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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (435)
Giuseppe Leuzzi
A metà della “Tragedia del Korosko”, il
romanzo del fondamentalismo islamico di fine Ottocento, Conan Doyle si interroga
- p. 86: “Se un impulso comune li travolgesse, se un grande condottiero o una
guida carismatica si levasse in mezzo a loro e si servisse del materiale
eccezionale a sua disposizione, chi potrà affermare che non sarà proprio questo
lo strumento con il quale la Provvidenza spazzerà via il corrotto, decadente,
apatico Meridione d’Europa, come fece migliaia di anni fa, per fare spazio a
una stirpe migliore?”
A proposito delle forniture Covid, un business da dieci miliardi: “In
Lombardia il 35 per cento dei bandi è stato annullato o revocato” – “Corriere
della sera”. Per non “trasparenza”. Erano cioè bandi per gli amici. Uno su tre.
E non c’entra la mafia.
Sudismi\sadismi
Il porto di Gioia Tauro è al primo posto
in Italia per connettività, per collegamenti con gli altri porti minori, da
stazione di transhipment. È la graduatoria
di Mds Transmodal, che fa testo nel settore, in collaborazione con l’Unctad. Gioia
Tauro è al terzo posto per connettività nel Mediterraneo, al dodicesimo in Europa,
e al trentaquattresimo nel mondo. Merito anche del gestore terminalista, la Msc
del gruppo svizzero-napoletano Aponte. Di questo primato c’è notizia solo nei
quotidiani locali, nemmeno una breve altrove.
“Inizio delle lezioni in ordine sparso.
Il Nord punta al 14. Al Sud il fronte del 24 settembre”, “Corriere della sera”.
La virtù sta a Nord. Ma nel mezzo non c’è il voto, le scuole occupate dai seggi?
Si apre il 14 per chiudere il 17, e riaprire il 24.
Il
Sud del Nord
Scandalo al “Quotidiano del Sud” -
“l’altra voce dell’Italia” del lombardista pentito Roberto Napoletano - per
Straberry, la start-up del bocconiano Guglielmo Stagno d’Alcontres, che a
vent’anni s’inventò frutta e verdura dal campo a casa, entro 15 km. da piazza
Duomo, allevata in serre a pannelli solari e recapitata in apecar, meritandosi
nel 2013 e 2014 il premio Oscar Green della Coldiretti, e arrivando a fatturare a
trent’anni sette milioni, finito sotto processo a trentadue per caporalato, per
“sistematico sfruttamento illecito della manodopera agricola a danno di circa
100 lavoratori extracomunitari”. Una vergogna, tuona il quotidiano. Solo che
Stagno d’Alcontres suona messinese.
È anche vero – ma il “Quotidiano del
Sud” nella foga non se lo chiede – che solo Stagno d’Alcontres pratica il
caporalato in Lombardia. Non perché è un bocconiano tarato, oriundo siciliano?
Ma è pure vero che – secondo l’accusa –
pagava i braccianti solo 4,50 l’ora. Cioè quanto al Sud si paga un bracciante
del Sud senza qualifica, pura manovalanza.
Se
il Sud è dialettale
Il ritorno del dialetto è leghista. Con
la ridicola fioritura di paline stradali nelle Venezie e altrove che ripetono
le denominazioni italiane in un dialetto che è la dialettizzazione dell’italiano,
non un algtro nome o un’altra identità. Il dialetto cioè è un’impuntatura,
prima che il riacquisto o la concelebrazione dell’identità, smarrita o negata.
Ci sono anche molti contro il riuso dei
dialetti. Uno è l’imprecisione o indefinitezza, della pronuncia e quindi del
concetto. Si ricordi il Don Cicce, sillabazione
errata, per don Cicciu, adottata da Guido Morselli in “Divertimento 1989” per
familiarizzare l’appellativo di un amico del protagonista, il re Umberto I in
vacanza in Svizzera in disguise. Morselli, che ha
larga conoscenza dei dialetti, e ne fa largo uso nei suoi romanzi (prima o dopo
Gadda e Pasolini? la filologia di Morselli làtita), fa chiamare Francesco
Mélito duca di Portosalvo familiarmente dal suo amico il re Umberto I “don
Cicce” – “non lo dovere chiamare eccellenza, no, don Cicce”, raccomanda ad alcuni
commensali del “Divertimento 1889”. Ma a Porto Salvo il duca sicuramente non lo
chiamavano don Cicce. Morselli si piccava di conoscere il calabrese
per essere stato militare di leva su è giù per la regione, ma in nessun
dialetto calabrese si sfumano le terminazioni, la-le sillaba-e finale-i.
Però,
è vero che Napoli, luogo per antonomsia dei duchi e dei baroni, don Francesco
avrebbe potuto essere, sarebbe stato, don Cicce. Questo è un difetto
napoletano, di parlare cantando. Più che sillabe emettendo suoni, distinti ma
inarticolati.
Questo
è il problema dei dialetti. Che per essere ricchi sono sfumati. Imprecisi.
Forse per questo si costruisce poco dove si parla dialetto, per
l’imprecisione. La scienza e la tecnica vogliono essere precise.
Venite,
adoremus
Si fatica a capire perché l’immigrazione
selvaggia non venga mai considerata sotto il suo aspetto reale: un mercato di
esseri umani, a opera di trafficanti di nessuno scrupolo, che li sfruttano alla
partenza, durante il,viaggio, e per l’ultima traverstata, dove molti, centinaia
ogni anno, muoiono annegati Per offrire braccia a costo minimo alle famiglie, ai
campi, ai ,lavori minuti, e come manovalanza nelle fabbriche. No, di questo non
si parla mai, in nessuna sede.
Di più sorprende il silenzio della
chiesa. Che per mille antenne sa di che si tratta: Si può presumere il governo ignorante,
il Di Maio-S alvini come il Di Maio-Zingaretti, ma la chiesa sa tutto,
attraverso le sue missioni, i diplomatici, le sue ong, i suoi vescovi e
sacerdoti, ben radicati in Africa, e ora anche in Asia. Ma non lo dice, si
limita ad appellarsi al buon cuore. Come se fosse quello che manca.
Un’attitudine razzista, anche, sotto le
buone intenzioni. Che all’africano guarda come al “bovero negro”, non a gente volenterosa
e forte, moralmente, e anche più veloce di mente e di cuore. Sempre e solo la messa
cantata, di buoni, buonissimi, sentimenti. È sempre e solo Natale, anche con i
barconi rovesciati e i corpi ai pescecani - invece dei pastori i “boveri”
africani.
Tra
Scilla e Cariddi vince il Giappone, non da ora
La pesca del pesce spada e del tonno
rosso, vanto dello Stretto, fino a “Horcynus Orca” e anche dopo, la fa il
Giappone. Lo sapeva Pasquale Clemente già una trentina d’anni fa, se non
quaranta, un amico che poi è morto, vecchio frequentatore di Stromboli, che il
pescespada e il tonno tra Calabria e Sicilia veniva pescato dai giapoensi:
“Hanno imbarcazioni elettroniche, non vanno con le spadare, non aspettano il
pesce nelle tonnare. Pescano o sbafo, il
mare non è protetto, per un mercato che pare sia ricchissimo: il pesce spada da
loro e il tonno rosso, di una certa qualità, quella dello Stretto, vanno a peso
d’oro. A Vibo la mattina (il dialogo si svolgeva in Calabria) fanno loro il
mercato: a prezzi normali, ma vendono i resti. O varietà che dicono locali e
invece vengono dagli oceani”.
Sembrava la solita esagerazione di
Pasquale, “nulla di buono in Calabria”, e invece ora “la Repubblica” ci fa
un’inchiesta a otto mani, di Bonini con Fraschilla, Palazzolo e Sandra Scarafia,
che conferma tutto, nei dettagli. Compresa la vendita in Italia di tonno e
pesce spada atlantico o indiano. Impressionante. Che tutto si sapesse ma a
nessuno interessasse. Una ricchezza enorme buttata via. A Tokyo si è battuto il tonno - se ne fanno aste - a 3,1 milioni di dollari per 278 kg. di peso lordo, con coda, pinne e testa.
Impressionante che in trent’anni, o
quaranta, niente è stato fatto che contrastasse la pirateria giapponese. E
tuttora niente si faccia, in omaggio alla libertà di navigazione e di pesca.
Si capisce anche che il Sud non decolli
mai. Si fosse trovata questa riserva di pesca tra le coste venete e romagnole,
come sarebbe andata? Il Sud – questa la verità – non sa nemmeno di essere, a
parte le lagne.
leuzzi@antiit.eu
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