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lunedì 20 luglio 2020

Ecobusiness 2

astolfo 

Di che parliamo quando parliamo di protezione dell’ambiente.
L’ambiente è in cima alle “scalette” mondiali delle priorità, politiche  e personali, e se ne fanno convegni mondiali, dal Brasile a Parigi e a Madrid, ma solo come nuova attività economica – promozionale di nuovi business.
Impegni solenni cinque o sei anni fa a Parigi sul clima, e inquinamento moltiplicato successivamente a casa. Negli Stati Uniti di Trump ma anche, e soprattutto, in Cina, che continua a costruire centrali a carbone. E impone l’elettrico perché ne costruisce, a grande inquinamento, le batterie. Materiale tossico, che sarà alimentato dalle centrali a carbone.
Veleni alimentari
È soprattutto l’effetto dell’agricoltura, secondo il rapporto Onu-IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change: delle coltivazioni intensive e sempre più estese, anche se “la terra è scarsa”, per fare fronte a consumi più ampi e sofisticati, con le crescita diffusa del reddito per effetto della globalizzazione. Al secondo posto dopo i combustibili fossili, ma in più rapida crescita. E soprattutto incontenibile, mentre sul consumo dei combustibili fossili si può agire col contenimento dei consumi e le fonti di energia alternative. L’Ipcc calcola che un quarto dell’effetto serra sia provocato direttamente dall’agricoltura. Un’incidenza che arriva alla metà con la combustione per cucina e conservazione (raffreddamento) degli alimenti.
Il consumo di carne (l’allevamento) è tra i principali colpevoli del cambiamento climatico. C’è la carne senza carne, di proteine vegetali. Riduce il colesterolo, e l’effetto serra, ma introduce più grassi, e più sodio e più calorie, e i tumori.
Una bistecca inquina più di un’automobile – non è vero (i dati non sono comparabili) ma è suggestivo: per ogni chilo di manzo si producono nella filiera a partire dall’allevamento “fino a 60 kg di CO2”, equivalenti a venti litri di benzina bruciati da una macchine di media cilindrata.
E l’acqua? Per arrivare a un kg. di carne dal macellaio si utilizzano fino a 15 mila litri di acqua.
Per un kg. di riso 2.500 litri. Per uno di patate 500. Per un rotolo di carta da cucina 1.500. 
Si sostituisce il latte vegetale a quello animale. Consigliato come dietetico, il latte vegetale, che all’80 per cento è acqua, si vende a due volte, e anche quattro volte, il latte animale.
La chimica nell’alimentazione ha moltiplicato le patologie, le specie e il numero – non c’è alimentazione  senza chimica, anche a coltivare personalmente l’orto e tenere il pollaio. Ma questo non è materia del’Earth Day né delle crociate di Greta né dei forum ambientalisti mondiali. Tanto meno degli accordi internazionali per la riduzione dell’inquinamento.
Non c’è ricerca sugli effetti della chimica sulla salute. Cesare Maltoni, l’oncologo bolognese che si è dedicato a questi studi, analizzando la tossicità di oltre duecento sostanze chimiche, è un isolato e quasi una bizzarria, meritevole di un bio-doc, “Vivere che rischio”. La cancerogenesi dell’industria alimentare, che è il solo fattore certo della diffusione dei tumori, è materia non trattabile.
Meglio il carbone?
Stati generali del clima e impegni solenni a Madrid a fine novembre 2019. In un clima da fine del mondo. Con India e Cina che moltiplicano le centrali a carbone, le più produttive e meno costose. Le più inquinanti?
Le centrali a carbone di Cina e India, che le moltiplicano malgrado gli impegni presi a Parigi, potrebbero salvarci dall’effetto serra. Non è un paradosso e non è una bufala: è un fatto. E significa che la polemica antindustriale con cui il business verde o della sostenibilità si promuove è solo un aggiornamento delle guerre fra monopoli industriali, e può fare danni.
Fino al 1975, per almeno 35 anni, malgrado la guerra, la mobilitazione industriale bellica, e e la superproduzione del lungo boom postbellico, anche sgangherata, senza controlli delle emissioni, la temperatura terreste fu in diminuzione. Lieve, ma allarmante. E misteriosa: l’ipotesi più accreditata fu che il particolato di solfato rilasciato dal carbone riflettesse nello spazio l’energia del sole, la rimandasse indietro. Ma incrementava le piogge acide. La decarbonizzazione ha fatto sparire le piogge acide, ma contemporaneamente ha portato al rialzo la temperatura del gloco.
Nel quasi mezzo secolo dal 1975 la temperatura media è aumentata di poco più di mezzo grado, di 0,6° C. Non è poco ma non è allarmante. E gli studi più accreditati ne danno merito –merito, nonm colpa - a una sola causa,  all’uso estensivo del carbone nei grandi paesi asiatici, da quando hanno accelerato il decollo economico: India e Cina sarebbero leader dell’antinquinamento con le loro centrali a carbone perché le imponenti emissioni di solfato ritardano il riscaldamento da gas serra.
Uno studio, che porta la firma di otto ricercatori di vari paesi, pubblicato sull’autorevole “Geophysical Reserach Letters”, “Climate Impacts from a Removal of Anthropogenic Aerosol Emissions”, si conclude con questa minaccia: “La rimozione dell’insieme delle emissioni aerosol del mondo potrebbe aggiungere 0,7°C alle temperature globali”.
Concertistica e bandiere
I Coldplay dicono “basta concerti”, inquinano. Per vendere il nuovo disco?
Lo stesso Jovanotti: prima fa i concerti sulle spiagge poi dice stop ai concerti. Che in inverno, certo, non si possono fare.
Pioggia di bandiere blu, quest’anno come ogni anno, di Legambiente per i mari toscani, per la quasi totalità infrequentabili, per affluenti sporchi, a cominciare dal Versilia, e altri scarichi. Con il record italiano, mediterraneo, europeo e forse mondiale, di microplastiche nel mare, lungo le coste e nell’arcipelago toscano, portate dai fiumi, Arno compreso – più inquinato del Po e del Tevere. Vecchia complicità Pci – la Toscana è l’ultima roccaforte?
Quest’anno bandiera blu anche per Marina di Carrara. Che si apprestava a farne celebrazione quando grossi topi di fogna si sono segnalati tra le scogliere artificiali a protezione del (residuo) arenile.
Finis aquae
Si finanziano abbondantemente a fondo perduto le fonti di energia “rinnovabili”, biomasse, voltaico, eolico, che tutte sono comunque inquinanti, qualcuna anche più dei combustibili fossili, e costano un’enormità. Si vede in Italia, dove la decarbonizzazione si riduce invece di incrementarsi, malgrado gli enormi sussidi.

Si annuncia la fine dell’acqua, che non può finire, per farla pagare il doppio – come si specula sulla fine del petrolio, che invece è strabbondante, per farlo pagare come l’oro. Speculano sull’acqua  Comuni e Acquedotti consortili che mediamente sprecano metà dell’acqua catturata agli invasi. 
L’acqua pubblica è più che raddoppiata di prezzo dopo il referendum nove anni fa, nel maggio 2011. Si fa pagare il terrorismo ecologico sulla “fine dell’acqua” – che è una scemenza. Invece di riparare le condotte e razionalizzare le sorgenti, le prese d’acqua. Si specula, i Comuni speculano, su una paura, invece di riparare il danno – metà dell’acqua prelevata alle sorgenti, montagna, fiumi, laghi, si disperde nelle tubature prima di arrivare ai rubinetti.
Quanta acqua non si spreca per pulire i rifiuti da raccolta diversificata, plastiche, vetri?
La “differenziata” non è una soluzione. Costa – le tariffe sono poco meno che raddoppiate. Si fa con spreco di tenpo, di acqua, e di calore, per ripulire vetri e multimateriali.
Scoppiati
L’Italia è al primo posto in Europa - dati Aea, Agenzia europea per l’ambiente - per morti premature da biossido di azoto, prodotto principalmente dai motori diesel: 14.600 nel 2018.
L’Italia ha anche il più alto numero – dopo la Germania, che ha però una popolazione di 82 milioni – di decessi prematuri causati dal particolato fine  PM2,5, le polveri sottili: 58.600 nel 2018. L’Italia muore di particolato pur avendo un clima relativamente mite: due quinti del particolato, il 38 per cento, è l’effetto del riscaldamento. Il 22 per cento è prodotto in campagna, dagli allevamenti e le colture. Il 16 per cento è l’effetto della circolazione stradale, compresi i carichi pesanti.
Non c’è salvezza – è il  secolo della paura? Con la paura si governa meglio.
La promozione dell’entusiasmo è magistrale, la narrazione deviata
Si sbandierano calcoli del genere: “Metà della plastica esistente oggi è stata prodotta negli ultimi quindici anni”.  O: “Nel 1950 la produzione di plastica era di 2,3 milioni di tonnellate, nel 2015 di 448 milioni. Si prevede che raddoppi entro il 2050”. Ma non si dice che non si beve acqua se non “minerale”, soprattutto al ristorante: non ce n’è altra. Trent’anni fa si beveva acqua corrente. Si beve anche sule Alpi, sull’Appennino tosco-emiliano, su mondi della Laga, acqua in bottiglia, di plastica. Molte famiglie sono passate all’acqua da bere “minerale”, cioè nella plastica. Né si può compare niente al banco alimentari del supermercato se non avvolto in triplice involucro di plastica.  Spesso servito con guanti indossati ad hoc. 
Viviamo compiaciuti, tra modelli superpromozioanti, all’epoca dei Suv. Macchine inutili, che ingombrano tre e quattro volte la dimensione utile, consumano il doppio, producono emissioni e polveri come un autobus. Per portare il bambino a scuola la mattina.
Il Suv è al centro delle strategie di fabbricazione – l’Alfa Romeo è in crisi perché non ha ancora un Suv.
Ma tutte le macchine sono cresciute di peso e dimensioni, a nessun effetto – la sicurezza, si dice, ma gli incidenti non sono meno onerosi: basta paragonare la vecchia Cinquecento alla nuova. Con doppio-triplo ingombro su strada, doppie-triple emissioni nocive, doppio-triplo consumo di materiali, gomme, plastiche, metalli, vernici.
Quanta CO2 inutile non si butta nell’atmosfera – se è sua la colpa dell’effetto serra – per avere il termosifone a 130 gradi, il condizionatore in ogni stanza, la lavapanni e la lavastoviglie sempre in funzione? Vent’anni fa non c’erano i condizionatori, e non si moriva di calore. Neanche quindici anni
Le risorse fossili sono in esaurimento ma per effetto della globalizzazione. L’urbanizzazione accelerata della Cina per effetto dalla globalizzazione – manodopera in città – ha consumato più sabbia per l’edilizia di quanta ne abbiano consumato gli Stati Uniti dalla fondazione due secoli e mezzo fa.
Flygskam e tagskryt, vergogna di volare e vantarsi di andare in treno, sono due hashtag in voga in Svezia per per dirsi impegnagti nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Come se il treno non viaggiasse con l’elettricità, che una centrale termica deve produrre. E non producesse con al frizione nuvole di particolato e altre emissioni nocive, metalliche. Mentre della Co2 in fondo viviamo.
“Io compenso sempre le mie emissioni di andride carbonica” è la nuova frontiera delle ecofavole. Anche se immobili non possiamo stare. Far scorrere l’acqua dal rubinetto produce CO2, anche mandare un sms. Alimentarsi ne produce molto di più: due chili per un bicchiere di vino, tre per una bistecca. Andare in macchina – o in treno – ne produce ovviamente molto di più.
L’ecofriendly preferisce la doccia al bagno, per ridurre l’emissione, non copre i termosifoni, usa un solo condizionatore per la tutta la casa, sbrina speso il freezer…. E pianta alberi. Questo è già un business, fiorente: ci sono onlus specializzate nel piantare alberi per noi, in Italia e all’estero, per un fee, mdesto naturalmente. Phoresta Onlus offre anche “servizi ecosistemici” – “Paghiamo, per esempio, per rimandare il taglio di un bosco da legna di dieci anni”, spiega il titolare.
Quel che resta di Parigi
Inverosimili copricapi d’inverosimili capi indiani e vecchi beatnik col codino declinano la morte del pianeta a Parigi. Declinavano qualche tempo fa, già cinque o sei anni. Ma la kermesse non è stata di parata, dietro il folklore c’è un business solido. Soprattutto tutti sono – erano - contenti coi cento miliardi da spendere nei paesi del “Terzo mondo” – a Parigi c’era ancora il Terzo mondo… Che poi non sono stati spesi.
La morte del pianeta sarebbe evitata nell’immediato, e di colpo, abolendo il motore a scoppio: basterebbe l’idrogeno, o altra miscela non fossile, e l’aria torna subito pulita, il surriscaldamento stoppato. Ma questo non era in agenda, non si fanno ricerche di combustibili alternativi. Si investe – soldi pubblici – per ridurre le emissioni nocive dopo averle prodotte e non per evitarne la produzione. Il resto – la deforestazione, le mascherine, etc. - serve a duper le bourgeois, sempre tenero di cuore, perché apra il portafoglio contento.
Gli obiettivi restano vaghi, gli impegni imprecisi, tutto ciò che serve è creare un po’ di panico che giustifichi presso l’opinione pubblica l’impegno di ingenti risorse pubbliche per il business. Obama lo ha detto all’apertura: “Mostriamo agli affari e agli investitori che l’economia globale è sul cammino stabile per un futuro a basso carbonio. Ci sono centinaia di miliardi di dollari pronti all’uso in giro per il mondo se avranno il segnale che abbiamo intenzioni serie. Mandiamo quel segnale”. Era questo il messaggio del primo presidente americano che lanciò l’industria dell’antinquinamento: Nixon, appena eletto, fine 1968.
A Obama ha fatto eco a Parigi l’allora segretario dell’Onu Ban-ki-moon: “Affari e investitori si aspettano un forte accordo a Parigi che mandi al mercato i giusti segnali”. E l’allora segretario di Stato Kerry il giorno successivo: “Quello che stiamo facendo è mandare al mercato un segnale straordinario”.
(continua)

Scoppiati
L’Italia è al primo posto in Europa - dati Aea, Agenzia europea per l’ambiente - per morti premature da biossido di azoto, prodotto principalmente dai motori diesel: 14.600 nel 2018.
L’Italia ha anche il più alto numero – dopo la Germania, che ha però una popolazione di 82 milioni – di decessi prematuri causati dal particolato fine  PM2,5, le polveri sottili: 58.600 nel 2018. L’Italia muore di particolato pur avendo un clima relativamente mite: due quinti del particolato, il 38 per cento, è l’effetto del riscaldamento. Il 22 per cento è prodotto in campagna, dagli allevamenti e le colture. Il 16 per cento è l’effetto della circolazione stradale, compresi i carichi pesanti.
Non c’è salvezza – è il  secolo della paura? Con la paura si governa meglio.
La promozione dell’entusiasmo è magistrale, la narrazione deviata
Si sbandierano calcoli del genere: “Metà della plastica esistente oggi è stata prodotta negli ultimi quindici anni”.  O: “Nel 1950 la produzione di plastica era di 2,3 milioni di tonnellate, nel 2015 di 448 milioni. Si prevede che raddoppi entro il 2050”. Ma non si dice che non si beve acqua se non “minerale”, soprattutto al ristorante: non ce n’è altra. Trent’anni fa si beveva acqua corrente. Si beve anche sule Alpi, sull’Appennino tosco-emiliano, su mondi della Laga, acqua in bottiglia, di plastica. Molte famiglie sono passate all’acqua da bere “minerale”, cioè nella plastica. Né si può compare niente al banco alimentari del supermercato se non avvolto in triplice involucro di plastica.  Spesso servito con guanti indossati ad hoc. 
Viviamo compiaciuti, tra modelli superpromozioanti, all’epoca dei Suv. Macchine inutili, che ingombrano tre e quattro volte la dimensione utile, consumano il doppio, producono emissioni e polveri come un autobus. Per portare il bambino a scuola la mattina.
Il Suv è al centro delle strategie di fabbricazione – l’Alfa Romeo è in crisi perché non ha ancora un Suv.
Ma tutte le macchine sono cresciute di peso e dimensioni, a nessun effetto – la sicurezza, si dice, ma gli incidenti non sono meno onerosi: basta paragonare la vecchia Cinquecento alla nuova. Con doppio-triplo ingombro su strada, doppie-triple emissioni nocive, doppio-triplo consumo di materiali, gomme, plastiche, metalli, vernici.
Quanta CO2 inutile non si butta nell’atmosfera – se è sua la colpa dell’effetto serra – per avere il termosifone a 130 gradi, il condizionatore in ogni stanza, la lavapanni e la lavastoviglie sempre in funzione? Vent’anni fa non c’erano i condizionatori, e non si moriva di calore. Neanche quindici anni
Le risorse fossili sono in esaurimento ma per effetto della globalizzazione. L’urbanizzazione accelerata della Cina per effetto dalla globalizzazione – manodopera in città – ha consumato più sabbia per l’edilizia di quanta ne abbiano consumato gli Stati Uniti dalla fondazione due secoli e mezzo fa.
Flygskam e tagskryt, vergogna di volare e vantarsi di andare in treno, sono due hashtag in voga in Svezia per per dirsi impegnagti nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Come se il treno non viaggiasse con l’elettricità, che una centrale termica deve produrre. E non producesse con al frizione nuvole di particolato e altre emissioni nocive, metalliche. Mentre della Co2 in fondo viviamo.
“Io compenso sempre le mie emissioni di andride carbonica” è la nuova frontiera delle ecofavole. Anche se immobili non possiamo stare. Far scorrere l’acqua dal rubinetto produce CO2, anche mandare un sms. Alimentarsi ne produce molto di più: due chili per un bicchiere di vino, tre per una bistecca. Andare in macchina – o in treno – ne produce ovviamente molto di più.
L’ecofriendly preferisce la doccia al bagno, per ridurre l’emissione, non copre i termosifoni, usa un solo condizionatore per la tutta la casa, sbrina speso il freezer…. E pianta alberi. Questo è già un business, fiorente: ci sono onlus specializzate nel piantare alberi per noi, in Italia e all’estero, per un fee, mdesto naturalmente. Phoresta Onlus offre anche “servizi ecosistemici” – “Paghiamo, per esempio, per rimandare il taglio di un bosco da legna di dieci anni”, spiega il titolare.
Quel che resta di Parigi
Inverosimili copricapi d’inverosimili capi indiani e vecchi beatnik col codino declinano la morte del pianeta a Parigi. Declinavano qualche tempo fa, già cinque o sei anni. Ma la kermesse non è stata di parata, dietro il folklore c’è un business solido. Soprattutto tutti sono – erano - contenti coi cento miliardi da spendere nei paesi del “Terzo mondo” – a Parigi c’era ancora il Terzo mondo… Che poi non sono stati spesi.
La morte del pianeta sarebbe evitata nell’immediato, e di colpo, abolendo il motore a scoppio: basterebbe l’idrogeno, o altra miscela non fossile, e l’aria torna subito pulita, il surriscaldamento stoppato. Ma questo non era in agenda, non si fanno ricerche di combustibili alternativi. Si investe – soldi pubblici – per ridurre le emissioni nocive dopo averle prodotte e non per evitarne la produzione. Il resto – la deforestazione, le mascherine, etc. - serve a duper le bourgeois, sempre tenero di cuore, perché apra il portafoglio contento.
Gli obiettivi restano vaghi, gli impegni imprecisi, tutto ciò che serve è creare un po’ di panico che giustifichi presso l’opinione pubblica l’impegno di ingenti risorse pubbliche per il business. Obama lo ha detto all’apertura: “Mostriamo agli affari e agli investitori che l’economia globale è sul cammino stabile per un futuro a basso carbonio. Ci sono centinaia di miliardi di dollari pronti all’uso in giro per il mondo se avranno il segnale che abbiamo intenzioni serie. Mandiamo quel segnale”. Era questo il messaggio del primo presidente americano che lanciò l’industria dell’antinquinamento: Nixon, appena eletto, fine 1968.
A Obama ha fatto eco a Parigi l’allora segretario dell’Onu Ban-ki-moon: “Affari e investitori si aspettano un forte accordo a Parigi che mandi al mercato i giusti segnali”. E l’allora segretario di Stato Kerry il giorno successivo: “Quello che stiamo facendo è mandare al mercato un segnale straordinario”.
(continua)



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