Ecobusiness 2
astolfo
Di
che parliamo quando parliamo di protezione dell’ambiente.
L’ambiente è in
cima alle “scalette” mondiali delle priorità, politiche e personali, e se
ne fanno convegni mondiali, dal Brasile a Parigi e a Madrid, ma solo come nuova
attività economica – promozionale di nuovi business.
Impegni solenni
cinque o sei anni fa a Parigi sul clima, e inquinamento moltiplicato
successivamente a casa. Negli Stati Uniti di Trump ma anche, e soprattutto, in
Cina, che continua a costruire centrali a carbone. E impone l’elettrico perché
ne costruisce, a grande inquinamento, le batterie. Materiale tossico, che sarà
alimentato dalle centrali a carbone.
Veleni
alimentari
È soprattutto
l’effetto dell’agricoltura, secondo il rapporto Onu-IPCC, Intergovernmental
Panel on Climate Change: delle coltivazioni intensive e sempre più estese,
anche se “la terra è scarsa”, per fare fronte a consumi più ampi e sofisticati,
con le crescita diffusa del reddito per effetto della globalizzazione. Al
secondo posto dopo i combustibili fossili, ma in più rapida crescita. E
soprattutto incontenibile, mentre sul consumo dei combustibili fossili si può
agire col contenimento dei consumi e le fonti di energia alternative. L’Ipcc
calcola che un quarto dell’effetto serra sia provocato direttamente
dall’agricoltura. Un’incidenza che arriva alla metà con la combustione per
cucina e conservazione (raffreddamento) degli alimenti.
Il consumo di
carne (l’allevamento) è tra i principali colpevoli del cambiamento climatico.
C’è la carne senza carne, di proteine vegetali. Riduce il colesterolo, e
l’effetto serra, ma introduce più grassi, e più sodio e più calorie, e i
tumori.
Una bistecca
inquina più di un’automobile – non è vero (i dati non sono comparabili) ma è
suggestivo: per ogni chilo di manzo si producono nella filiera a partire
dall’allevamento “fino a 60 kg di CO2”, equivalenti a venti litri di benzina
bruciati da una macchine di media cilindrata.
E l’acqua? Per
arrivare a un kg. di carne dal macellaio si utilizzano fino a 15 mila litri di
acqua.
Per un kg. di
riso 2.500 litri. Per uno di patate 500. Per un rotolo di carta da cucina
1.500.
Si sostituisce
il latte vegetale a quello animale. Consigliato come dietetico, il latte
vegetale, che all’80 per cento è acqua, si vende a due volte, e anche quattro
volte, il latte animale.
La chimica
nell’alimentazione ha moltiplicato le patologie, le specie e il numero – non
c’è alimentazione senza chimica, anche a coltivare personalmente
l’orto e tenere il pollaio. Ma questo non è materia del’Earth Day né delle
crociate di Greta né dei forum ambientalisti mondiali. Tanto meno degli accordi
internazionali per la riduzione dell’inquinamento.
Non c’è ricerca
sugli effetti della chimica sulla salute. Cesare Maltoni, l’oncologo bolognese
che si è dedicato a questi studi, analizzando la tossicità di oltre duecento
sostanze chimiche, è un isolato e quasi una bizzarria, meritevole di un
bio-doc, “Vivere che rischio”. La cancerogenesi dell’industria alimentare, che
è il solo fattore certo della diffusione dei tumori, è materia non trattabile.
Meglio il carbone?
Stati generali
del clima e impegni solenni a Madrid a fine novembre 2019. In un clima da fine
del mondo. Con India e Cina che moltiplicano le centrali a carbone, le più
produttive e meno costose. Le più inquinanti?
Le centrali a
carbone di Cina e India, che le moltiplicano malgrado gli impegni presi a
Parigi, potrebbero salvarci dall’effetto serra. Non è un paradosso e non è una
bufala: è un fatto. E significa che la polemica antindustriale con cui il business verde
o della sostenibilità si promuove è solo un aggiornamento delle guerre fra
monopoli industriali, e può fare danni.
Fino al 1975,
per almeno 35 anni, malgrado la guerra, la mobilitazione industriale bellica, e
e la superproduzione del lungo boom postbellico, anche sgangherata, senza
controlli delle emissioni, la temperatura terreste fu in diminuzione. Lieve, ma
allarmante. E misteriosa: l’ipotesi più accreditata fu che il particolato di
solfato rilasciato dal carbone riflettesse nello spazio l’energia del sole, la
rimandasse indietro. Ma incrementava le piogge acide. La decarbonizzazione ha
fatto sparire le piogge acide, ma contemporaneamente ha portato al rialzo la
temperatura del gloco.
Nel quasi mezzo
secolo dal 1975 la temperatura media è aumentata di poco più di mezzo grado, di
0,6° C. Non è poco ma non è allarmante. E gli studi più accreditati ne danno
merito –merito, nonm colpa - a una sola causa,
all’uso estensivo del carbone nei grandi paesi asiatici, da quando hanno
accelerato il decollo economico: India e Cina sarebbero leader
dell’antinquinamento con le loro centrali a carbone perché le imponenti
emissioni di solfato ritardano il riscaldamento da gas serra.
Uno studio, che
porta la firma di otto ricercatori di vari paesi, pubblicato sull’autorevole
“Geophysical Reserach Letters”, “Climate Impacts from a Removal of
Anthropogenic Aerosol Emissions”, si conclude con questa minaccia: “La
rimozione dell’insieme delle emissioni aerosol del mondo potrebbe aggiungere
0,7°C alle temperature globali”.
Concertistica e bandiere
I Coldplay
dicono “basta concerti”, inquinano. Per vendere il nuovo disco?
Lo stesso
Jovanotti: prima fa i concerti sulle spiagge poi dice stop ai concerti. Che in
inverno, certo, non si possono fare.
Pioggia di bandiere blu, quest’anno come
ogni anno, di Legambiente per i mari toscani, per la quasi totalità
infrequentabili, per affluenti sporchi, a cominciare dal Versilia, e altri
scarichi. Con il record italiano, mediterraneo, europeo e forse mondiale,
di microplastiche nel mare, lungo le coste e nell’arcipelago toscano, portate
dai fiumi, Arno compreso – più inquinato del Po e del Tevere. Vecchia
complicità Pci – la Toscana è l’ultima roccaforte?
Quest’anno bandiera blu anche per Marina
di Carrara. Che si apprestava a farne celebrazione quando grossi topi di fogna
si sono segnalati tra le scogliere artificiali a protezione del (residuo)
arenile.
Finis aquae
Si finanziano
abbondantemente a fondo perduto le fonti di energia “rinnovabili”, biomasse,
voltaico, eolico, che tutte sono comunque inquinanti, qualcuna anche più dei
combustibili fossili, e costano un’enormità. Si vede in Italia, dove la
decarbonizzazione si riduce invece di incrementarsi, malgrado gli enormi
sussidi.
Si annuncia la fine dell’acqua, che non
può finire, per farla pagare il doppio – come si specula sulla fine del
petrolio, che invece è strabbondante, per farlo pagare come l’oro. Speculano
sull’acqua Comuni e Acquedotti consortili che mediamente sprecano metà dell’acqua catturata agli invasi.
L’acqua pubblica
è più che raddoppiata di prezzo dopo il referendum nove anni fa, nel maggio
2011. Si fa pagare il terrorismo ecologico sulla “fine dell’acqua” – che è una
scemenza. Invece di riparare le condotte e razionalizzare le sorgenti, le prese
d’acqua. Si specula, i Comuni speculano, su una paura, invece di riparare il
danno – metà dell’acqua prelevata alle sorgenti, montagna, fiumi, laghi, si
disperde nelle tubature prima di arrivare ai rubinetti.
Quanta acqua non si spreca per
pulire i rifiuti da raccolta diversificata, plastiche, vetri?
La “differenziata” non è una soluzione. Costa
– le tariffe sono poco meno che raddoppiate. Si fa con spreco di tenpo, di
acqua, e di calore, per ripulire vetri e multimateriali.
Scoppiati
L’Italia è al
primo posto in Europa - dati Aea, Agenzia europea per l’ambiente - per morti
premature da biossido di azoto, prodotto principalmente dai motori diesel:
14.600 nel 2018.
L’Italia ha
anche il più alto numero – dopo la Germania, che ha però una popolazione di 82
milioni – di decessi prematuri causati dal particolato fine PM2,5,
le polveri sottili: 58.600 nel 2018. L’Italia muore di particolato pur avendo
un clima relativamente mite: due quinti del particolato, il 38 per cento, è
l’effetto del riscaldamento. Il 22 per cento è prodotto in campagna, dagli
allevamenti e le colture. Il 16 per cento è l’effetto della circolazione
stradale, compresi i carichi pesanti.
Non c’è salvezza
– è il secolo della paura? Con la paura si governa meglio.
La promozione
dell’entusiasmo è magistrale, la narrazione deviata
Si sbandierano
calcoli del genere: “Metà della plastica esistente oggi è stata prodotta negli
ultimi quindici anni”. O: “Nel 1950 la produzione di plastica era di
2,3 milioni di tonnellate, nel 2015 di 448 milioni. Si prevede che raddoppi
entro il 2050”. Ma non si dice che non si beve acqua se non “minerale”,
soprattutto al ristorante: non ce n’è altra. Trent’anni fa si beveva acqua
corrente. Si beve anche sule Alpi, sull’Appennino tosco-emiliano, su mondi
della Laga, acqua in bottiglia, di plastica. Molte famiglie sono passate
all’acqua da bere “minerale”, cioè nella plastica. Né si può compare niente al
banco alimentari del supermercato se non avvolto in triplice involucro di
plastica. Spesso servito con guanti indossati ad hoc.
Viviamo
compiaciuti, tra modelli superpromozioanti, all’epoca dei Suv. Macchine
inutili, che ingombrano tre e quattro volte la dimensione utile, consumano il
doppio, producono emissioni e polveri come un autobus. Per portare il bambino a
scuola la mattina.
Il Suv è al
centro delle strategie di fabbricazione – l’Alfa Romeo è in crisi perché non ha
ancora un Suv.
Ma tutte le
macchine sono cresciute di peso e dimensioni, a nessun effetto – la sicurezza,
si dice, ma gli incidenti non sono meno onerosi: basta paragonare la vecchia
Cinquecento alla nuova. Con doppio-triplo ingombro su strada, doppie-triple
emissioni nocive, doppio-triplo consumo di materiali, gomme, plastiche,
metalli, vernici.
Quanta CO2
inutile non si butta nell’atmosfera – se è sua la colpa dell’effetto serra –
per avere il termosifone a 130 gradi, il condizionatore in ogni stanza, la
lavapanni e la lavastoviglie sempre in funzione? Vent’anni fa non c’erano i
condizionatori, e non si moriva di calore. Neanche quindici anni
Le risorse fossili
sono in esaurimento ma per effetto della globalizzazione. L’urbanizzazione
accelerata della Cina per effetto dalla globalizzazione – manodopera in città –
ha consumato più sabbia per l’edilizia di quanta ne abbiano consumato gli Stati
Uniti dalla fondazione due secoli e mezzo fa.
Flygskam e
tagskryt, vergogna di volare e vantarsi di andare in treno, sono due hashtag in
voga in Svezia per per dirsi impegnagti nella riduzione delle emissioni di
anidride carbonica. Come se il treno non viaggiasse con l’elettricità, che una
centrale termica deve produrre. E non producesse con al frizione nuvole di
particolato e altre emissioni nocive, metalliche. Mentre della Co2 in fondo
viviamo.
“Io compenso
sempre le mie emissioni di andride carbonica” è la nuova frontiera delle
ecofavole. Anche se immobili non possiamo stare. Far scorrere l’acqua dal
rubinetto produce CO2, anche mandare un sms. Alimentarsi ne produce molto di
più: due chili per un bicchiere di vino, tre per una bistecca. Andare in
macchina – o in treno – ne produce ovviamente molto di più.
L’ecofriendly preferisce
la doccia al bagno, per ridurre l’emissione, non copre i termosifoni, usa un
solo condizionatore per la tutta la casa, sbrina speso il freezer…. E pianta
alberi. Questo è già un business, fiorente: ci sono onlus
specializzate nel piantare alberi per noi, in Italia e all’estero, per un fee,
mdesto naturalmente. Phoresta Onlus offre anche “servizi ecosistemici” –
“Paghiamo, per esempio, per rimandare il taglio di un bosco da legna di dieci
anni”, spiega il titolare.
Quel che resta di Parigi
Inverosimili
copricapi d’inverosimili capi indiani e vecchi beatnik col
codino declinano la morte del pianeta a Parigi. Declinavano qualche tempo fa,
già cinque o sei anni. Ma la kermesse non è stata di parata, dietro il folklore
c’è un business solido. Soprattutto tutti sono – erano - contenti coi cento
miliardi da spendere nei paesi del “Terzo mondo” – a Parigi c’era ancora il
Terzo mondo… Che poi non sono stati spesi.
La morte del
pianeta sarebbe evitata nell’immediato, e di colpo, abolendo il motore a
scoppio: basterebbe l’idrogeno, o altra miscela non fossile, e l’aria torna
subito pulita, il surriscaldamento stoppato. Ma questo non era in agenda, non
si fanno ricerche di combustibili alternativi. Si investe – soldi pubblici –
per ridurre le emissioni nocive dopo averle prodotte e non per evitarne la
produzione. Il resto – la deforestazione, le mascherine, etc. - serve a duper
le bourgeois, sempre tenero di cuore, perché apra il portafoglio contento.
Gli obiettivi
restano vaghi, gli impegni imprecisi, tutto ciò che serve è creare un po’ di
panico che giustifichi presso l’opinione pubblica l’impegno di ingenti risorse
pubbliche per il business. Obama lo ha detto all’apertura:
“Mostriamo agli affari e agli investitori che l’economia globale è sul cammino
stabile per un futuro a basso carbonio. Ci sono centinaia di miliardi di
dollari pronti all’uso in giro per il mondo se avranno il segnale che abbiamo
intenzioni serie. Mandiamo quel segnale”. Era
questo il messaggio del primo presidente americano che lanciò l’industria
dell’antinquinamento: Nixon, appena eletto, fine 1968.
A
Obama ha fatto eco a Parigi l’allora segretario dell’Onu Ban-ki-moon: “Affari e
investitori si aspettano un forte accordo a Parigi che mandi al mercato i
giusti segnali”. E l’allora segretario di Stato Kerry il giorno successivo:
“Quello che stiamo facendo è mandare al mercato un segnale straordinario”.
(continua)
Scoppiati
L’Italia è al
primo posto in Europa - dati Aea, Agenzia europea per l’ambiente - per morti
premature da biossido di azoto, prodotto principalmente dai motori diesel:
14.600 nel 2018.
L’Italia ha
anche il più alto numero – dopo la Germania, che ha però una popolazione di 82
milioni – di decessi prematuri causati dal particolato fine PM2,5,
le polveri sottili: 58.600 nel 2018. L’Italia muore di particolato pur avendo
un clima relativamente mite: due quinti del particolato, il 38 per cento, è
l’effetto del riscaldamento. Il 22 per cento è prodotto in campagna, dagli
allevamenti e le colture. Il 16 per cento è l’effetto della circolazione
stradale, compresi i carichi pesanti.
Non c’è salvezza
– è il secolo della paura? Con la paura si governa meglio.
La promozione
dell’entusiasmo è magistrale, la narrazione deviata
Si sbandierano
calcoli del genere: “Metà della plastica esistente oggi è stata prodotta negli
ultimi quindici anni”. O: “Nel 1950 la produzione di plastica era di
2,3 milioni di tonnellate, nel 2015 di 448 milioni. Si prevede che raddoppi
entro il 2050”. Ma non si dice che non si beve acqua se non “minerale”,
soprattutto al ristorante: non ce n’è altra. Trent’anni fa si beveva acqua
corrente. Si beve anche sule Alpi, sull’Appennino tosco-emiliano, su mondi
della Laga, acqua in bottiglia, di plastica. Molte famiglie sono passate
all’acqua da bere “minerale”, cioè nella plastica. Né si può compare niente al
banco alimentari del supermercato se non avvolto in triplice involucro di
plastica. Spesso servito con guanti indossati ad hoc.
Viviamo
compiaciuti, tra modelli superpromozioanti, all’epoca dei Suv. Macchine
inutili, che ingombrano tre e quattro volte la dimensione utile, consumano il
doppio, producono emissioni e polveri come un autobus. Per portare il bambino a
scuola la mattina.
Il Suv è al
centro delle strategie di fabbricazione – l’Alfa Romeo è in crisi perché non ha
ancora un Suv.
Ma tutte le
macchine sono cresciute di peso e dimensioni, a nessun effetto – la sicurezza,
si dice, ma gli incidenti non sono meno onerosi: basta paragonare la vecchia
Cinquecento alla nuova. Con doppio-triplo ingombro su strada, doppie-triple
emissioni nocive, doppio-triplo consumo di materiali, gomme, plastiche,
metalli, vernici.
Quanta CO2
inutile non si butta nell’atmosfera – se è sua la colpa dell’effetto serra –
per avere il termosifone a 130 gradi, il condizionatore in ogni stanza, la
lavapanni e la lavastoviglie sempre in funzione? Vent’anni fa non c’erano i
condizionatori, e non si moriva di calore. Neanche quindici anni
Le risorse fossili
sono in esaurimento ma per effetto della globalizzazione. L’urbanizzazione
accelerata della Cina per effetto dalla globalizzazione – manodopera in città –
ha consumato più sabbia per l’edilizia di quanta ne abbiano consumato gli Stati
Uniti dalla fondazione due secoli e mezzo fa.
Flygskam e
tagskryt, vergogna di volare e vantarsi di andare in treno, sono due hashtag in
voga in Svezia per per dirsi impegnagti nella riduzione delle emissioni di
anidride carbonica. Come se il treno non viaggiasse con l’elettricità, che una
centrale termica deve produrre. E non producesse con al frizione nuvole di
particolato e altre emissioni nocive, metalliche. Mentre della Co2 in fondo
viviamo.
“Io compenso
sempre le mie emissioni di andride carbonica” è la nuova frontiera delle
ecofavole. Anche se immobili non possiamo stare. Far scorrere l’acqua dal
rubinetto produce CO2, anche mandare un sms. Alimentarsi ne produce molto di
più: due chili per un bicchiere di vino, tre per una bistecca. Andare in
macchina – o in treno – ne produce ovviamente molto di più.
L’ecofriendly preferisce
la doccia al bagno, per ridurre l’emissione, non copre i termosifoni, usa un
solo condizionatore per la tutta la casa, sbrina speso il freezer…. E pianta
alberi. Questo è già un business, fiorente: ci sono onlus
specializzate nel piantare alberi per noi, in Italia e all’estero, per un fee,
mdesto naturalmente. Phoresta Onlus offre anche “servizi ecosistemici” –
“Paghiamo, per esempio, per rimandare il taglio di un bosco da legna di dieci
anni”, spiega il titolare.
Quel che resta di Parigi
Inverosimili
copricapi d’inverosimili capi indiani e vecchi beatnik col
codino declinano la morte del pianeta a Parigi. Declinavano qualche tempo fa,
già cinque o sei anni. Ma la kermesse non è stata di parata, dietro il folklore
c’è un business solido. Soprattutto tutti sono – erano - contenti coi cento
miliardi da spendere nei paesi del “Terzo mondo” – a Parigi c’era ancora il
Terzo mondo… Che poi non sono stati spesi.
La morte del
pianeta sarebbe evitata nell’immediato, e di colpo, abolendo il motore a
scoppio: basterebbe l’idrogeno, o altra miscela non fossile, e l’aria torna
subito pulita, il surriscaldamento stoppato. Ma questo non era in agenda, non
si fanno ricerche di combustibili alternativi. Si investe – soldi pubblici –
per ridurre le emissioni nocive dopo averle prodotte e non per evitarne la
produzione. Il resto – la deforestazione, le mascherine, etc. - serve a duper
le bourgeois, sempre tenero di cuore, perché apra il portafoglio contento.
Gli obiettivi
restano vaghi, gli impegni imprecisi, tutto ciò che serve è creare un po’ di
panico che giustifichi presso l’opinione pubblica l’impegno di ingenti risorse
pubbliche per il business. Obama lo ha detto all’apertura:
“Mostriamo agli affari e agli investitori che l’economia globale è sul cammino
stabile per un futuro a basso carbonio. Ci sono centinaia di miliardi di
dollari pronti all’uso in giro per il mondo se avranno il segnale che abbiamo
intenzioni serie. Mandiamo quel segnale”. Era
questo il messaggio del primo presidente americano che lanciò l’industria
dell’antinquinamento: Nixon, appena eletto, fine 1968.
A
Obama ha fatto eco a Parigi l’allora segretario dell’Onu Ban-ki-moon: “Affari e
investitori si aspettano un forte accordo a Parigi che mandi al mercato i
giusti segnali”. E l’allora segretario di Stato Kerry il giorno successivo:
“Quello che stiamo facendo è mandare al mercato un segnale straordinario”.
(continua)
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