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Napoleone ha sempre ragione, e risolve il giallo
Interessi
sordidi, nobili propositi di tirannicidio e tradimenti, inseguimenti, a piedi e
a cavallo, tranelli, violenze squisite oppure immani s’intrecciano in un romanzo
d’avventure con un tratto costante di suspense.
L’anno dopo la creazione di Sherlock Holmes, avendo deciso di fare lo scrittore”,
il dr. Conan Doyle rianimava il vecchio vecchio romanzo di cappa e spada. Tra grandi
nobiltà, vecchie e nuove, ussari animosi, e vergini incorrotte, in terra di
Francia, al tempo di Napoleone all’assedio dell’Inghilterra.
Sotto
un titolo infelice: lo zio è il genio del male - lui come l’altro intellettuale
del racconto, uno intrigante e uno debole. E favolistico, mentre invece gira attorno
a tattiche e strategie, beni appropriati e rivendicati, tirannicidi. Alla fine, un raccontino. Ingigantito con un centinaio di pagine su Napoleone.
Pagine
aneddotiche, probabilmente da compilation,
ma per ogni aspetto sorprendenti – forse perché di Napoleone non si legge più
da molto tempo? Un Napoleone privato. Ma anche qui tirannico, nelle cose grandi
e nelle minime, impositivo, uno che alla fine ha sempre ragione, ma “non si
regge molto bene in sella”, ex povero pieno di rancori, solo fulmineo come si
sa, sul campo di battaglia. I generali, Murat, Massèna, Ney, Lannes, “sono
stati l’uno un cameriere, l’altro un contrabbandiere di vino, l’altro ancora un
bottaio e l’ultimo un imbianchino”. Si salva la madre, “una regina
tragica, alta, severa, riservata, silenziosa”.
Arthur Conan Doyle, Lo zio Bernac alla corte di Napoleone, Donzelli, remainders, pp. 190, ril. € 11
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