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mercoledì 8 luglio 2020

Cronache dell’altro mondo – 66

Nell’imminenza della campagna presidenziale una mezza dozzina di parenti, collaboratori e amici dei Trump, da ultimo una nipote in età, Mary, e la ex segretaria della moglie, Stephanie Winston Wolkoff, pubblicano memorie scritte editorialmente per andare addosso al presidente uscente e alla sua famiglia. Libri in genere irrilevanti, pieni di “potrebbe”, “forse” e “sì” - gli editori in America lavorano in contatto stretto con gli uffici legali. Ma le case editrici fanno a gara per promuoverne uno, almeno uno, pagando ottimi ghost writer. E ogni pubblicazione di questo tipo parte con centinaia di migliaia di copie di presentazioni. Grazie al patrocinio dei migliori media, “New York Times”, “Atlantic”, “New Yorker”, “Washington Post”: il pubblico crede ai suoi giornali, anche se questi non leggono i libri scandalo – ne scrivono sulla base delle anticipazioni degli editori.
L’incipit memorabile della Dichiarazione d’indipendenza americana, col diritto alla felicità, era il sentimento diffuso all’epoca, quella dei Lumi, in mezza Europa oltre che in America: in Francia, in Gran Bretagna, in Italia, in Germania. Tra i bennati naturalmente. Lo spiegò nel 1997 la storica Pauline Maier, “On American Scripture: Making the Declaration of Independence”, di cui la “New York Review of Books” ripropone online la recensione all’epoca dello storico dell’America Gordon S. Wood, “Dusting off the Declaration”. La Dichiarazione è un atto giuridico-politico, che dopo il preambolo muove 18 contestazioni contro il re d’Inghilterra. Una serie di delitti politici, che giustificavano la secessione.


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