L’economia è fantasia
L’economia è immaginaria? Al
90 per cento sì. Anche al 99, tolte forse l’acqua da bere e le erbe da
mangiare, crude. È inventata, è inventiva. Si moltiplicano il reddito come i
bisogni non per la sopravvivenza. Non per la sopravvivenza allo stadio
elementare, perché subito dopo i bisogni diventano insopprimibili - la povertà
oggi comincia a ottomila euro l’anno, che una volta erano un capitale.
Su questo paradosso della “scienza
triste”, l’economia, di essere essenzialmente voluttuaria, il manager
imprenditore Fabbri costruisce una sua teoria, che chiama della “economia
immaginaria”, estensibile a volontà, purché la fantasia aiuti: “L’economia
imaginaria è quella cospicua frazione del sistema economico che produce dei
servizi che hanno la sola utilità di creare dei posti di lavoro”.
Ma
non solo dei servizi. Questo è il meccanismo di tutta l’economia.
L’industrialista per eccellenza, Henry Ford, inventore del lavoro alla catena
di montaggio, con l’applicazione rigida dei tempi e metodi di Taylor, era un immaginario
per eccellenza: dava lavoro anche ai disabili e ai problematici, perché
l’importante era per lui mettere in moto quelle che oggi si chiamano catene di
valore, sia pure sotto forma di consumo. Della produzione primaria per
eccellenza, quella agricola, uno studio appena pubblicato da The European
Ambrosetti spiega che per ogni 100 euro di spesa alimentare solo 5 vanno ai
produttori: dei 100 euro un terzo vanno alla distribuzione, poco meno di un
terzo al personale di tutta la filiera, fino al fattorino delle consegne, e un
20 per cento allo Stato, sotto forma di imposte, Iva et al.
Mario Fabbri, L’economia immaginaria, amazon, pp. 172
€ 14
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