Con la Cina niente da dire
Singolare mancanza di argomenti tra Di Maio e
il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, che ha aperto a Roma una tournée che si voleva storica in Europa. A Roma non
solo, dove non si fa politica estera, ma poi a Parigi e Berlino.Di che parlare
in effetti? Degli affari? Non sono cosa da Esteri, vanno avanti per le
convenienze, e non hanno bisogno di spinte finché dura la convenienza – oggi
tutti hanno interesse a produrre in Cina, costa poco o niente per la stessa
qualità. Di Hong Kong non si può parlare, la Cina non vuole. La Cina vorrebbe
parlare male degli Usa, ma con Di Maio non si può.
Tanto più freddo l’incontro sullo fondo del
treno speciale, con “materiali per prevenire la pandemia”, ulteriore regalo di
Pechino, arrivato a Milano mentre il ministro degli Esteri sbarcava a Roma, il
China-Europe Express “Chang’an”. Mentre Grillo, mentore e capo di Di Maio,
esaltava la Cina e attaccava gli Usa sul suo blog – la faceva esaltare, con
apparente acribia, da un professore dichiarato filocinese, Fabio Massimo
Parenti.
I rapporti con la Cina sono arrivati al loro
limite. Sono e saranno economici e finanziari, anche intensi, ma non altro. È
un fatto, inscalfibile. Alla Farnesina dicono curioso che il realismo cinese
non lo capisca – a meno che il presidente Xi non abbia perso, o stia perdendo,
il senso della misura che ha caratterizzato la leadership cinese dal presidente
Wang in poi, ormai quasi quarant’anni: Trump lo ha sfidato, vuole vedere le
carte cinesi, e anche senza Trump la sfida andrà avanti.
La Cina è vicina, è anzi in casa da anni, il
maggiore investitore estero in Italia, più dei tedeschi o degli svedesi, o
degli americani, che poi non investono tanto all’estero. Ma più di tanto non
può fare.
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