astolfo
Di che parliamo quando parliamo di protezione dell'ambiente
Tutto elettrico
La Tesla Model 3
si dice il modello più venduto nella pandemia – una macchina da 50 mila euro in
su. Anche in Europa. Tra i primi dieci modelli più venduti. Non è vero - è tra
i primi dieci modelli più venduti fra le auto elettriche – ma è come se.
Una
Tesla Model 3, l’elettrica economica a partire da 50 mila euro, emette più CO2
di una Mercedes C220 diesel, prezzo a partire da 37 mila euro.
Poiché
stiamo per morire di inquinamento, bisogna comprarsi l’auto elettrica: via
tutto il resto, tutto ora sia elettrico. Lo ordinò la Francia mezzo secolo fa,
per riempirsi di centrali nucleari, una tren tina, che ora non sa come
“decommissionare” (chiudere e disattivare) – la radioattività si spegne con
difficoltà. Analogo programma italiano fu precluso da un referendum.
Bisogna
comprarsi un’auto al doppio del costo di una col motore a scoppio. Dotarsi di
un garage – 80-90 mila la quotazione a Roma. Con un colonnino di ricarica – 2
mila euro, più spese d’installazione, per 4-5 anni di durata. E pagare 80
centesimi al kWh – ottanta euro per quattrocento km..
Per
ora, cioè con l’elettricità da combustibili solidi. Con l’elettricità da fonti rinnovabili
il doppio, e pure il triplo. La salvezza costa cara.
Invece
di ridurre la circolazione. Magari con i mezzi pubblici. Per esempio a Roma,
dove circolano tanti mezzi privati quanti sono i residenti.
Ci vuole il cobalto per le
batterie a ioni di litio, a lunga durata, che è caro ed è estratto in Congo dai
bambini. Questo si sa ormai da due lustri e forse tre, ma non si rimedia.
Le case
automobilistiche annunciano investimenti “colossali” nell’auto
elettrica. Con relativa corsa in Cina, come se la fabbricazione fosse il
problema principale, mentre non necessita di investimenti, essendo ridotta alla
potenza e alla durata delle batterie. Gli investimenti sono invece
infrastrutturali, e nei mercati maggiori, euro-americani. Di questi non si
vede l’inizio e nemmeno il progetto.
Per i lunghi
viaggi, su percorsi stradali extraurbani e autostradali, bisognerà prima
costituire una rete di ricariche elettriche di una certa potenza. Ma l’impianto
di colonnine a ricarica veloce imporrebbe di ridisegnare tutta la rete di
distribuzione elettrica.
Una stazione di
ricarica con dieci colonnine a ricarica veloce, quindi impegnando 4,5 megawatt,
equivale all’illuminazione e agli usi elettrici di una comunità di 1.500
abitanti, di ceto medio – di un paese. La reti locali sono quindi da
ridisegnare, per i picchi di potenza assorbibili dalle stazioni di ricarica.
Quindi con la stagionalità. Il rischio black-out è comunque ineliminabile nei
giorni e le stagioni di picco.
Un investimento
di circa 1.000 miliardi di dollari sarà necessario per infrastutturare l’auto
elettrica, nei mercati euro-americani. Circa 360 miliardi sono stati calcolati
per la rete di colonnine di ricarica. Più 300 miliardi, costo minimo, per
adeguare la rete elettrica. In aggiunta ai 300-350 miliardi di dollari di spesa
già pianificati dalle case automobilistiche per i prossimi 5-10 anni..
Toyota ha
realizzato una geniale promozione pubblicitaria dotando alcune centrali di taxi
del suo ibrido a prezzi di favore. Una testimonianza visibilissima di quanto è
bello il motore elettrico. Ma le reti di taxi hanno garage attrezzati per la
ricarica dei mezzi fuori servizio – otto ore su ventiquattro. Il privato, tre
su quattro, non ha dove effettuare la ricarica, e comunque, se ha il garage,
deve dedicarci ore.
La colonnina di
ricarica elettrica, installata lungo le strade o in grandi garage, prende
un’ora e mezzo per una ricarica di 50 km, cinque ore e mezzo per una ricarica
completa. Il costo di installazione delle colonnine è elevato, 5-6 mila euro.
Colonnine di
ricarica più veloci sono tecnicamente disponibili, ma vogliono un investimento
molto più elevato: con una potenza d a 50 kW, che ricarica 5 km al minuto
(dieci minuti per 50 km di autonomia) l’investimento è di 50 mila dollari. Per
una da 100 kW, che dimezza i tempi di ricarica, il costo è di 200 mila dollari.
Il rendimento
della trazione elettrica è limitato dalle tariffe in vigore per il kWh.
In alternativa
alla colonnine veloci, e a costi di ricarica concorrenziali col motore a
scoppio, a benzina o a gasolio, la ricarica si puo’ effettuare con una presa di
corrente, in garage o in abitazione: alla potenza di 1,5 kW il tempo di
ricarica di una Ford Focus elettrica, per una autonomia di 185 km., è di trenta
ore.
Ecomodello Suv
Alle origini dell’auto
elettrica è l’industria petrolifera. Con la crisi petrolifera del 1973, la
guerra del Kippur e la paura del Medio Oriente, dove il petrolio si trova,
nasce la teoria della fine delle fonti di energia fossili, e la Exxon-Chase
Manhattan Bank (Rockefeller) lancia le ricerche per l’auto elettrica.
Non
bastano venti auto elettriche a compensare l’inquinamento prodotto da un Suv.
Le
case automobilistiche che non non hanno modelli Suv sono fuori mercato.
Carlo
Buontempo, climatologo romano a capo della sezione Cambiamento
Climatico del programma europeo Copernicus, che da cinque anni monitora la
salute della terra con un sistema di satelliti, è contento di armare la sua
barca a elettricità. Non a vela, sempre a motore, ma con 100 chili di batterie
invece di un paio di litri di gasolio.
E
come si produce l’elettricità? Le biomasse, la fonte alternativa (al petrolio)
più diffusa – bruciare i materiali vegetali di risulta, e anche qualche albero,
perché no, anche molti – accrescono le emissioni di CO2 rispetto ai
combustibili fossili. In centrale e come pellet di legno. Si privilegiano
semplicemente non contando le emissioni di CO2. E si moltiplicano grazie ai
fortissimi incentivi per le fonti “rinnovabili”.
La lobby elettrica
è dominante. Che è tutto il contrario dell’ecologia o protezione dell’ambiente.
Nulla si sa
dell’auto elettrica, se non che è un must. Sulla durata delle
batterie, in condizioni di tempo variabili, per un uso intensivo. Sugli sbalzi
di tensione. Sulla rete di rifornimento. Sugli investimenti nella rete – un
doppione rafforzato delle reti esistenti per illuminazione e forza motrice.
L’Ecoburo cinese
La Cina ha imposto l’auto elettrica - si fa per dire, non può obbligare i cinesi
a indebitarsi a vita – per imporla al mondo. Poiché si è fatta produttrice monopolista
delle batterie.
La Scienza
politica ha assunto il concetto di Politburo, dei regimi ex sovietici. Dovrebbe
ora aggiornarsi, sull’esempoio del partito Comunista Cinese, con un Ecoburo.
Si celebra, e si
finanzia, il passaggio all’auto elettrica a batterie di litio, pur sapendo che
pone problemi di approvvigionamento (la rete elettrica, la produzione di
elettricità) e di smaltimento delle batterie. E che il futuro pulito è
l’idrogeno, l’alimentazione a fuel cell, celle di combustibile:
leggere – pesano un dodicesimo delle batterie a litio – e a rifornimento rapido
– come per il motore a scoppio, mentre l’elettrico richiede mezze ore.
Si passa alle
batterie a ioni di litio perché la Cina ne è la grande produttrice. E vi ha
puntato, imponendo quote crescenti, ogni anno, di vendite di auto elettriche.
Il regime dittatoriale cinese può permettersi questo tipo di programmazione, e
le maggiori case automobilistiche che operano in Cina, Toyota, Volkswagen,
General Motors, vi si sono adeguate.
Nel solo mercato
cinese, il passaggio sarà (molto) redditizio. Ma la Cina è già il primo
fabbricante di auto al mondo: produce e assorbe un terzo dei 100 milioni di
autoveicoli che vanno al mercato nel mondo annualmente. La produzione continua
in forte crescita, e in questo stesso 2020, per quanto segnato dal coronavirus
e il lockdown, dovrebbe cominciare a
esportarsi.
Si dà per fatto
il passaggio all’auto elettrica. Piani d’investimento colossali si annunciano,
per orizzonti ravvicinati, a cinque-dieci anni. Magnificando l’accelerazione,
0-100, e la potenza degli elettrici. Ma non si dice a che costo unitario per
mezzo, con quanta autonomia per ricarica, con quale organizzazione di ricarica,
con quali effetti reali sull’ambiente, mettendo nel conto delle emissioni anche
la produzione moltiplicata di elettricità, e lo smaltimento delle batterie
esauste. Ora come ora, è solo una operazione commerciale, per ravvivare le
vendite.
Per ridurre i
tempi dì ricarica a un minutaggio non molto superiore a quello del rifornimento
di carburante, ci vorranno colonnine della potenza di 400-450 kW. Non ci sono
oggi batterie in grado di alimentarsi a questa potenza elevata.
Non ci sono del
resto nemmeno colonnine di potenza inferiore: quelle interurbane non ci sono di
fatto, quelle (poche) urbane in esercizio sono già fuori uso. Le ricariche si
fanno in garage, trenta ore per duecento km., il percorso medio giornaliero di
un taxi - la categoria di utilizzo che più è dotata di propulsioni elettriche.
L’Eurocina
Già prima
del corona virus, il rallentamento dell’economia tedesca – e di quella italiana
al carro tedesco – era l’esito del rallentamento dell’economia cinese. Con uno
sfasamento di due trimestri, quello che succede in Cina si riproduce in
Germania.
La Germania ha con la Cina un
interscambio commerciale di 180-200 miliardi di dollari. Tre volte quello
dell’Italia. Più dell’interscambio con gli Stati Uniti, 160 miliardi nel 2018.
Huawei, di cui (in teoria) si contesta la primazia nel nuovo sviluppo della
telefonia mobile, il G 5, in quanto azienda di Stato cinese, è da anni
stabilmente insediata in Germania, con laboratori di ricerca e centri di
produzione. Duisburg, dove Xi è stato in visita già sette anni fa, è da quasi dodici
anni l’hub ferroviario della Cina in Europa: l’80 per cento del traffico
ferroviario della Cina con l’Europa fa capo allo scalo tedesco.
La Cina è il secondo centro di
produzione di Volkswagen-Audi, per un investimento che in
quindici anni ha superato i 15 miliardi. E dovrebbe raddoppiarsi nel
decennio fino al 2018 per la produzione di almeno 12 milioni di vetture
elettriche e di un rete diffusa di colonnine di ricarica. La Cina è anche il
maggior mercato di vendita Volkswagen. Bmw, per dare un’idea dell’impegno, ha
investito in una fabbrica in Cina quattro miliardi di dollari, la Basf dieci.
“La guerra gentile della Cina” la dice Alberto
Bombassei, l’industriale meccanico della Brembo, presidente della Fondazione
Italia-Cina, sul “Sole 24 Ore”. In tanti modi, specie l’inquinamento. E in
particolare con l’auto elettrica.
Si impone l’auto
elettrica perché le case tedesche ci puntano. Perché la Cina andrà a elettrico
– insomma, ha fatto una legge per questo - e il mercato dell’avvenire dell’auto
è la Cina. Che non si pone problemi di inquinamento, malgrado faccia
finta di avere firmato gli impegni di Parigi: ha il quasi monopolio della
produzione - inquinante - di batterie, e si propone per il big business del
trattamento delle batterie esauste - le batterie durano sette-otto anni.
Ma la Cina
inquina, si può dire, anche la politica, nonché i media – con i media è facile,
credono a tutto. Il diesel ultima generazione inquina meno, polveri inclusi,
dell’ibrido elettrico. Che invece si protegge con finanziamenti pubblici e si
vuole imporre. Tassando il diesel.
L’elettrico
inquina di più a prescindere dallo smaltimento.
Un’ecologia per ricchi
Si magnifica a Milano
il palazzo-giardino verticale - il Bosco Verticale. Tacendo che è un immobile
da ricchi e ricchissimi, che richiede manutenzione costante, con nessun effetto
sull’ambiente se non d’immagine.
Poiché stiamo
per morire di inquinamento, bisogna comprarsi l’auto elettrica: via tutto il resto,
tutto ora sia elettrico. Lo ordinò la Francia mezzo secolo fa, per riempirsi di
centrali nucleari, che ora non sa come “decommissionare” (chiudere e
disattivare) – la radioattività si spegne con difficoltà.
Bisogna
comprarsi un’auto al doppio del costo di una col motore a scoppio. Dotarsi di
un garage – 80-90 mila la quotazione a Roma. Con un colonnino di ricarica – 2
mila euro, più spese d’installazione, per 4-5 anni di durata. E pagare 80
centesimi al kWh – ottanta euro per quattrocento km..
Per ora, con
l’elettricità da combustibili solidi. Con le rinnovabili il doppio, e pure il
triplo. La salvezza costa cara.
Invece di
ridurre la circolazione. Magari con i mezzi pubblici. Per esempio a Roma, dove
circolano tanti mezzi privati quanti sono i residenti.
Nell’inerzia –
ignoranza? stupidità (viva il nuovo)? corruzione? – dell’informazione.
L’auto elettrica
inquina più del gasolio di ultima generazione, spiega lo stesso Bombassei di
Italia-Cina sul “Sole 24 Ore”, ma gli italiani dovranno finanziarla con
l’ecobonus deciso dal governo – ben settemila euro a veicolo. Non solo inquina,
ma mette fuori mercato un terzo dell’occcupazione metalmeccanica legata
all’automobile.
I motori a
gasolio di ultima generazione inquinano meno degli ibridi. Degli ibridi in esercizio,
senza tenere conto dell’inquinantissimo processo di demolizione delle batterie
esauste. Ma il governo finanzia gli ibridi e punisce il gasolio. Potenza
della lobby elettrica, di chi produce l’elettricità e dei
tanti che la distribuiscono – la fatturano in realtà, la gestione è solo di
Terna.
Si finanziano
gli ibridi perché così ha deciso l’industria tedesca dell’auto, che ha in
cantiere trenta modelli di ibrido o elettrico. Bmw, Mercedes e Volkswagen
puntano sull’elettrico perché “il” mercato dell’auto è la Cina, e la Cina, che
fa le batterie, procedimento molto inquinante, andrà a elettrico. Poi ci sarà
da pagare la Cina per smaltire le batterie esauste, mezza tonnellata per ogni
ibrido. Nel frattempo metà dell’industria metalmeccanica europea avrà chiuso –
in Italia un terzo dell’occupazione del settore.
I governi in
Europa pagano fino a un terzo del cosgto di una macchina elettrica. Che pochi
ricchi si possono permettere, per costo, garage, potenza elettrica impegnata,
personale di servizio. Chi non può permettersela paga per chi può. Un
controsenso. Con beneficio, tutti considerato, irrisorio o nulle per
l’ambiente.
Le ecolobbies
Pioggia di
contributi per l’auto elettrica, seimila euro, cifra paperoniana. E tasse, di
1.000-1.400 euro, per chi compra una piccola cilindrata. Sembra di sognare ma è
il progetto del governo: finanziare chi può spendere i restanti 20 mila euro
per l’auto elettrica, e punire chi, magari stringendo la cinghia, arriva a una
da 8 mila. Un governo furbo oltre che cattivo. Che la spara volutamente grossa,
per poi arrivare a quello che le lobbies vogliono, che lo
Stato, cioè noi, paghi l’auto elettrica a chi può permettersi di pagare la
differenza – pagare 15-20 mila euro, e avere un garage, attrezzato. La tassa
sulle piccole cilindrate si minaccia per poi arrivare al “compromesso”, al
contributo per i ricchi senza discussioni. Tipica tattica da lobbies:
puntare (distrarre) su un falso scopo per centrare l’obiettivo.
Il governo non solo fa quello che le lobbies dicono, e quella
dell’auto elettrica, che non vende, ha mezzi straordinari, quelli
nippo-coreani, notoriamente facili, e quelli di mezza Europa. Ma lo fa con
sapienza: ne ha esperienza. Grillo è da poco al governo, ma ha molto esperienza
di politica lobbistica. Attraverso il suo sito. E in politica già con
l’Olimpiade: l’Olimpiade no, lo stadio della Roma sì. Non a un evento che non
sarebbe costato e avrebbe portato a Roma e in Italia alcuni miliardi delle
organizzazioni olimpiche, ma non appoggiato da una lobby, non da
una convincente. Lo stadio della Roma invece sì, che è una speculazione
edilizia, dichiarata: trattata da avvocati d’affari, messa in opera da
speculatori sotto processo. Per la quale il Comune di Roma di Grillo fa
spendere allo Stato, cioè a noi, 180 milioni solo per costruire il ponte di
accesso – ce ne vorranno altri 300 per urbanizzare, urbanizzare una zona
altrimenti incostruibile.
Fuori l’operaio
Con l’elettrico sparisce il
metalmeccanico. Il settore di punta dei paesi industrializzati, in Europa e le
Americhe, sia per il valore della produzione che per l’occupazione e quindi la
distribuzione del reddito.
Sono cifre rispettabili che
vanno a sparire. L’Acea, l’associazione europea dei costruttori di auto,
calcola 3,4 milioni di addetti nel vecchio continente. Più qualche milione di
meccanici, addetti alle riparazioni. Quattro milioni di addetti che avranno
poco o niente da fare. Sono – erano nel 2016 – 935 mila in Germania, 213 mila
in Francia, 184 mila in Polonia, 172 mila in Romania, 168 mila nella Repubblica
Ceca, 162 mila in Italia, 155 in Gran Bretagna, 152 mila in Spagna, 93 mila in
Ungheria, 72 mila in Slovacchia.
Secondo il sindacato tedesco,
il motore elettrico ridurrà l’occupazione dell’80-90 per cento. L’industria
automobilistica è meno radicale, ma dà lo stesso riduzioni importanti. La
Volkswagen del 30 per cento nell’insieme. L’Acea del 60 per cento nei
comparti powertrain (propulsione e trasmissione), ricambi,
manutenzione.
In Italia le regioni più
colpite sarebbero Lucania e Molise. Non molto in valori assoluti, avendo 8 mila
e 2.800 occupati rispettivamente, ma sì come quota dell’occupazione
complessiva, il 36 e il 24 per cento. In Germania potrebbe finire la leadership economica
del Sud: della Svevia (Mercedes, Porsche), con 150 mila addetti, e della
Baviera (Audi, Bmw), con 150 mila – il 28 per cento dell’occupazione
complessiva in entrambe le regioni.
Lucciole per lanterne
Le lucciole erano scomparse con Pasolini
cinquant’anni fa. Poi sono rìtornate. E ora ci sono in città libellule e cicale.
Ma la fine del mondo è sempre più vicina.
Un terzo dei gas serra è causato
dall’agricoltura, in crescita esponenziale da tre decenni. E crescerà con la
crescita del reddito diffusa nel globo.
L’inquinamento atmosferico è l’effetto della
circolazione automobilistica. Un conto è l’auto per tutti per 400 milioni di
persone, tra Europa e Stati Uniti, un altro per due o tre miliardi, col
migliorato tenore di vita dei Bric, di Cina e India, del Sud-Est asiatico.
Si propaganda l’auto a batterie solari, che
ingombra il doppio di una berlina di lusso equivalente, e costa 150 mila euro.
La macchina comoda, più larga, con più
bagagliaio, più pesante, per la sicurezza naturalmente, che consuma tre e
quattro volte il carburante di una vecchia berlina, ingombra (consuma spazio)
il doppio e il triplo, e solleva più polveri.
Si magnifica l’auto elettrica per incentivare
il rinnovo del parco macchine. Che elimina, si argomenta, le polveri sottili da
combustibile esausto, mentre invece le accumula nei luoghi di produzione delle
batterie, in quelli di produzione dell’energia elettrica, e poi nello
smaltimento delle batterie, una volta esauste. E non elimina quelle di attrito,
viaggiando su gomma, su asfalto.
Il trasporto su gomma, anche elettrico, che
l’ecologia preferisce al treno, creatore e stramoltiplicatore delle polveri
sottili
L’industria delle fonti di energia
rinnovabili, che l’utente paga a carissimo prezzo, massima inquinatrice della
politica: un torta da 16 (sedici) miliardi di euro l’anno, pagata dagli utenti
in bolletta come investimento di ricerca, a vantaggio di piccoli e micro
produttori “amici degli amici” – circa 800 operatori.
Un’industria che inquina l’informazione.
Si moltiplicano gli sciacquoni di origine
californiana a doppia vaschetta, una per la pipì, una per la cacca. Per
tacitare le coscienze e anzi renderle ecofriendly.
Per nessun risparmio di acqua – un litro? L’acqua non si risparmia e si
rigenera.
L’ecologia è il business del
momento, con molti sovrapprezzi, e molti danni all’ambiente, per lucrare sulla
buona volontà – attraverso il terrore: si fa un uso dell’ecologia come arma
terroristica a fini di profitto.
L'ecologia è un business che crea più danni di quanti ne evita.
La Tesla Model 3 si dice il modello più venduto nella pandemia – una macchina da 50 mila euro in su. Anche in Europa. Tra i primi dieci modelli più venduti. Non è vero - è tra i primi dieci modelli più venduti fra le auto elettriche – ma è come se.
Una Tesla Model 3, l’elettrica economica a partire da 50 mila euro, emette più CO2 di una Mercedes C220 diesel, prezzo a partire da 37 mila euro.
Poiché stiamo per morire di inquinamento, bisogna comprarsi l’auto elettrica: via tutto il resto, tutto ora sia elettrico. Lo ordinò la Francia mezzo secolo fa, per riempirsi di centrali nucleari, una tren tina, che ora non sa come “decommissionare” (chiudere e disattivare) – la radioattività si spegne con difficoltà. Analogo programma italiano fu precluso da un referendum.
Bisogna comprarsi un’auto al doppio del costo di una col motore a scoppio. Dotarsi di un garage – 80-90 mila la quotazione a Roma. Con un colonnino di ricarica – 2 mila euro, più spese d’installazione, per 4-5 anni di durata. E pagare 80 centesimi al kWh – ottanta euro per quattrocento km..
Per ora, cioè con l’elettricità da combustibili solidi. Con l’elettricità da fonti rinnovabili il doppio, e pure il triplo. La salvezza costa cara.
Invece di ridurre la circolazione. Magari con i mezzi pubblici. Per esempio a Roma, dove circolano tanti mezzi privati quanti sono i residenti.
Ci vuole il cobalto per le batterie a ioni di litio, a lunga durata, che è caro ed è estratto in Congo dai bambini. Questo si sa ormai da due lustri e forse tre, ma non si rimedia.
Le case automobilistiche annunciano investimenti “colossali” nell’auto elettrica. Con relativa corsa in Cina, come se la fabbricazione fosse il problema principale, mentre non necessita di investimenti, essendo ridotta alla potenza e alla durata delle batterie. Gli investimenti sono invece infrastrutturali, e nei mercati maggiori, euro-americani. Di questi non si vede l’inizio e nemmeno il progetto.
Per i lunghi viaggi, su percorsi stradali extraurbani e autostradali, bisognerà prima costituire una rete di ricariche elettriche di una certa potenza. Ma l’impianto di colonnine a ricarica veloce imporrebbe di ridisegnare tutta la rete di distribuzione elettrica.
Una stazione di ricarica con dieci colonnine a ricarica veloce, quindi impegnando 4,5 megawatt, equivale all’illuminazione e agli usi elettrici di una comunità di 1.500 abitanti, di ceto medio – di un paese. La reti locali sono quindi da ridisegnare, per i picchi di potenza assorbibili dalle stazioni di ricarica. Quindi con la stagionalità. Il rischio black-out è comunque ineliminabile nei giorni e le stagioni di picco.
Un investimento di circa 1.000 miliardi di dollari sarà necessario per infrastutturare l’auto elettrica, nei mercati euro-americani. Circa 360 miliardi sono stati calcolati per la rete di colonnine di ricarica. Più 300 miliardi, costo minimo, per adeguare la rete elettrica. In aggiunta ai 300-350 miliardi di dollari di spesa già pianificati dalle case automobilistiche per i prossimi 5-10 anni..
Toyota ha realizzato una geniale promozione pubblicitaria dotando alcune centrali di taxi del suo ibrido a prezzi di favore. Una testimonianza visibilissima di quanto è bello il motore elettrico. Ma le reti di taxi hanno garage attrezzati per la ricarica dei mezzi fuori servizio – otto ore su ventiquattro. Il privato, tre su quattro, non ha dove effettuare la ricarica, e comunque, se ha il garage, deve dedicarci ore.
La colonnina di ricarica elettrica, installata lungo le strade o in grandi garage, prende un’ora e mezzo per una ricarica di 50 km, cinque ore e mezzo per una ricarica completa. Il costo di installazione delle colonnine è elevato, 5-6 mila euro.
Colonnine di ricarica più veloci sono tecnicamente disponibili, ma vogliono un investimento molto più elevato: con una potenza d a 50 kW, che ricarica 5 km al minuto (dieci minuti per 50 km di autonomia) l’investimento è di 50 mila dollari. Per una da 100 kW, che dimezza i tempi di ricarica, il costo è di 200 mila dollari.
Il rendimento della trazione elettrica è limitato dalle tariffe in vigore per il kWh.
In alternativa alla colonnine veloci, e a costi di ricarica concorrenziali col motore a scoppio, a benzina o a gasolio, la ricarica si puo’ effettuare con una presa di corrente, in garage o in abitazione: alla potenza di 1,5 kW il tempo di ricarica di una Ford Focus elettrica, per una autonomia di 185 km., è di trenta ore.
Ecomodello Suv
Alle origini dell’auto elettrica è l’industria petrolifera. Con la crisi petrolifera del 1973, la guerra del Kippur e la paura del Medio Oriente, dove il petrolio si trova, nasce la teoria della fine delle fonti di energia fossili, e la Exxon-Chase Manhattan Bank (Rockefeller) lancia le ricerche per l’auto elettrica.
Non bastano venti auto elettriche a compensare l’inquinamento prodotto da un Suv.
Le case automobilistiche che non non hanno modelli Suv sono fuori mercato.
Carlo Buontempo, climatologo romano a capo della sezione Cambiamento Climatico del programma europeo Copernicus, che da cinque anni monitora la salute della terra con un sistema di satelliti, è contento di armare la sua barca a elettricità. Non a vela, sempre a motore, ma con 100 chili di batterie invece di un paio di litri di gasolio.
E come si produce l’elettricità? Le biomasse, la fonte alternativa (al petrolio) più diffusa – bruciare i materiali vegetali di risulta, e anche qualche albero, perché no, anche molti – accrescono le emissioni di CO2 rispetto ai combustibili fossili. In centrale e come pellet di legno. Si privilegiano semplicemente non contando le emissioni di CO2. E si moltiplicano grazie ai fortissimi incentivi per le fonti “rinnovabili”.
La lobby elettrica è dominante. Che è tutto il contrario dell’ecologia o protezione dell’ambiente.
Nulla si sa dell’auto elettrica, se non che è un must. Sulla durata delle batterie, in condizioni di tempo variabili, per un uso intensivo. Sugli sbalzi di tensione. Sulla rete di rifornimento. Sugli investimenti nella rete – un doppione rafforzato delle reti esistenti per illuminazione e forza motrice.
L’Ecoburo cinese
La Cina ha imposto l’auto elettrica - si fa per dire, non può obbligare i cinesi a indebitarsi a vita – per imporla al mondo. Poiché si è fatta produttrice monopolista delle batterie.
La Scienza politica ha assunto il concetto di Politburo, dei regimi ex sovietici. Dovrebbe ora aggiornarsi, sull’esempoio del partito Comunista Cinese, con un Ecoburo.
Si celebra, e si finanzia, il passaggio all’auto elettrica a batterie di litio, pur sapendo che pone problemi di approvvigionamento (la rete elettrica, la produzione di elettricità) e di smaltimento delle batterie. E che il futuro pulito è l’idrogeno, l’alimentazione a fuel cell, celle di combustibile: leggere – pesano un dodicesimo delle batterie a litio – e a rifornimento rapido – come per il motore a scoppio, mentre l’elettrico richiede mezze ore.
Si passa alle batterie a ioni di litio perché la Cina ne è la grande produttrice. E vi ha puntato, imponendo quote crescenti, ogni anno, di vendite di auto elettriche. Il regime dittatoriale cinese può permettersi questo tipo di programmazione, e le maggiori case automobilistiche che operano in Cina, Toyota, Volkswagen, General Motors, vi si sono adeguate.
Nel solo mercato cinese, il passaggio sarà (molto) redditizio. Ma la Cina è già il primo fabbricante di auto al mondo: produce e assorbe un terzo dei 100 milioni di autoveicoli che vanno al mercato nel mondo annualmente. La produzione continua in forte crescita, e in questo stesso 2020, per quanto segnato dal coronavirus e il lockdown, dovrebbe cominciare a esportarsi.
Si dà per fatto il passaggio all’auto elettrica. Piani d’investimento colossali si annunciano, per orizzonti ravvicinati, a cinque-dieci anni. Magnificando l’accelerazione, 0-100, e la potenza degli elettrici. Ma non si dice a che costo unitario per mezzo, con quanta autonomia per ricarica, con quale organizzazione di ricarica, con quali effetti reali sull’ambiente, mettendo nel conto delle emissioni anche la produzione moltiplicata di elettricità, e lo smaltimento delle batterie esauste. Ora come ora, è solo una operazione commerciale, per ravvivare le vendite.
Per ridurre i tempi dì ricarica a un minutaggio non molto superiore a quello del rifornimento di carburante, ci vorranno colonnine della potenza di 400-450 kW. Non ci sono oggi batterie in grado di alimentarsi a questa potenza elevata.
Non ci sono del resto nemmeno colonnine di potenza inferiore: quelle interurbane non ci sono di fatto, quelle (poche) urbane in esercizio sono già fuori uso. Le ricariche si fanno in garage, trenta ore per duecento km., il percorso medio giornaliero di un taxi - la categoria di utilizzo che più è dotata di propulsioni elettriche.
L’Eurocina
Già prima del corona virus, il rallentamento dell’economia tedesca – e di quella italiana al carro tedesco – era l’esito del rallentamento dell’economia cinese. Con uno sfasamento di due trimestri, quello che succede in Cina si riproduce in Germania.
La Germania ha con la Cina un interscambio commerciale di 180-200 miliardi di dollari. Tre volte quello dell’Italia. Più dell’interscambio con gli Stati Uniti, 160 miliardi nel 2018. Huawei, di cui (in teoria) si contesta la primazia nel nuovo sviluppo della telefonia mobile, il G 5, in quanto azienda di Stato cinese, è da anni stabilmente insediata in Germania, con laboratori di ricerca e centri di produzione. Duisburg, dove Xi è stato in visita già sette anni fa, è da quasi dodici anni l’hub ferroviario della Cina in Europa: l’80 per cento del traffico ferroviario della Cina con l’Europa fa capo allo scalo tedesco.
La Cina è il secondo centro di produzione di Volkswagen-Audi, per un investimento che in quindici anni ha superato i 15 miliardi. E dovrebbe raddoppiarsi nel decennio fino al 2018 per la produzione di almeno 12 milioni di vetture elettriche e di un rete diffusa di colonnine di ricarica. La Cina è anche il maggior mercato di vendita Volkswagen. Bmw, per dare un’idea dell’impegno, ha investito in una fabbrica in Cina quattro miliardi di dollari, la Basf dieci.
“La guerra gentile della Cina” la dice Alberto Bombassei, l’industriale meccanico della Brembo, presidente della Fondazione Italia-Cina, sul “Sole 24 Ore”. In tanti modi, specie l’inquinamento. E in particolare con l’auto elettrica.
Si impone l’auto elettrica perché le case tedesche ci puntano. Perché la Cina andrà a elettrico – insomma, ha fatto una legge per questo - e il mercato dell’avvenire dell’auto è la Cina. Che non si pone problemi di inquinamento, malgrado faccia finta di avere firmato gli impegni di Parigi: ha il quasi monopolio della produzione - inquinante - di batterie, e si propone per il big business del trattamento delle batterie esauste - le batterie durano sette-otto anni.
Ma la Cina inquina, si può dire, anche la politica, nonché i media – con i media è facile, credono a tutto. Il diesel ultima generazione inquina meno, polveri inclusi, dell’ibrido elettrico. Che invece si protegge con finanziamenti pubblici e si vuole imporre. Tassando il diesel.
L’elettrico inquina di più a prescindere dallo smaltimento.
Un’ecologia per ricchi
Si magnifica a Milano il palazzo-giardino verticale - il Bosco Verticale. Tacendo che è un immobile da ricchi e ricchissimi, che richiede manutenzione costante, con nessun effetto sull’ambiente se non d’immagine.
Poiché stiamo per morire di inquinamento, bisogna comprarsi l’auto elettrica: via tutto il resto, tutto ora sia elettrico. Lo ordinò la Francia mezzo secolo fa, per riempirsi di centrali nucleari, che ora non sa come “decommissionare” (chiudere e disattivare) – la radioattività si spegne con difficoltà.
Bisogna comprarsi un’auto al doppio del costo di una col motore a scoppio. Dotarsi di un garage – 80-90 mila la quotazione a Roma. Con un colonnino di ricarica – 2 mila euro, più spese d’installazione, per 4-5 anni di durata. E pagare 80 centesimi al kWh – ottanta euro per quattrocento km..
Per ora, con l’elettricità da combustibili solidi. Con le rinnovabili il doppio, e pure il triplo. La salvezza costa cara.
Invece di ridurre la circolazione. Magari con i mezzi pubblici. Per esempio a Roma, dove circolano tanti mezzi privati quanti sono i residenti.
Nell’inerzia – ignoranza? stupidità (viva il nuovo)? corruzione? – dell’informazione.
L’auto elettrica inquina più del gasolio di ultima generazione, spiega lo stesso Bombassei di Italia-Cina sul “Sole 24 Ore”, ma gli italiani dovranno finanziarla con l’ecobonus deciso dal governo – ben settemila euro a veicolo. Non solo inquina, ma mette fuori mercato un terzo dell’occcupazione metalmeccanica legata all’automobile.
I motori a gasolio di ultima generazione inquinano meno degli ibridi. Degli ibridi in esercizio, senza tenere conto dell’inquinantissimo processo di demolizione delle batterie esauste. Ma il governo finanzia gli ibridi e punisce il gasolio. Potenza della lobby elettrica, di chi produce l’elettricità e dei tanti che la distribuiscono – la fatturano in realtà, la gestione è solo di Terna.
Si finanziano gli ibridi perché così ha deciso l’industria tedesca dell’auto, che ha in cantiere trenta modelli di ibrido o elettrico. Bmw, Mercedes e Volkswagen puntano sull’elettrico perché “il” mercato dell’auto è la Cina, e la Cina, che fa le batterie, procedimento molto inquinante, andrà a elettrico. Poi ci sarà da pagare la Cina per smaltire le batterie esauste, mezza tonnellata per ogni ibrido. Nel frattempo metà dell’industria metalmeccanica europea avrà chiuso – in Italia un terzo dell’occupazione del settore.
I governi in Europa pagano fino a un terzo del cosgto di una macchina elettrica. Che pochi ricchi si possono permettere, per costo, garage, potenza elettrica impegnata, personale di servizio. Chi non può permettersela paga per chi può. Un controsenso. Con beneficio, tutti considerato, irrisorio o nulle per l’ambiente.
Le ecolobbies
Pioggia di contributi per l’auto elettrica, seimila euro, cifra paperoniana. E tasse, di 1.000-1.400 euro, per chi compra una piccola cilindrata. Sembra di sognare ma è il progetto del governo: finanziare chi può spendere i restanti 20 mila euro per l’auto elettrica, e punire chi, magari stringendo la cinghia, arriva a una da 8 mila. Un governo furbo oltre che cattivo. Che la spara volutamente grossa, per poi arrivare a quello che le lobbies vogliono, che lo Stato, cioè noi, paghi l’auto elettrica a chi può permettersi di pagare la differenza – pagare 15-20 mila euro, e avere un garage, attrezzato. La tassa sulle piccole cilindrate si minaccia per poi arrivare al “compromesso”, al contributo per i ricchi senza discussioni. Tipica tattica da lobbies: puntare (distrarre) su un falso scopo per centrare l’obiettivo.
Il governo non solo fa quello che le lobbies dicono, e quella dell’auto elettrica, che non vende, ha mezzi straordinari, quelli nippo-coreani, notoriamente facili, e quelli di mezza Europa. Ma lo fa con sapienza: ne ha esperienza. Grillo è da poco al governo, ma ha molto esperienza di politica lobbistica. Attraverso il suo sito. E in politica già con l’Olimpiade: l’Olimpiade no, lo stadio della Roma sì. Non a un evento che non sarebbe costato e avrebbe portato a Roma e in Italia alcuni miliardi delle organizzazioni olimpiche, ma non appoggiato da una lobby, non da una convincente. Lo stadio della Roma invece sì, che è una speculazione edilizia, dichiarata: trattata da avvocati d’affari, messa in opera da speculatori sotto processo. Per la quale il Comune di Roma di Grillo fa spendere allo Stato, cioè a noi, 180 milioni solo per costruire il ponte di accesso – ce ne vorranno altri 300 per urbanizzare, urbanizzare una zona altrimenti incostruibile.
Fuori l’operaio
Con l’elettrico sparisce il metalmeccanico. Il settore di punta dei paesi industrializzati, in Europa e le Americhe, sia per il valore della produzione che per l’occupazione e quindi la distribuzione del reddito.
Sono cifre rispettabili che vanno a sparire. L’Acea, l’associazione europea dei costruttori di auto, calcola 3,4 milioni di addetti nel vecchio continente. Più qualche milione di meccanici, addetti alle riparazioni. Quattro milioni di addetti che avranno poco o niente da fare. Sono – erano nel 2016 – 935 mila in Germania, 213 mila in Francia, 184 mila in Polonia, 172 mila in Romania, 168 mila nella Repubblica Ceca, 162 mila in Italia, 155 in Gran Bretagna, 152 mila in Spagna, 93 mila in Ungheria, 72 mila in Slovacchia.
Secondo il sindacato tedesco, il motore elettrico ridurrà l’occupazione dell’80-90 per cento. L’industria automobilistica è meno radicale, ma dà lo stesso riduzioni importanti. La Volkswagen del 30 per cento nell’insieme. L’Acea del 60 per cento nei comparti powertrain (propulsione e trasmissione), ricambi, manutenzione.
In Italia le regioni più colpite sarebbero Lucania e Molise. Non molto in valori assoluti, avendo 8 mila e 2.800 occupati rispettivamente, ma sì come quota dell’occupazione complessiva, il 36 e il 24 per cento. In Germania potrebbe finire la leadership economica del Sud: della Svevia (Mercedes, Porsche), con 150 mila addetti, e della Baviera (Audi, Bmw), con 150 mila – il 28 per cento dell’occupazione complessiva in entrambe le regioni.
Lucciole per lanterne
Le lucciole erano scomparse con Pasolini cinquant’anni fa. Poi sono rìtornate. E ora ci sono in città libellule e cicale. Ma la fine del mondo è sempre più vicina.
Un terzo dei gas serra è causato dall’agricoltura, in crescita esponenziale da tre decenni. E crescerà con la crescita del reddito diffusa nel globo.
L’inquinamento atmosferico è l’effetto della circolazione automobilistica. Un conto è l’auto per tutti per 400 milioni di persone, tra Europa e Stati Uniti, un altro per due o tre miliardi, col migliorato tenore di vita dei Bric, di Cina e India, del Sud-Est asiatico.
Si propaganda l’auto a batterie solari, che ingombra il doppio di una berlina di lusso equivalente, e costa 150 mila euro.
La macchina comoda, più larga, con più bagagliaio, più pesante, per la sicurezza naturalmente, che consuma tre e quattro volte il carburante di una vecchia berlina, ingombra (consuma spazio) il doppio e il triplo, e solleva più polveri.
Si magnifica l’auto elettrica per incentivare il rinnovo del parco macchine. Che elimina, si argomenta, le polveri sottili da combustibile esausto, mentre invece le accumula nei luoghi di produzione delle batterie, in quelli di produzione dell’energia elettrica, e poi nello smaltimento delle batterie, una volta esauste. E non elimina quelle di attrito, viaggiando su gomma, su asfalto.
Il trasporto su gomma, anche elettrico, che l’ecologia preferisce al treno, creatore e stramoltiplicatore delle polveri sottili
L’industria delle fonti di energia rinnovabili, che l’utente paga a carissimo prezzo, massima inquinatrice della politica: un torta da 16 (sedici) miliardi di euro l’anno, pagata dagli utenti in bolletta come investimento di ricerca, a vantaggio di piccoli e micro produttori “amici degli amici” – circa 800 operatori.
Un’industria che inquina l’informazione.
Si moltiplicano gli sciacquoni di origine californiana a doppia vaschetta, una per la pipì, una per la cacca. Per tacitare le coscienze e anzi renderle ecofriendly. Per nessun risparmio di acqua – un litro? L’acqua non si risparmia e si rigenera.
L’ecologia è il business del momento, con molti sovrapprezzi, e molti danni all’ambiente, per lucrare sulla buona volontà – attraverso il terrore: si fa un uso dell’ecologia come arma terroristica a fini di profitto.
L'ecologia è un business che crea più danni di quanti ne evita.
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