, malinconia, gioia indefinita, e in tutte le forme, invocazione, mottetto, rapsodia, visione. A metà antifonario, che una “Canzone alla Vergine” conclude, seguita da un inno “A Dio”.
“La città della Vergine”, con dedica a Domenico Giuliotti”, è il poema di Siena. Con un cap. “I Salimbeni”, uno “Santa Caterina”, e uno “Battaglie” – quello delle “mani mozzate sono le mie rime”. Questo è l’aspetto più originale, la devozione. La passione, anche, religiosa. Che forse meriterebbe qualche scandaglio. Come pure l’ambiente nel quale Tozzi è venuto crescendo, non propriamente campanilistico. Le dediche degli ultimi componimenti delineano un, sia pure modesto, ambiente letterario cui Tozzi si legava, oltre Giuliotti: Ettore Cozzani, Ferdinando Paolieri, Antonino Anile.
Nel complesso un canzoniere d’amore. Specie le ultime raccolte, postume, pubblicate da Glauco Tozzi come “Fascicoli”, due quaderni manoscritti senza titolo. E i primi componimenti, è presumibile, di Tozzi, del 1903-4, trascritti come “Liriche sparse”. Insieme con “Quadernetto”, altro tiolo del figlio Glauco, che introduce il volume.
La raccolta, qui introdotta da Benedetta Livi, è sempre quella curata nel 1981 da Glauco Tozzi per Vallecchi.
Federigo Tozzi, Poesie, Ugo Mursia, p. 246 € 12,50
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