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lunedì 13 luglio 2020

Secondi pensieri - 425

zeulig

Auschwitz - Il contestato Adorno di Auschwitz, “scrivere una poesia dopo Auschwitz è da barbari” (“Nach Auschwitz ein Gedicht zu schreiben ist barbarisch”), già Hölderlin se lo chiedeva un secolo e mezzo prima:“Che ce ne facciamo dei poeti (wozu Dichter) nel tempo del bisogno?”- peggio nell’originale: a che i poeti (wozu Dichter). È verso di Hölderlin in un’elegia piana, “Pane e vino”, per niente apocalittica. Che Heidegger legge come poesia della fine della poesia, dopo la fine di Dio. Di un poeta che continuò a poetare anche nella follia, lunga più della sua vita attiva.
 
Corpo -  “Il corpo è uno dei nomi dell’anima, e non il più indecente”, Marcel Arland, “Où le corps se partage”.
 
L’immortalità Quevedo, che pure è un antisensista, vuole nell’atto. Quello lì, proprio, alla tedesca: l’atto generativo, o anche soltanto godereccio. Una kantiana cosa-in-sé che fosse la copula. Anticipando Schopenhauer: “La copula sta al mondo come la parola sta all’enigma”. Che è fatto per essere sciolto, tramite la parola, e dunque il mondo è fatto per l’atto. Sostenere l’immortalità attraverso la materia non è male.
 
Il corpo è lo spirito è Schopenhauer, “Parerga e paralipomena”. E anche Mach, lo scienziato, “L’analisi delle sensazioni e il rapporto tra fisico e psichico”, che dice suo “principio guida” il “completo parallelismo tra ambito fisico e psichico”. E anzi lo trova comunque  valido: “Questo principio è quasi ovvio, ma può essere posto come principio euristico anche senza il sostegno di questa concezione di base”. Oppure Raffaello, come Rozanov lo vide: “Il corpo è l’origine dello spirito”.
 
Disincanto - “La stagione del disincanto non nasce con Weber e il Novecento, ma con Alberti, Machiavelli e Guicciardini, i quali gettano sull’uomo uno sguardo tragico e senza illusioni”: Michele Ciliberto sintetizza a Gnoli sul “Robinson”, 11 luglio, le sue riflessioni su Machiavelli, da ultimo in “Niccolò Machiavelli. Ragione e pazzia”. È così – anche se Ciliberto ne ricava una revisione radicale dell’Umanesimo, come di un’età di crisi senza soluzione: “Sull’Umanesimo è a lungo prevalsa l’immagine di un’epoca armoniosa e serena; in realtà è stato il tempo di una lunga crisi”. Una crisi storica, “che ha cambiato il ruolo e la funzione della storia d’Italia nella storia del mondo”. Perché, va aggiunto, l’Italia cristallizzò nei principati, frazionalmente, divisivamente – ma, poi, i principati sono la “gloria” storica dell’Italia, in Burckhardt e non solo. Ma anche, va ancora aggiunto, in una storia che non sia solo cesarismo e imperialismo: si può dire l’Umanesimo la grande età dell’intellighentsia – tanto grande che ha generato equivoci per secoli, l’illuminismo compreso e l’impegno sovietico. 
È un’epoca di crisi ricomponibile: di ricerca per superare la crisi – che culmina per esempio nel
disincanto. Diverso dalla crisi come stato stazionario, come liquido amniotico e insieme corpo vivente, quale si mostra oggi, da decenni.
 
La stessa Riforma, che è un movimento politico e non religioso (la religione rimane nell’essenza la medesima),  è solo divisiva. Critica nel senso della crisi persistente, che alimenta per scopi politici, essenzialmente di principi e principati – di chi si appropria che cosa. È importante situare Weber nell’ambito germanico,e quindi di una certa storia delle religioni, ma è più importante situare queste religioni.
 
Identità - “La più antica tentazione proteica dell’uomo, quella della molteplicità”: Romain Gary, montando l’impostura del suo alter ego “Émile Ajar”, la mette al centro del capolavoro del presunto “Ajar”, “La vita davanti a sé”. Mettendo in scena una sorta di doppio, che chiama Momo dal Momus esiodeo, il piccolo dio del sarcasmo: un giovane arabo che non avendo padre né madre s’inventa la sua propria vita.
 
Io - L’“io indivisibile” è capace da solo di contrapporsi all’universo infinito.“Tutto questo mondo visibile non è che un impercettibile segmento dell’ampio cerchio della natura…Nessuna idea le si avvicina. Abbiamo voglia di gonfiare le nostre immaginazioni al di là degli spazi immaginabili; non riusciamo che a generare atomi, in paragone alla realtà delle cose”. È parte del pensiero di Pascal n. 72, “Sproporzione dell’uomo”.  Il mondo “è una sfera il cui centro è dappertutto, la circonferenza in nessun luogo”. La nostra ragione è poca: “Se la nostra vista si ferma lì, l’immaginazione deve procedere oltre;  e si stancherà prima lei d’immaginare che la vita di darle esca”.
L’uomo è incapace di verità, ma lo sa; è il piccolo-grande uomo di Pascal.
Nell’infinitamente grande come nell’infinitamente piccolo.
I “Pensieri” in qualche modo sempre si riconnettono a Dio – esistenza, natura, etc.- ma in forza dell’io.
 
Marx – Si può dire l’ultimo platonico – platonista. Non in amore, in politica: fautore della filosofia (rivoltata, ma pur sempre filosofia, completa, totale) in politica: della soluzione definitiva e quasi finale.
 
Possesso – Giacomo Debenedetti ne irride l’idea (nel saggio “Con gli occhi chiusi”, in “Il personaggio-uomo”), per irridere il naturalismo in letteratura – che legge solo in Zola, non per esempio in Balzac – ricorrendo a Proust, là dove “in un episodio amoroso della «Recherche», dice che la parola possesso è assurda, mitologizza qualche cosa di impossibile”. E le mille pagine di Proust su Albert-Albertine, sulla gelosia?
Il possesso del critico è l’avarizia - che Debenedetti etichetta di capitalismo, era l’aria dell’epoca, anni 1960, ma più esatto sarebbe del collezionista - anche se Chatwin, “Utz”, ha reso il collezionista simpatico. Ma il possesso esiste, anche mentale, per gelosia, misantropia, ipocondria – non c’è altra ratio nei tanti delitti che si succedono in suo nome, dove non c’entra l’avarizia o il capitalismo del critico Debenedetti. Ed è aggressivo, seppure si presenti come difesa.  

Riconoscenza - “I benefici ci sono graditi finché crediamo di poterli contraccambiare, ma se superano questa capacità, la riconoscenza si muta in odio” (Tito Livio, “Annali”, IV, 18). È normale, è spontanea, la domanda di aiuto nel bisogno. Altrettanto normale, spontanea, si riterrebbe  la riconoscenza quando l’aiuto è concesso, specie se risolutivo. Ma la somma degli aiuti costruisce ugualmente una torre di risentimenti: di constatazione reiterata, insistente, delle proprie insufficienze o incapacità, dell’altrui abbondanza, se non abilità, della serenità o comunque delle scarse angosce altrui a petto delle proprie, del destino avverso. 
 
Stasi - È combattimento – guerra civile – in Agamben. È stasi metafisica in Campanella. Le parole in filosofia sono inattendibili.
La filosofia è fatta per rovesciare il senso delle parole? Da qualche tempo sì, è l’unica forma di conoscenza, benché circolare, da gioco dell’oca.  

zeulig@antiit.eu

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