giovedì 23 luglio 2020

L'Autore ferroviere a Pontedera, infelice

Singolare racconto, del nulla. Di un non evento, il primo impiego di un giovane fiorentino alla stazione di Pontedera, di una non personalità. Da lui stesso raccontato, uno che si interroga su cosa pensano e sono il collega d’ufficio, il vice-capo ufficio, il capo ufficio, l’ostessa, la ragazza che si vede passare. Scritto piano, in lingua, invece che nel vernacolo che Tozzi privilegiava – e gli costituisce un’aura di mistero. La fidanzata sta a Firenze, manda lettere che non scrive, perché è inabilitata, e morirà di consunzione, ma non è un dramma.
All’apparenza un racconto di formazione, ma c’è molta poca formazione. Al meglio, si può leggere come un anticipo del racconto per frammenti, quale sarà teorizzato mezzo secolo dopo da Sollers. Di pensieri e parole che fluiscono quasi in automatico, non regolate né organizzate, per insorgenze casuali. Ma ugualmente lascia freddi.
Piaceva a Giacomo Debenedetti e per questo si ripropone? C’è comunque tutto l’universo Tozzi: il giovane confuso, lo scontro con la famiglia, l’amore incerto. Autobiografico, Tozzi ventenne passò ben un mese e mezzo da ferroviere a Pontedera. Un ricordo che riemerge nel 1920, uno dei suoi ultimi scritti.
Debenedetti cì vede (nel saggio “Con gli occhi chiusi”, 1963, ripubblicato nella raccolta “Il personaggio-uomo”) “un personaggio della più rivelatrice famiglia che sia comparsa nella narrativa moderna”. Quella del Gregorio Samsa di Kafka, della “Metamorfosi”: “un impiegato della vita” – “uomo subordinato, umiliato, costretto all’obbedienza senza un perché, da un mondo che lo comanda e lo disprezza”. Della riduzione umana, del sé, all’istintualità, irriflessa, ripetitiva. “Di qui”, Debenedetti deduce, “l’innato antinaturalismo di Tozzi. Il naturalismo narra in quanto spiega, Tozzi narra in quanto non può spiegare”. Tozzi – Debenedetti allarga l’obiettivo – “sotto il suo trafelato autodidattismo, custodiva atavicamente il patrimonio della matura, adulta civiltà toscana e cristiana”.
Un racconto che fu vittima all’uscita dello zelo di Borgese, il critico cui Tozzi deve, postumo, la “scoperta”: Borgese lo leggeva come un naturalista in ritardo, e il racconto, che gli era stato affidato per la pubblicazione alla morte dello scrittore senese, taglieggiò per allinearlo sulla sua lettura.
Federigo Tozzi, Ricordi di un impiegato, Ecra, pp. 76 € 7,50
Edizioni Clandestine, pp. 72 € 7


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