La natura è pericolosa
La
natura non è maestra. La divinità secolare del Millennio non ha nulla da
insegnare: tentare di vivere come natura comanda, immaginariamente poiché
niente avviene senza l’artificio umano, non porterebbe al paradiso terrestre ma
metterebbe a rischio la società, la salute, l’ambiente stesso. "Come la fede nella bontà della
natura porta a mode dannose, leggi ingiuste e scienze errate”, è il sottotitolo.
Un trattato morale sul concetto
di natura e naturale. Che sono “un’etica mercenaria che ognuno può prendere in
prestito per combattere la sua causa”. Mentre ci vuole attenzione a trasformare
l’“è” crudo della natura in un “dovrebbe” politico e religioso. Questo
l’assunto fondamentale. Quasi un sermone, di uno storico delle religioni. Ma è
vero che l’ecologia è un mercato, il più fiorente di tutti, e che l’ecobusiness
si fa gioco della buona fede: naturale è la parola chiave per una serie si può
dire interminabile di piccole e grandi truffe. E per gli spiriti semplici una
lettura del mondo pericolosa, oltre che sbagliata.
Collaterali sono questioni
comunque sensibili anche se non decisive. “Naturale” può essere privilegio di
classe in tutti gli aspetti modaioli. P.es. dei borghesi che dicono innaturali
i vaccini. Per non dire del “naturale” inteso come “indigeno” o “primitivo”,
come nel caso della “nascita naturale”, della maternità senza l’ausilio di
antidolorifici.
In generale, Levinovitz mette in
guardia contro l’idea della natura maestra morale, un’idea poetica, di Wordsworth,
Thoreau, Whitman, che hanno legato il piacere di vivere nella natura a una
sorta di pedagogia naturale che fa l’uomo migliore e capace di prendere le
decisioni migliori. È improprio e rischioso associare “naturale” e “buono”: “La
naturalità è un continuo, e può essere molto difficile decidere dove qualcosa
esiste in quel continuo”, si propone, regolamenta.
Alan Levinovitz, Natural: The Seductive Myth of Nature’s
Goodness, Profile, pp. 272, ril. € 22,20
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