Il morbo cinese attacca il lavoro
La Massimo Zanetti Beverage inagura glamour a Shenzen, in Cina, la prima
caffetteria 24 ore completamente self-service, robotizzata. Come primo passo
nell’intelligenza artificiale. È una partenza sbagliata, come se il caffè fosse
uno smercio qualsiasi, e non un luogo di incontro e una pausa, un colloquio, sia
pure col cassiere e il barista. Ma è la Cina. E il modello che la Cina, retta
da un partito Comunista tra i più ferrei, a capo di un paese arretrato, con una
forza lavoro immane tenuta alla sopravvivenza, impone a un sprovveduto Occidente
di affaristi. Della presunta innovazione continua unicamente mirata non al
progresso scientifico o alla ricchezza di tutti ma allo svuotamento dell’Occidente
stesso nella sua valvola socio-economica rigeneratrice, la catena lavoro-accumulazione-investimento
(innovazione).
Il caffè robotizzato non è un caso. Pieranni del
“Manifesto” ha potuto passare una giornata interamente robotizzato, servito da WeChat,
come vanta in apertura al suo “Red Mirror”: ha fatto tutto per lui la super
app WeChat - la superapp cinese, tiene a precisare, che gli americani cattivi non riescono a replicare.
La “fabbrica del mondo” prospera sul lavoro
servile, nelle paghe e negli orari. Col plusvalore del quale insidia e svuota
l’onesta produzione occidentale, che il lavoro rispetta e retribuisce. Non è un
caso, è un progetto. Che la “fabbrica del mondo” prosperi arricchendo una
miriade di occidentali furbi, delocalizzatori o mediatori di affari, non dice
altro, semmai che il progetto è raffinato, ben articolato.
Il vero morbo cinese è l’umiliazione del
lavoro. Che è stato il volano del boom economico dell’Otto-Novecento: il lavoro
per tutti, a condizioni sempre più dignitose. Per proporre, dietro la vetrina
dell’intelligenza artificiale, un mondo di esseri senza arte né reddito. Alle condizioni delle sterminate masse popolari che il Partito Comunista Cinese ferreamente gestisce, che però vengono da secoli di fame, e di
sottomissione.
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