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A occhi chiusi, tra verismo e neo realismo
Questo primo Tozzi - primo delle
trilogia autobiografica, ma scritto negli ultimi anni (esce nel 1919) - si può
leggere in chiave naturalistica o veristica, perché no: il padre padrone, la
madre esausta, ansiosa, inerme, i contadini passivi, rassegnati, gli
“assalariati” obbedienti al padrone. In una lingua di forte connotazione bozzettistica , desueta già all’epoca, una
sorta di rococò del mondo sordo della sopravvivenza. Di scuola toscana, provinciale,
campanilistica, anche se non alla Fucini, ma sì nel ricorso alla lingua di
borgo o di fattoria – come quella del coevo Pascoli, benché di matrice
romagnola (con Pascoli Tozzi condivide, coincidenza bizzarra?, il nazionalismo,
imperialista).
Si propone invece nella chiave
che Giacomo Debenedetti, il secondo scopritore di Tozzi fra i grandi critici
del Novecento, dopo G.A.Borgese e in antitesi a Borgese, propose nelle tarde
lezioni universitarie, 1963: di Tozzi scrittore visionario, nella sua spiccata
alterità al mondo. Al mondo di Siena, va precisato - l’orizzonte si amplia fino
a Firenze, ma Firenze è solo un nome, un recapito. Al suo personalissimo mondo dell’adolescenza
e la prima giovinezza. Non “una narrazione di cause e di effetti, ma di
comportamenti, di modi insindacabili di apparire e di esistere”. Per un “innato
antinaturalismo” - “il naturalismo narra in quanto spiega, Tozzi narra in
quanto non può spiegare”. Con gli occhi chiusi come Edipo, che si era accecato,
ma qui senza un motivo specifico: “Questo degli occhi chiusi, della cecità di
fronte alla vita, è propriamente il mito centrale di Tozzi”.
Di fatto un romanzo neo
realistico. La (piccola) borghesia è della roba. La campagna è povera e sporca,
e senza luce. I contadini saputi e sciocchi. La ragazza bella e povera abusata senza
eccessi, senza scandalo. Il
nato povero è tirchio, e stupido. Il padrone proletario è più cattivo del
signore. La ragazza bella e povera non ha coscienza – subconscio. Una prefigurazione
dell’“Albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, senza la pietas, e senza l’allegria. Con uno spruzzo di Freud, o di
psicologia analitica: la ragazza bella e povera non ha coscienza (subcosciente), una bestiola, gli adolescenti introversi, lui e lei, e quindi perduti,
in modi diversi, un Edipo incoercibile, una stolidità invincibile.
Curiosamente,
una scrittura che si ritroverà nei narratori americani del Sud rustico – delle narratrici,
Carson McCullers, Flannery O’Connor. Col bozzettismo toscano in agguato – ma
forese il mondo contadino non può andare oltre, come in Pascoli.
La storia è tutta nel primo
capoverso della nota bio-bibliografica di Ottavio Cecchi che accompagna il racconto,
quello della nascita di Federigo, che sarà Pietro nel romanzo, e dell’apparizione
di Isola, Ghìsola nel romanzo. Più gli autoritratti, di sé e di Isola, che Tozzi ha fatto nel tempo scrivendo alla futura moglie Emma Palagi, pubblicate
nella raccolta postuma “Novale”.
Il romanzo italiano forse con più
edizioni oggi in contemporanea, Oscar, Bur, Feltrinelli, Garzanti, Rusconi, Le
Lettere, Guida, Clandestine, Ecra – perché consigliato nelle scuole
(un’edizione è di Principato libri scolastici)? Paolo Giordano e Mondadori ne
propongono una anche per “bambini e ragazzi”, benché sia una storia di violenze.
Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi, Theoria,
remainders, pp. XXIII + 147€ 6
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