Cronache dell’altro mondo – 66
Nell’imminenza della campagna
presidenziale una mezza dozzina di parenti, collaboratori e amici dei Trump, da ultimo una
nipote in età, Mary, e la ex segretaria della moglie, Stephanie Winston Wolkoff, pubblicano memorie
scritte editorialmente per andare addosso al presidente uscente e alla sua famiglia. Libri in genere
irrilevanti, pieni di “potrebbe”, “forse” e “sì” - gli editori in America lavorano in contatto stretto con
gli uffici legali. Ma le case editrici fanno a gara per promuoverne uno, almeno uno, pagando ottimi
ghost writer. E ogni pubblicazione di questo tipo parte con centinaia di migliaia di copie
di presentazioni. Grazie al patrocinio dei migliori media, “New York Times”, “Atlantic”, “New
Yorker”, “Washington Post”: il pubblico crede ai suoi giornali, anche se questi non leggono i libri
scandalo – ne scrivono sulla base delle anticipazioni degli editori.
L’incipit memorabile della
Dichiarazione d’indipendenza americana, col diritto alla felicità, era
il sentimento diffuso all’epoca, quella dei Lumi, in mezza
Europa oltre che in America: in Francia, in Gran Bretagna, in Italia, in Germania. Tra i bennati
naturalmente. Lo spiegò nel 1997 la storica Pauline Maier, “On American Scripture: Making the
Declaration of Independence”, di cui la “New York Review of Books” ripropone online la recensione
all’epoca dello storico dell’America Gordon S. Wood, “Dusting off the Declaration”. La Dichiarazione è
un atto giuridico-politico, che dopo il preambolo muove 18 contestazioni contro il re d’Inghilterra.
Una serie di delitti politici, che giustificavano la secessione.
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