Secondi pensieri - 425
zeulig
Auschwitz - Il contestato Adorno di Auschwitz,
“scrivere una poesia dopo Auschwitz è da barbari” (“Nach Auschwitz ein Gedicht zu schreiben ist barbarisch”), già
Hölderlin se lo chiedeva un secolo e mezzo prima:“Che ce ne facciamo dei poeti (wozu Dichter)
nel tempo del bisogno?”- peggio nell’originale: a che i poeti (wozu Dichter).
È verso di Hölderlin in un’elegia piana, “Pane e vino”, per niente apocalittica.
Che Heidegger legge come poesia della fine della poesia, dopo la fine di Dio.
Di un poeta che continuò a poetare anche nella follia, lunga più della sua vita
attiva.
Corpo - “Il corpo è uno
dei nomi dell’anima, e non il più indecente”, Marcel Arland, “Où le corps se
partage”.
L’immortalità
Quevedo, che pure è un antisensista, vuole nell’atto. Quello lì, proprio, alla
tedesca: l’atto generativo, o anche soltanto godereccio. Una kantiana
cosa-in-sé che fosse la copula. Anticipando Schopenhauer: “La copula sta al
mondo come la parola sta all’enigma”. Che è fatto per essere sciolto, tramite
la parola, e dunque il mondo è fatto per l’atto. Sostenere l’immortalità
attraverso la materia non è male.
Il corpo è lo
spirito è Schopenhauer, “Parerga e paralipomena”. E anche Mach, lo scienziato,
“L’analisi delle sensazioni e il rapporto tra fisico e psichico”, che dice suo
“principio guida” il “completo parallelismo tra ambito fisico e psichico”. E
anzi lo trova comunque valido: “Questo principio è quasi ovvio, ma
può essere posto come principio euristico anche senza il sostegno di questa
concezione di base”. Oppure Raffaello, come Rozanov lo vide: “Il corpo è
l’origine dello spirito”.
Disincanto - “La stagione del disincanto non nasce
con Weber e il Novecento, ma con Alberti, Machiavelli e Guicciardini, i quali
gettano sull’uomo uno sguardo tragico e senza illusioni”: Michele Ciliberto
sintetizza a Gnoli sul “Robinson”, 11 luglio, le sue riflessioni su
Machiavelli, da ultimo in “Niccolò Machiavelli. Ragione e pazzia”. È così –
anche se Ciliberto ne ricava una revisione radicale dell’Umanesimo, come di un’età
di crisi senza soluzione: “Sull’Umanesimo è a lungo prevalsa l’immagine di
un’epoca armoniosa e serena; in realtà è stato il tempo di una lunga crisi”.
Una crisi storica, “che ha cambiato il ruolo e la funzione della storia
d’Italia nella storia del mondo”. Perché, va aggiunto, l’Italia cristallizzò
nei principati, frazionalmente, divisivamente – ma, poi, i principati sono la
“gloria” storica dell’Italia, in Burckhardt e non solo. Ma anche, va ancora
aggiunto, in una storia che non sia solo cesarismo e imperialismo: si può dire
l’Umanesimo la grande età dell’intellighentsia
– tanto grande che ha generato equivoci per secoli, l’illuminismo compreso e
l’impegno sovietico.
È
un’epoca di crisi ricomponibile: di ricerca per superare la crisi – che culmina
per esempio nel
disincanto.
Diverso dalla crisi come stato stazionario, come liquido amniotico e insieme corpo
vivente, quale si mostra oggi, da decenni.
La stessa
Riforma, che è un movimento politico e non religioso (la religione rimane
nell’essenza la medesima), è solo
divisiva. Critica nel senso della crisi persistente, che alimenta per scopi
politici, essenzialmente di principi e principati – di chi si appropria che
cosa. È importante situare Weber nell’ambito germanico,e quindi di una certa
storia delle religioni, ma è più importante situare queste religioni.
Identità - “La più antica tentazione proteica
dell’uomo, quella della molteplicità”: Romain Gary, montando l’impostura del
suo alter ego “Émile Ajar”, la mette al centro del capolavoro del presunto
“Ajar”, “La vita davanti a sé”. Mettendo in scena una sorta di doppio, che
chiama Momo dal Momus esiodeo, il piccolo dio del sarcasmo: un giovane arabo
che non avendo padre né madre s’inventa la sua propria vita.
Io
-
L’“io indivisibile” è capace da solo di contrapporsi
all’universo infinito.“Tutto questo mondo visibile non è che un impercettibile
segmento dell’ampio cerchio della natura…Nessuna idea le si avvicina. Abbiamo
voglia di gonfiare le nostre immaginazioni al di là degli spazi immaginabili;
non riusciamo che a generare atomi, in paragone alla realtà delle cose”. È
parte del pensiero di Pascal n. 72, “Sproporzione dell’uomo”. Il mondo “è una sfera il cui centro è
dappertutto, la circonferenza in nessun luogo”. La nostra ragione è poca: “Se
la nostra vista si ferma lì, l’immaginazione deve procedere oltre; e si stancherà prima lei d’immaginare che la
vita di darle esca”.
L’uomo è incapace di verità,
ma lo sa; è il piccolo-grande uomo di Pascal.
Nell’infinitamente grande
come nell’infinitamente piccolo.
I “Pensieri” in qualche modo
sempre si riconnettono a Dio – esistenza, natura, etc.- ma in forza dell’io.
Marx
–
Si può dire l’ultimo platonico – platonista. Non in amore,
in politica: fautore della filosofia (rivoltata, ma pur sempre filosofia, completa,
totale) in politica: della soluzione definitiva e quasi finale.
Possesso – Giacomo Debenedetti ne irride l’idea (nel
saggio “Con gli occhi chiusi”, in “Il personaggio-uomo”), per irridere il
naturalismo in letteratura – che legge solo in Zola, non per esempio in Balzac
– ricorrendo a Proust, là dove “in un episodio amoroso della «Recherche», dice
che la parola possesso è assurda, mitologizza qualche cosa di impossibile”. E
le mille pagine di Proust su Albert-Albertine, sulla gelosia?
Il possesso del
critico è l’avarizia - che Debenedetti etichetta di capitalismo, era l’aria
dell’epoca, anni 1960, ma più esatto sarebbe del collezionista - anche se
Chatwin, “Utz”, ha reso il collezionista simpatico. Ma il possesso esiste,
anche mentale, per gelosia, misantropia, ipocondria – non c’è altra ratio nei tanti delitti che si succedono
in suo nome, dove non c’entra l’avarizia o il capitalismo del critico
Debenedetti. Ed è aggressivo, seppure si presenti come difesa.
Riconoscenza - “I benefici ci sono graditi finché
crediamo di poterli contraccambiare, ma se superano questa capacità, la
riconoscenza si muta in odio” (Tito Livio, “Annali”, IV, 18). È normale, è
spontanea, la domanda di aiuto nel bisogno. Altrettanto normale, spontanea, si
riterrebbe la riconoscenza quando
l’aiuto è concesso, specie se risolutivo. Ma la somma degli aiuti costruisce
ugualmente una torre di risentimenti: di constatazione reiterata, insistente,
delle proprie insufficienze o incapacità, dell’altrui abbondanza, se non
abilità, della serenità o comunque delle scarse angosce altrui a petto delle
proprie, del destino avverso.
Stasi - È
combattimento – guerra civile – in Agamben. È stasi metafisica in Campanella.
Le parole in filosofia sono inattendibili.
La
filosofia è fatta per rovesciare il senso delle parole? Da qualche tempo sì, è
l’unica forma di conoscenza, benché circolare, da gioco dell’oca.
zeulig@antiit.eu
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