Lo storico s’interroga su che
cosa ha bloccato il processo unitario, creando la questione meridionale, al di
fuori delle geremiadi economiche, di soldi, infrastrutture, investimenti – che
in realtà ci sono stati e ci sono, ma non fruttificano. La risposta,
rappresentata più che detta, sta nei Mille, e nella fine del regno borbonico,
il tentativo di liberalizzazione o Atto Sovrano dell’ultimo Borbone, Francesco
II.
I Mille e Liborio Romano, la
storia del Sud, malinconica, è tutta qui. Liborio Romano, il ministro dì
polizia che Francesco II scelse per arginare Garibaldi, caratterizza esemplare
il processo unitario nel suo atto decisivo: intelligente e abile, di nessun
progetto né dirittura.
Garibaldi innesca una liberazione
della Sicilia caotica e criminale, con eccessi da parte di tutti.
Il 1860 ha avuto un precedente
nel 1848: squadre amate di contadini, gruppi di facinorosi, massacri,
saccheggi, vendette, unn criminalità capillare e una giustizia sommaria: “La
Sicilia è il cuore di tenebra del Regno borbonico”. La Sicilia libera i diavoli, la storia si
ripete con i Mille. La personalità di Garibaldi copre gli eventi, e anche, nota
Macry, la riflessione degli storici. Ma il peggio del 1848 si riproduce
nell’isola negli eventi della liberazione: un liberi tutti di assassinare,
depredare, vendicarsi, occupare, prendere, e giustizie sommarie.
L’unità si compie con i Mille, e
si scompagina. Macry non lo dice, ma lo rappresenta, alla ricerca sempre del
perché il Sud dell’Italia non ingrana, a un secolo e mezzo abbondante
dall’unificazione – un’anomalia, si può dire, mondiale: non c’è situazione
analoga in nessun’altra parte del mondo oggi, né in nessun’altra epoca storica.
Tanto più, nota in apertura, che l’unità è stata un grande successo, politico
e, ancora di più, economico, di un paese inesistente, analfabeta al 95 per
cento, poverissimo al 90 per cento, facendo uno dei più ricchi al mondo. Ed è
stato un fatto italiano, il Risorgimento propiziato dal Nord Europa è “un mito
ottocentesco”: Londra non voleva riconoscere Garibaldi a Napoli, la Francia
tentò la confederazione a tre, Piemonte, papa, Borboni.
Il processo unitario prudente,
calcolato, passo dopo passo, confrontandosi con l’Austria-Ungheria dapprima,
poi con il papa, Cavour è un equilibrista, non un progettuale rivoluzionario, è
accelerato e stravolto dall’impresa di Garibaldi. E dall’Atto Sovrano di
Francesco II. I due eventi, improvvisi, modellano la politica unitaria. Creando
l’interminabile questione meridionale. Non un governo, un progetto, un ordine,
ma la confusione. “Nelle settimane seguenti all’Atto Sovrano non si contano le
occupazioni di terre, ivi comprese le terre
di vescovadi e monasteri”. Come notano le fonti di polizia: “I popolani
continuano a persistere nella loro idea di volere le terre demaniali e subito,
perché ritengono che se si apriranno le camere legislative… la ripartizione
delle terre non avrà luogo”.
Il Mezzogiorno, rileva Macry,
“scompare come capacità politica, apparato amministrativo e militare, identità
culturale e morale”. Napoli in particolare: “La capitale napoletana appare
particolarmente lontana da ogni principio politico ed esistenziale di realtà.
Assomiglia a una grande rappresentazione teatrale…” – comincia la napoletudine.
S’intreccia il nodo ordine-disordine che è il virus non tanto segreto del Sud.
Napoli è in mano ai “tutori dell’ordine che Liborio Romano ha reclutato in
fretta e furia tra i gruppi del malaffare”,
i “Michele ‘o Chiazziere”, gli “Schiavetto”, i “Tore ‘e Crescenzo” e
“altri capi della criminalità”. Una “nuova polizia” che, “paradosso dopo
paradosso”, “non è soltanto camorrista, è anche patriottica, amica dei liberali
e dei democratici e nemica dei Borboni”. Nel nome della libertà, della propria,
di camorristi. La Guardia Nazionale, altra creazione di Romano, composta
localmente, è luogo di malavita. Il Sud resterà impantanato in “un groviglio di
vizi che diventano virtù, e viceversa”. I Carabinieri, va osservato, e la
magistratura indipendente saranno pure un’altra cosa, ma al Sud ancora no.
Ci sono delle attenuanti. L’unità
è subito leva militare e nuove tasse. La risposta è armata. La reazione è la
forza. Stato d’assedio nel 1862 e, un anno dopo, “un’ancor più repressiva e indiscriminata
Legge Pica”. La partenza è col piede sbagliato: “Torino manda nel Mezzogiorno
quasi i due terzi di tutte le sue forze armate, sostituisce prefetti e sindaci,
accresce i poteri dei comandanti militari”. Ma ci sono delle persistenze, ancora
centocinquant’anni dopo: “Qualunque sia stato storicamente il ruolo dei governi
centrali”, è la conclusione, “molta parte del problema del dualismo va
addebitata alle classi dirigenti e alle comunità del Mezzogiorno”.
La
migliore testa di Napoli
Liborio Romano non è una
bizzarria dello storico. Caratterizza esemplare, nel cap. centrale “Napoli.
Cronache di un suicidio politico”, il processo unitario come si è compiuto al
Sud, e il futuro del Sud. “Perché dilungarsi su Liborio Romano?”, lo storico se
lo chiede: “Perché la sua biografia racchiude, strato dopo strato, la complessa
storia del Risorgimento meridionale”. Intelligente e abile, esperto, di nessuna
dirittura, di nessun progetto. “La migliore testa di Napoli”, © Cavour. Fautore
della “piemontesizzazione” del Regno, “all’indomani delll’uscita di scena di
Garibaldi, facendo parte della Luogotenenza del principe di Carignano, apre una
forte polemica contro la piemontesizzazione dell’ex regno borbonico e, non
avendo ottenuto alcun risultato, si dimette, nel marzo 1861”. Salvo ripensarci:
“Due mesi più tardi, in un memorandum a Cavour, critica le politiche doganali e
fiscali del governo e chiede opere pubbliche per il Mezzogiorno. Cavour non gli
risponde “e, malgrado il clamoroso successo ottenuto alle elezioni politiche,
lo lascerà fuori da ogni incarico di governo”. Scriverà nelle memorie, “rispondendo
a chi lo accusa di pubblica indegnità”, che “le sole norme della politica sono
l’astuzia,la simulazione e la dissimulazione,
l’utile e la forza”. Quasi a dare ragione, nota Macry, al “ruvido Farini”,
nominato luogotenente al posto di Garibaldi, che a Napoli contava dodicimila
avvocati, “cioè rabule, torcileggi, storpiacodici, lingue da tanaglia,
coglienze da galeotto”.
L’esito è malinconico: “Il Sud
oscillerà contraddittoriamente – se non immoralmente – tra opposizione
rivendicativa, spinte autonomistiche, perfino insurrezioni armate e, dall’altra
parte, una continua richiesta di protezione al ministro di turno”.
Paolo Macry, Unità a mezzogiorno, Il Mulino, pp. 155 € 13,50
I Mille e Liborio Romano, la storia del Sud, malinconica, è tutta qui. Liborio Romano, il ministro dì polizia che Francesco II scelse per arginare Garibaldi, caratterizza esemplare il processo unitario nel suo atto decisivo: intelligente e abile, di nessun progetto né dirittura.
Garibaldi innesca una liberazione della Sicilia caotica e criminale, con eccessi da parte di tutti.
Il 1860 ha avuto un precedente nel 1848: squadre amate di contadini, gruppi di facinorosi, massacri, saccheggi, vendette, unn criminalità capillare e una giustizia sommaria: “La Sicilia è il cuore di tenebra del Regno borbonico”. La Sicilia libera i diavoli, la storia si ripete con i Mille. La personalità di Garibaldi copre gli eventi, e anche, nota Macry, la riflessione degli storici. Ma il peggio del 1848 si riproduce nell’isola negli eventi della liberazione: un liberi tutti di assassinare, depredare, vendicarsi, occupare, prendere, e giustizie sommarie.
L’unità si compie con i Mille, e si scompagina. Macry non lo dice, ma lo rappresenta, alla ricerca sempre del perché il Sud dell’Italia non ingrana, a un secolo e mezzo abbondante dall’unificazione – un’anomalia, si può dire, mondiale: non c’è situazione analoga in nessun’altra parte del mondo oggi, né in nessun’altra epoca storica. Tanto più, nota in apertura, che l’unità è stata un grande successo, politico e, ancora di più, economico, di un paese inesistente, analfabeta al 95 per cento, poverissimo al 90 per cento, facendo uno dei più ricchi al mondo. Ed è stato un fatto italiano, il Risorgimento propiziato dal Nord Europa è “un mito ottocentesco”: Londra non voleva riconoscere Garibaldi a Napoli, la Francia tentò la confederazione a tre, Piemonte, papa, Borboni.
Il processo unitario prudente, calcolato, passo dopo passo, confrontandosi con l’Austria-Ungheria dapprima, poi con il papa, Cavour è un equilibrista, non un progettuale rivoluzionario, è accelerato e stravolto dall’impresa di Garibaldi. E dall’Atto Sovrano di Francesco II. I due eventi, improvvisi, modellano la politica unitaria. Creando l’interminabile questione meridionale. Non un governo, un progetto, un ordine, ma la confusione. “Nelle settimane seguenti all’Atto Sovrano non si contano le occupazioni di terre, ivi comprese le terre di vescovadi e monasteri”. Come notano le fonti di polizia: “I popolani continuano a persistere nella loro idea di volere le terre demaniali e subito, perché ritengono che se si apriranno le camere legislative… la ripartizione delle terre non avrà luogo”.
Il Mezzogiorno, rileva Macry, “scompare come capacità politica, apparato amministrativo e militare, identità culturale e morale”. Napoli in particolare: “La capitale napoletana appare particolarmente lontana da ogni principio politico ed esistenziale di realtà. Assomiglia a una grande rappresentazione teatrale…” – comincia la napoletudine. S’intreccia il nodo ordine-disordine che è il virus non tanto segreto del Sud. Napoli è in mano ai “tutori dell’ordine che Liborio Romano ha reclutato in fretta e furia tra i gruppi del malaffare”, i “Michele ‘o Chiazziere”, gli “Schiavetto”, i “Tore ‘e Crescenzo” e “altri capi della criminalità”. Una “nuova polizia” che, “paradosso dopo paradosso”, “non è soltanto camorrista, è anche patriottica, amica dei liberali e dei democratici e nemica dei Borboni”. Nel nome della libertà, della propria, di camorristi. La Guardia Nazionale, altra creazione di Romano, composta localmente, è luogo di malavita. Il Sud resterà impantanato in “un groviglio di vizi che diventano virtù, e viceversa”. I Carabinieri, va osservato, e la magistratura indipendente saranno pure un’altra cosa, ma al Sud ancora no.
Ci sono delle attenuanti. L’unità è subito leva militare e nuove tasse. La risposta è armata. La reazione è la forza. Stato d’assedio nel 1862 e, un anno dopo, “un’ancor più repressiva e indiscriminata Legge Pica”. La partenza è col piede sbagliato: “Torino manda nel Mezzogiorno quasi i due terzi di tutte le sue forze armate, sostituisce prefetti e sindaci, accresce i poteri dei comandanti militari”. Ma ci sono delle persistenze, ancora centocinquant’anni dopo: “Qualunque sia stato storicamente il ruolo dei governi centrali”, è la conclusione, “molta parte del problema del dualismo va addebitata alle classi dirigenti e alle comunità del Mezzogiorno”.
La migliore testa di Napoli
Liborio Romano non è una bizzarria dello storico. Caratterizza esemplare, nel cap. centrale “Napoli. Cronache di un suicidio politico”, il processo unitario come si è compiuto al Sud, e il futuro del Sud. “Perché dilungarsi su Liborio Romano?”, lo storico se lo chiede: “Perché la sua biografia racchiude, strato dopo strato, la complessa storia del Risorgimento meridionale”. Intelligente e abile, esperto, di nessuna dirittura, di nessun progetto. “La migliore testa di Napoli”, © Cavour. Fautore della “piemontesizzazione” del Regno, “all’indomani delll’uscita di scena di Garibaldi, facendo parte della Luogotenenza del principe di Carignano, apre una forte polemica contro la piemontesizzazione dell’ex regno borbonico e, non avendo ottenuto alcun risultato, si dimette, nel marzo 1861”. Salvo ripensarci: “Due mesi più tardi, in un memorandum a Cavour, critica le politiche doganali e fiscali del governo e chiede opere pubbliche per il Mezzogiorno. Cavour non gli risponde “e, malgrado il clamoroso successo ottenuto alle elezioni politiche, lo lascerà fuori da ogni incarico di governo”. Scriverà nelle memorie, “rispondendo a chi lo accusa di pubblica indegnità”, che “le sole norme della politica sono l’astuzia,la simulazione e la dissimulazione, l’utile e la forza”. Quasi a dare ragione, nota Macry, al “ruvido Farini”, nominato luogotenente al posto di Garibaldi, che a Napoli contava dodicimila avvocati, “cioè rabule, torcileggi, storpiacodici, lingue da tanaglia, coglienze da galeotto”.
L’esito è malinconico: “Il Sud oscillerà contraddittoriamente – se non immoralmente – tra opposizione rivendicativa, spinte autonomistiche, perfino insurrezioni armate e, dall’altra parte, una continua richiesta di protezione al ministro di turno”.
Paolo Macry, Unità a mezzogiorno, Il Mulino, pp. 155 € 13,50
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