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Meraviglie di Sicilia – della lingua
Un cantico alla Sicilia, apologia, inno,
elegia. La lingua rimemorandone, in una inventio
lessicale straordinaria. Spontanea benché ricercata (artificiosa), come per
gemmazione incontenibile – una filologia animata dalla semplicità. Da “vecchio
siciliano”, cresciuto lettore di Sciascia, una vita poi funzionario Rai a
Milano, ma legatissimo all’isola.
Il “gentiluomo di Milano” don Fabrizio Clerici,
pittore e quant’altro, suo amico di una vita, Consolo precipita nel Settecento,
in giro per disegnare alcune meraviglie della Sicilia, e gliene fa scrivere a
donna Teresa Blasco, madonna corteggiatissima nella città della Madonnina - di
cui il gentiluomo saprà in fine che va sposa a Cesare Beccaria. Tutto
inverosimile, al quadrato, al cubo - Teresa aveva quindici anni quando veniva
corteggiata, e il matrimonio con Beccaria, duramente avversato dalla famiglia
di lui, farà a sedici. Giusto per dare risalto al piccolo tour, tra le
meraviglie di Palermo, Alcamo, “madre di lingua e cuna di poesia”, Segesta,
“Egesta degli Elimi”, Selinunte greca, Mozia fenicia, Trapani. Sotto una
pioggia, un fuoco d’artificio, un’esplosione mite d’inventiva linguistica.
Recuperando alla lingua un patrimonio lessicale di robusta qualità, in forme
solo lievemente dialettali, isolane.
Un viaggio movimentato. Fra trappole di
mezzane, banditi di passo, pastori sapienti, e il Serpotta trascurato ovunque,
luminarie da festa continua, imbandigioni e notti a pane e formaggio, al chiaro
di luna, ìn viaggio nell’illusione. La vita lo è, e l’arte. Sono le ombre di
Platone, “nell’immensa stasi, la somma e
infinita quiete metafisica, nel modo come spiega il Campanella”. Ma
senza filosofia: è un viaggio nel linguaggio, nelle sue infinite possibilità.
Alle
origini di Camilleri
Questo Consolo, 1992, è all’origine
probabilmente di “Montalbano”, dell’eloquio “vigatese” di Camilleri - che qui potrebbe aver pescato anche alcuni caratteri fissi: il servo buono e scemo, altrimenti impensabile quale agente di Polizia, il brigante giudizioso, e sopratutto il pastore solitario e primitivo ma sapiente. Ma non è
inventato: il suo è un recupero, studiato, ampio, affascinato, di un patrimonio
linguistico dismesso o in via di dismissione, e tuttavia significante. Non per
essere cioè, Camilleri, modo di dire, cifra stilistica.
Il “retablo” è la forma di rappresentazione
pittorica nota, di una cornice di più storie. Ma in particolare è “il Retablo
de las Maravillas”, “entremès comico
del celebre Cervantes”.
Fabrizio Clerici, milanese di Roma, dove si era
formato tra le due guerre, personalità illustre delle arti figurative
dopoguerra, era intimo amico anche di Savinio, che lo ricorda più volte, e in
“Ascolto il tuo cuore città” con iperbolico affetto, come “naturalmente
stendhaliano, nell’animo, nel carattere, nel costume”, la persona ideale, “che
per una volta è consentito credere che la natura ha fatto le cose a dovere”.
Vincenzo Consolo, Retablo, Oscar, pp. 155 € 13
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