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L'Autore ferroviere a Pontedera, infelice
Singolare racconto, del nulla. Di
un non evento, il primo impiego di un giovane fiorentino alla stazione di
Pontedera, di una non personalità. Da lui stesso raccontato, uno che si
interroga su cosa pensano e sono il collega d’ufficio, il vice-capo ufficio, il
capo ufficio, l’ostessa, la ragazza che si vede passare. Scritto piano, in lingua,
invece che nel vernacolo che Tozzi privilegiava – e gli costituisce un’aura di
mistero. La fidanzata sta a Firenze, manda lettere che non scrive, perché è
inabilitata, e morirà di consunzione, ma non è un dramma.
All’apparenza un racconto di
formazione, ma c’è molta poca formazione. Al meglio, si può leggere come un
anticipo del racconto per frammenti, quale sarà teorizzato mezzo secolo dopo da
Sollers. Di pensieri e parole che fluiscono quasi in automatico, non regolate
né organizzate, per insorgenze casuali. Ma ugualmente lascia freddi.
Piaceva a Giacomo Debenedetti e per
questo si ripropone? C’è comunque tutto l’universo Tozzi: il giovane confuso, lo
scontro con la famiglia, l’amore incerto. Autobiografico, Tozzi ventenne passò ben un mese e mezzo da ferroviere a Pontedera. Un ricordo che riemerge
nel 1920, uno dei suoi ultimi scritti.
Debenedetti cì vede (nel saggio “Con
gli occhi chiusi”, 1963, ripubblicato nella raccolta “Il personaggio-uomo”) “un
personaggio della più rivelatrice famiglia che sia comparsa nella narrativa
moderna”. Quella del Gregorio Samsa di Kafka, della “Metamorfosi”: “un
impiegato della vita” – “uomo subordinato, umiliato, costretto all’obbedienza
senza un perché, da un mondo che lo comanda e lo disprezza”. Della riduzione
umana, del sé, all’istintualità, irriflessa, ripetitiva. “Di qui”, Debenedetti
deduce, “l’innato antinaturalismo di Tozzi. Il naturalismo narra in quanto
spiega, Tozzi narra in quanto non può spiegare”. Tozzi – Debenedetti allarga
l’obiettivo – “sotto il suo trafelato autodidattismo, custodiva atavicamente il
patrimonio della matura, adulta civiltà toscana e cristiana”.
Un racconto che fu vittima all’uscita
dello zelo di Borgese, il critico cui Tozzi
deve, postumo, la “scoperta”: Borgese lo leggeva come un naturalista in
ritardo, e il racconto, che gli era stato affidato per la pubblicazione alla morte dello scrittore senese, taglieggiò per allinearlo sulla sua lettura.
Federigo Tozzi, Ricordi di un impiegato, Ecra, pp. 76 €
7,50
Edizioni Clandestine, pp. 72 € 7
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