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L’epidemia memetica
“Epidemie di memi” è il primo
capitolo. Non letali come il coronavirus, ma ugualmente contagiosi. “Genetica e
virologia di idee, credenze e mode” è il sottotitolo – la virologia è
dappertutto, come il vecchio occhio di Dio. È un po’ “Dungeons&Dragons”, ma
serioso. Una “Strategia&Tattica” mirata: “Il gioco è semplice: persuadere,
influenzare, convincere”, senza che nessuno se ne accorga.
Il meme è concezione recente,
coniato e utilizzato dall’etologo superdarwinista e principe dell’ateismo
Richard Dawkins soprattutto nella sua crociata dalla pia Oxford contro Dio e le
fedi, ma è subito entrato nell’Oxford Dictionary, già negli ani 1990: “Un
elemento di una cultura che può considerarsi trasmesso da mezzi non-genetici,
in particolare dall’imitazione”. Prima di Dawkins l’antropologo americano F
.T.Cloak, “Is a Cultural Ethology possibile?”, 1975, prospettava dei
“corpuscoli di cultura”, che si insinuano nella mente e si comportano da
padroni o “simbionti”, servi padroni. Un saprofitismo culturale, si potrebbe
dirlo. Dawkins subito poi, ne “Il gene egoista”, 1976, ribaltò l’evoluzione
dalla specie al gene, all’insiemistica del gene, la più piccola porzione del
dna. Il ribaltone doppiando, all’ultimo capitolo, con l’idea di un protagonista
dell’evoluzione anche culturale, del livello dei geni, e altrettanto invisibile
e insidioso, il meme: “Io credo che un nuovo tipo di replicatore sia emerso di
recente proprio su questo pianeta. Ce l’abbiamo davanti, ancora nell sua
infanzia, ancora goffamente alla deriva, nel suo brodo primordiale ma già
soggetto a mutamenti evolutivi a un ritmo tale da lasciare il vecchio gene
indietro senza fiato”.
Fantascienza, ma quanto reale:
internet era già attivo, seppure sprimentalmente, e presto sarebbero arrivati i
social, i riproduttori illimitati. Non astrusa: “Esempi di memi sono melodie,
idee, mode, frasi, maniere di modellare avvisi o costruire archi”. L’arte,
cioè, è antica. Ma evolutiva: “Esiste un’analogia”, può sintetizzare Ianneo,
“tra evoluzione memetica ed evoluzione genetica” - che lo stesso Dawkins aveva
intanto già sistematizzato, in “Viruses of the Mind”, 1993.
Un libro di vent’anni fa, che non
ha bisogno di aggiornamento, la realtà era tal quale già nel 1999, o si poteva
intravedere possedendo certi strumenti: “La rete rappresenta una società fluida
e non gerarchica, dove esistono degli eroi ma non dei capi, dove ancora ognuno
è libero di sparare i suoi virus in pasto agli altri”. Molteplici, già a fine
Novecento, gli “esempi di e contagi
comportamentali e mentali che si verificano quotidianamente sotto gli occhi di
tutti”.
Virus informatici, biologici e
mentali. Prodotti “in evoluzione progressiva”. “Nuovi «mutanti» (sia random
che progettati dagli uomini”, notava Dawkins nel 1993, “più abil nel
diffondersi saranno sempre più numerosi, e si aiuteranno mutuamente, “come
fanno geni”. Replicatori darwiniani e,
insieme, agenti patogeni. L’imitazione, “alla base della stessa etimologia del
meme”, ne è il motore. Incontrollabile, non c’è quarantena possibile – “gli
sternuti mentali si propagano con enorme facilità”. Portatori le religioni, le
sette, le leggende metropolitane, il sovraccarico d’informazione”. I memi sono
“perfetti venditori ambulanti”, importuni, nonché “trasformisti inimitabili e
camaleonti raffinatissimi”, ma simpatici. “I media costituiscono l’habitat
principale dei virus mentali del Duemila”.
La memetica, dunque, una scienza
dei virus mentali. Non molto di più se ne è saputo da allora, non di carattere
scientifico.ma una nuova discipina è nata. E questo è solo l’inizio:
“Un’ipotesi ai suoi albori”, la dice Ianneo. Un dottore di ricerca di Filosofia
allora a Tor Vergata, esperto di Intelligenza Artificiale, che un po’ teme i
memi un po’ ci spera – oggi professando nel Marketing Virale e nelle Campagne
Pubblicitarie Innovative. Un visionario anche lui, che espandeva convinto il
verbo. Pur cauteloso, mettendo in continuazione in guardia. Benché ancora, fine
Novecento, non esistessero facebook, quello specchio universale delle smorfie,
con instagram, tiktok, e ogni altra espressione di vanità, twitter, hater,
fake news, influencer – si può leggere “meme” anche come me-me, l’io über alles, la vanità dilagante, che si
pensa padrona del mondo ed è solo contagiata.
Francesco Ianneo, Meme, Castelvecchi, pp.223 € 9
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