mercoledì 29 luglio 2020

L’Africa fantasma ha preso corpo

L’edizione fantasma dell’“Africa fantasma”, che questo sito lamentava un anno fa, esiste, è in circolazione. Edizione perfino superba. Curata da Barbara Fiore, con una postfazione e, soprattutto, con le note collazionate dalle varie edizioni francesi di un testo, per quanto controverso, di culto.Arricchita da molte foto. Con una testimonianza di Jean Jamin, amico di Leiris e suo esecutore letterario.
L’Africa mi ha sempre attratto, dice Leiris, fin da ragazzo, quando ho assistito a una rappresentazione di “Impressions d’Afrique” di Raymond Roussel, che era un amico di famiglia - Leiris padre era amministratore dei Roussel. Da grande, diplomato e tutto, non sapendo ancora che fare, malgrado i trent’anni, il futuro grande antropologo s’imbarca in una spedizione africana di Marcel Griaule, antropologo principe, che però non lo apprezza e lo destina a mansioni ancillari, tipo il diario della spedizione - Griaule non fu contento della pubblicazione.
La “scoperta”, il “viaggio” è anche un dettato  del surrealismo, cui Leiris ha aderito entusiasta, anche se ora è in rottura – in pausa di riflessione: “Captare le voci di un altro mondo. Abbandonare tutto é partire per le strade”. Appena prima della appartenenza, Leiris ha litigato con Breton, ma non è questo il problema: il problema è che dal viaggio, lungo quasi dieci mesi, da maggio 1932 a febbraio 1933, per mezza Africa centrale, Leiris ricava poco.
L’Africa non c’è, se non in aspetti modestissimi, turistici. Lui stesso lo riconosce: “Non sono capace di parlare di ciò che non conosco”. Per il resto si trova di tutto. Perfino troppo dettagliato. Avventure e pettegolezzi col console italiano all’Asmara, riti locali ammonticchiati (circoncisioni, lingue segrete, società infantili, riti di passaggio, possessioni) alla rinfusa, molti dettagli speciosi, perfino le polluzioni notturne – attorno a una bellezza peraltro sfatta, una nonna fattucchiera, “posseduta dagli spiriti”. Dubita anche della ricerca etnografica. Confessando i furti di oggetti che anche lui compie. E la dipendenza dagli interpreti, gli odierni mediatori culturali, figura che spesso sconfina nel piccolo ricatto.
Una via d’uscita cerca a un certo punto nel diario, per non perdere un anno di vita e, bene o male, di lavoro, con una sorta di antropologia personale. Proponendosi una antropologia generale attraverso, spiega, “l’osservazione di me stesso” in confronto con “quella di individui appartenenti ad altre società”. Che sfocerà due anni più tardi nel classico “L’âge d’homme”.
Michel Leiris, L’Africa fantasma, Quodlibet/Humboldt, pp. 780, ill. € 34


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