giovedì 4 giugno 2020

“Non posso respirare” al tempo di Obama

“Non posso respirare” è un classico, dal tempo di Obama. Di un nero robusto che però soffoca, stretto nella “presa” della polizia, e muore dopo avere ripetutamente - undici volte nel primo caso, di Eric Garner il 17 luglio 2014 - dato l’avvertimento fatale. Sotto l’obiettivo di passanti o degli stessi poliziotti, in entrambi i casi, testimoni passivi.
Il video della fine di Garner è nitido, sonoro compreso, come quello della fine di Floyd. L’unica differenza è il luogo: New York nel 2014, e l’affollamento di poliziotti, per il caso di un ciccione nero sospettato di vendere sigarette sfuse, che nega ripetutamente - una dozzina s’intravedono nel video della fine di Garner, più un dirigente in abiti civili che quando Garner cessa di rantolare allontana i passanti.
Con un precedente, ancora a New York, seppure non reale, che merita citare. Moriva strangolato da un poliziotto per primo il protagonista di “Fa’ la cosa giusta”, il film di Spike Lee, una trentina d’anni fa.
“The New Yorker” ripubblica l’articolo che Jelani Cobb, obamiano (già autore di un’apologia, “The Substance of Hope: Barack Obama and the Paradox of Progress”, 2010), scrisse il 4 dicembre del 2014 per stigmatizzare la mancata reazione del primo presidente nero all’assassinio di Garner. Così  come aveva fatto per altri neri prima di Garner, due giovanissimi, anche loro indifesi, disarmati, e senza imputazioni specifiche, uccisi uno da una specie di guardia giurata e uno dalla polizia. Obama si era limitato a “chiedere pazienza”. Sia al momento degli assassinii sia quando, ai relativi processi, tutti gli accusati erano stati assolti.
L’articolo di Cobb è in punto di diritto. Se è lecita, come i difensori dei poliziotti e le giurie popolari avevano argomentato, la presunzione di colpa per via del colore. Del “profilo razziale”. Per cui la colpa presunta è della vittima se appartiene a una “razza” il cui profilo razziale è pericoloso, mentre la presunzione d’innocenza va all’assassino se di profilo razziale non pericoloso. La colpa è a priori, della criminalità nera, e non della brutalità della polizia. Un obbrobrio giuridico, è evidente. Che, argomenta Cobb, Obama patrocina con intenti di pacificazione. Ma l’effetto è che, “anche eliminando gli omicidi a opera dei neri, gli Stati Uniti avrebbero comunque una popolazione più violenta delle democrazie occidentali come la Gran Bretagna, il Canada e l’Australia”.
L’assassinio a freddo di un nero da parte della polizia in America non è una novità. Era parte del linciaggio, anche a opera di civili, che la legge non perseguiva, per tutto l’Ottocento, anche dopo la guerra civile, e fino ai primi del Novecento. Nella forma specifica, di un nero non armato e non in flagranza di reato ucciso dalla polizia, ha avuto due precedenti negli anni di Obama, di Eric Garner il 17 luglio 2012, e di Trayvon Martin, il 26 febbraio 2012, e un terzo precedente sotto la presidenza di Bush jr., quello di Sean Bell, alla vigilia del matrimonio, il 25 novembre 2006 – sul cui processo, nel 2008, durante la sua prima campagna presidenziale, Obama chiese di sorvolare.
Anche Bell è stato ucciso dalla polizia di New York. A 22 anni, da tre agenti in borghese, due dei quali afroamericani, a colpi di pistola, benché fosse disarmato. All’uscita dal locale dove aveva festeggiato l’addio al celibato. Insieme con due amici, anch’essi colpiti dagli agenti ma sopravvissuti.
Garner è morto come George Floyd. Stessa età, 43 anni Garner, 46 Floyd. Stessa imputazione, minima: smercio di sigarette sfuse per Garner, spaccio di una banconota falsa per Floyd, una baconota da 20 dollari dal tabaccaio per le sigarette. Stessa “presa” per il collo, per immobilizzare gli indiziati, fatale, mentre lamentavano di non riuscire a respirare.
Trayvon Martin, 17 anni, stava andando a trovare la fidanzata del padre, e fu sparato senza motivo. Non dalla polizia, da uno Zimmermann della ronda di quartiere. Che poi è stato assolto due volte, sia per l’assassinio sia per la violazione dei diritti civili (razzismo).
Sono stati assolti anche i poliziotti del caso Garner e del caso Bell.
Jelani Cobb, No Such Thing as Racial Profiling, “The New Yorker”, 3 giugno 2020


Nessun commento:

Posta un commento