mercoledì 26 agosto 2020

Il mondo com'è (408)

astolfo

Carlo V – Si può vederlo anche – quale fu – come un incredibile seminatore di distruzioni. In Italia, nelle Fiandre, contro la chiesa – bene o male matrice europea. Non fu munifico, non fu mecenate, malgrado i grandi domini e le grandi ricchezze accumulate – prendeva anzi sempre a prestito, senza restituire - ma avido, sempre all’opera solo per sé. Chiese? Palazzi? Monumenti? Quadri, statue, giardini? Distruttore dell’Italia quando l’Italia tentò di erigersi a nazione.
L’ “Enciclopedia dei ragazzi” Treccani si limita a dirlo, a opera di Massimo L. Salvadori, “uno dei più grandi sovrani della storia moderna”. Con un apprezzamento: “Sognò di creare una monarchia universale in grado sia di garantire un ordine politico pacifico...” etc. Ma un tribunale internazionale oggi lo farebbe criminale di guerra: ordinò il “sacco di Roma”, con abusi di ogni sorta, la città del papa che diceva di voler difendere, prese Firenze a tradimento, vinse sempre ma mai con una battaglia, solo inganni e violenze.
 
Conan Doyle - – Fu presto spiritista, convinto e  militante, e lo restò tutta la vita. Nell’ultima intervista che diede, nel 1929, prima di morire, un’intervista filmata “Movietone” della Fox, era presentato così: “Sir Arthur Conan Doyle è famoso in tutto il mondo per le sue storie di Sherlock Holmes. Ha dedicato gli ultimi quarant’anni a studiare lo spiritismo ed è uno dei maggiori sostenitori dell’esistenza degli spiriti e della possibilità di comunicare con l’aldilà”.
Lo spiritismo fu l’esito della dichiarata passione per le cose scientifiche. Fu per tre quarti della sua esistenza una sorta di portavoce letterario del positivismo, per quanto concerne la teosofia e lo spiritismo. Con pubblicazioni, studi, racconti, polemiche, e numerose missioni apostoliche, in tutti gli Stati del Commonwealth, nell’Africa britannica, in Francia – benché alieno dallo spitirismo francese, di Kardec, seguace di Madame Blavatsky, perché contemplava la resurrezione in cui non credeva.
A diciassette anni decise di abbandonare il cattolicesimo, nel quale era nato ed era stato educato, dai gesuiti, per le scienze positive. La cattolicissima famiglia irlandese (Conan Doyle è nato a Edimburgo da genitori venuti d’Irlanda) era peraltro credente nelle fate, gli gnomi e gli elfi: la madre ne era grande fabulatrice, lo zio Richard Doyle illustratore rinomato di libri di fate, il padre Charles Altamont Doyle finito presto in manicomio non farà che disegnare fate, sirene, elfi – a un prozio, padrino di battesimo, Michael Conan, deve il secondo nome Conan, da mito nordico. Il futuro creatore di Sherlock Holmes era cresciuto disinibito, in un certo senso un irregolare pur nell’ordinato cursus formativo. Appena iscritto a Medicina s’imbarcò per sette mesi come medico di bordo su una baleniera.
Le scienze positive subito però il futuro autore di Sherlock Holmes coniugò con lo psichismo. A ventun’anni nel 1880 cominciò a frequentare sedute spiritiche. Quindi si occupò del mormonismo, e di teosofia, nel quadro, dirà nelle memorie, della sua “ricerca della religione positiva”. In teosofia fu seguace di Alfred Percy Sinnett, discepolo anche lui di Madame Blavatsky, ma con riserve sulla reincarnazione. Massone nel 1887, vicino ai Rosacroce. E spiritualista nel mentre che crea Sherlock Holmes: “Uno studio in rosso”, la prima avventura, è scritto nel 1886 (pubblicato nel 1887), quando rompe col mormonismo, per via della poligamia, ma contemporaneamente si professa, in lettere personali e pubblica, spiritualista convinto, per essere positivista convinto – come molti positivisti, in Italia Lombroso. Aprì prima della Grande Guerra una libreria spiritista, il Psychic Bookshp, nella centralissima Victoria Street, davanti a Westminster,che affidò alla figlia Mary. Alla libreria volle affiancata un’attività editoriale, la Psychic Press.
Una biosintesi lo direbbe dottore (medico), romanziere, drammaturgo, storico militare, patriota (fu corrispondente di guerra sul fronte francese all’inizio della Grande Guerra, nella Guerra Boera, di cui cui sarà lo “Storico”, dal punto di vista britannico, rifiutato all’arruolamento per l’età, partecipò come direttore di un ospedale da campo), sportivo, sostenitore di cause umanitarie, polemista, inventore, creatore di Sherlock Holmes, infine capo del Movimento spiritista britannico e conferenziere per esso in tutto il mondo di lingua inglese, “partendo da una posizione di relativo materialismo”, come dice nelle memorie.
In settantun’anni scrisse una  quarantina di libri, un centinaio di novelle, una dozzina di commedie, una storia della guerra dei Boeri in Sud Africa, una storia della Grande Guerra in sei volumi. “I suoi successi di atleta”, scrive un biografo, “non furono meno notevoli. Primeggiò nella  boxe, giocò a cricket nella squadra di un club famoso, fu un pioniere al volante di un’automobile, esperto giocatore di biliardo, e introdusse lo sci norvegese in Svizzera”.
Solido si direbbe, scrittore multiforme, e impegnato in ogni sorta di causa, per i diritti, ma anche stolido, uno che credeva a tutto, scriveva lettere ai giornali, e viveva attivissimo e isolato nella Londra di Oscar Wilde, G.B.Shaw, H.G.Wells. Nel 1916 annuncia pubblicamente la sua “conversione allo spiritismo”, con una seconda moglie, Jean, che gioca alla medium. Nel 1928 presiede a Londra il Congresso Spiritista Internazionale. Jean provocò un mezzo scandalo con Houdini, già amico di Conan Doyle: gli trasmise un messaggio della madre morta, che parlava in inglese e aveva una croce sul petto, suscitando lo sdegno dell’illusionista, perché sua madre era ebrea, e non parlava l’inglese.
 
Uno speciale rapporto il creatore di Sherlock Holmes ebbe con Crispi, anche lui positivista spiritista, che nel 1895 lo fece insignire dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Mauriziano, o della Corona d’Italia. Fu la prima onorificenza ufficiale per Conan Doyle. Concessa dopo la pubblicazione su “Il Giornale”, uno dei tanti controllati da Crispi, fra il 31 gennaio e il 9 febbraio dello stesso anno, della prima traduzione italiana di Conan Doyle e Sherlock Holmes, il racconto “Il trattato navale”. Cl titolo “Il furto del trattato”. E con l’aggiunta di una coda, in cui si legava il  racconto all’attualità, cioè alle preoccupazioni francesi per un (inesistente) trattato navale tra Italia e Gran Bretagna.
Sul cavalierato di Crispi si dilunga la narrazione biografica, “The true Conan Doyle”,  di Adrian Conan Doyle, il figlio più giovane dello scrittore, nato dalla seconda moglie, Jean. Mettendo in rilievo che arrivò prima dell’analogo riconoscimento britannico, quello che gli darà iltitolo di Sir, che lo scrittore permaloso accetterà con riluttanza – il cavalierato britannico fu riconosciuto a Conan Doyle nel 1902 non per Sherlock Holmes ma per la sua difesa della Gran Bretagna nella Guerra Boera. Dell’onorificenza italiana Conan Doyle invece fu lusingato. Ne parlò con la prima moglie, che però morì subito dopo l’arrivo del cavalierato. E ne scrisse il 24 aprile 1895 ad un’amica, Amy Hoare, dal Grand Hotel Belvedere di Davos, con ironia ma non del tutto: “Sapete, signora, che sono ora un Cavaliere – ma forse solo della Cavalleria Rusticana? Il Governo italiano si è mostrato così illuminato da farmi Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Pensavo fosse uno scherzo ma mi è arrivata invece una grossa medaglia – pardon, decorazione –me penso che sia tutto in regola”.
Adrian Conan Doyle spiega che sia il padre che Crispi erano massoni. E dice che “Il trattato navale” fu stampato in italiano molto dopo, nel numero di novembre-dicembre 1904 de “Il Romanzo Mensile”. Ma ricerche recenti, di Roberto Pirani e Philip Weller, anno tracciato la prima pubblicazione – di cui copia anastatica è stata distribuita al convegno “Il significato dell’insignificante”, 6-8 dicembre 2008 a Villa Mirafiori (Sapienza) a Roma, come n. 3 della collana di Anglistica “Studies in scarlet”, dell’Associazione Uno studio in Holmes.

Italietta –Si dice l’Italia di Fine Secolo-primi del Novecento, fino alla Grande Guerra. Confluita dopo la guerra nel fascismo, senza resistenze o problemi, se non con voluttà. Con molti punti di contato con l’attualità. L’abdicazione alla politica. Un ceto politico improvvisato e inconsistente - sotto il Padre Padrone Giolitti, l’unico che sapeva di che si trattava. Una politica estera presuntuosa e vacua. Un mercato del lavoro debole – fatto di emigrazione allora, invece che di immigrazione, come oggi, ma sono due facce della stessa medaglia. Senza eccellenze nelle lettere e nelle arti: i sei volumi della “Letteratura della nuova Italia”, dove Croce ha raccolte le recensioni di quei decenni, si sfogliano singolarmente vuoti, se non per il tardo Pirandello e il primo D’Annunzio – di millecinquecento pagine e un centinaio di autori poco o niente rimane. L’Italia ha questa fasi di astinenza?

Mazzini – È stato del tutto dimenticato nei tre quarti di secolo della Repubblica, di un’Italia unita fortemente aperta alle istanze sociali popolari, specie quelle operaistiche, di cui fu l’apostolo. Anche col terrorismo, bombe, regicidi. Benché profondamente religioso.
Tutto il processo nazionale, dell’unificazione, la Repubblica ha trascurato. Si ricorda ancora Garibaldi, a proposito e a sproposito, Cavour poco, Mazzini niente – se non per qualche manifestazione del Msi-Allenza Nazionale al Gianicolo, in ricordo della Repubblica Romana del 1849. Non lo amavano i Savoia, ma nemmeno Mussolini. L’ultima “Vita di Giuseppe Mazzini” è di Jessie White Mario, 1891. Fu personaggio carismatico in tutta Europa, dall’Austria-Ungheria a Parigi e a Londra. Vestiva di nero, in segno di lutto per la patria oppressa. Esordì a 25 anni con un saggio letterario, ”Dell’amor patrio di Dante”, ed entrò nella Carboneria. Di cui divenne l’animatore. Senza però entrare nella massoneria. Finirà rispettato (temuto) da Metternich, il Restauratore d’Europa dopo la caduta di Napoleone, che nelle”Memorie” lo fa il Nemico per eccellenza: Napoleone, imperatori, re, papi, “nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome Giuseppe Mazzini”.
Nacque francese: Genova era il capoluogo del dipartimento di Genova che Napoleone aveva appena istituito, una settimana prima della sua nascita, nel 1805. Fu molto legato alla madre Maria Drago, una fervente giansenista. Crebbe con la passione letteraria. Sarà amico, tra i tanti, di George Sand, e nel lungo soggiorno londinese di Mary Shelley, Dickens, Swinburne, Carlyle, John Sturat Mill.
Il primo arresto lo subì dai Savoia, da Carlo Felice, che ancora non erano per l’Italia unita, nel 1830. Dopodiché cominciò un esilio durato tutta la vita - eccetto i brevi mesi della Repubblica Romana e gli ultimi due anni di vita, dapprima da amnistiato poi da latitante. Subito dopo la liberazione nel 1830 fondò, da Marsiglia, la Giovine Italia, per l’unità d’Italia e la repubblica. Nel 1833 Carlo Alberto di Savoia lo fece condannare a morte in contumacia. A lui Mazzini si era rivolto con una lettera aperta, firmata “un italiano”. Fu in Svizzera, dove alla Giovine Italia affiancò, nel 1834 a Berna, la Giovine Europa, e a Londra. A Roma per la Repubblica Romana. Ebbe due condanne a morte: a Genova per dei moti falliti nel 1857, e a Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III. Fu eletto a Messina deputato al nuovo Parlamento di Firenze nel 1866. Tre volte, le prime due volte essendo state annullate dalla Camera per le condanne pregresse - la terza volta fu Mazzini a rifiutare l’elezione, per non prestare giuramento alla monarchia.

astolfo@antiit.eu






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