lunedì 13 luglio 2020
Secondi pensieri - 425
Auschwitz - Il contestato Adorno di Auschwitz,
“scrivere una poesia dopo Auschwitz è da barbari” (“Nach Auschwitz ein Gedicht zu schreiben ist barbarisch”), già
Hölderlin se lo chiedeva un secolo e mezzo prima:“Che ce ne facciamo dei poeti (wozu Dichter)
nel tempo del bisogno?”- peggio nell’originale: a che i poeti (wozu Dichter).
È verso di Hölderlin in un’elegia piana, “Pane e vino”, per niente apocalittica.
Che Heidegger legge come poesia della fine della poesia, dopo la fine di Dio.
Di un poeta che continuò a poetare anche nella follia, lunga più della sua vita
attiva.
Riconoscenza - “I benefici ci sono graditi finché
crediamo di poterli contraccambiare, ma se superano questa capacità, la
riconoscenza si muta in odio” (Tito Livio, “Annali”, IV, 18). È normale, è
spontanea, la domanda di aiuto nel bisogno. Altrettanto normale, spontanea, si
riterrebbe la riconoscenza quando
l’aiuto è concesso, specie se risolutivo. Ma la somma degli aiuti costruisce
ugualmente una torre di risentimenti: di constatazione reiterata, insistente,
delle proprie insufficienze o incapacità, dell’altrui abbondanza, se non
abilità, della serenità o comunque delle scarse angosce altrui a petto delle
proprie, del destino avverso.
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