lunedì 10 agosto 2020

L’epidemia memetica

 “Epidemie di memi” è il primo capitolo. Non letali come il coronavirus, ma ugualmente contagiosi. “Genetica e virologia di idee, credenze e mode” è il sottotitolo – la virologia è dappertutto, come il vecchio occhio di Dio. È un po’ “Dungeons&Dragons”, ma serioso. Una “Strategia&Tattica” mirata: “Il gioco è semplice: persuadere, influenzare, convincere”, senza che nessuno se ne accorga.
Il meme è concezione recente, coniato e utilizzato dall’etologo superdarwinista e principe dell’ateismo Richard Dawkins soprattutto nella sua crociata dalla pia Oxford contro Dio e le fedi, ma è subito entrato nell’Oxford Dictionary, già negli ani 1990: “Un elemento di una cultura che può considerarsi trasmesso da mezzi non-genetici, in particolare dall’imitazione”. Prima di Dawkins l’antropologo americano F .T.Cloak, “Is a Cultural Ethology possibile?”, 1975, prospettava dei “corpuscoli di cultura”, che si insinuano nella mente e si comportano da padroni o “simbionti”, servi padroni. Un saprofitismo culturale, si potrebbe dirlo. Dawkins subito poi, ne “Il gene egoista”, 1976, ribaltò l’evoluzione dalla specie al gene, all’insiemistica del gene, la più piccola porzione del dna. Il ribaltone doppiando, all’ultimo capitolo, con l’idea di un protagonista dell’evoluzione anche culturale, del livello dei geni, e altrettanto invisibile e insidioso, il meme: “Io credo che un nuovo tipo di replicatore sia emerso di recente proprio su questo pianeta. Ce l’abbiamo davanti, ancora nell sua infanzia, ancora goffamente alla deriva, nel suo brodo primordiale ma già soggetto a mutamenti evolutivi a un ritmo tale da lasciare il vecchio gene indietro senza fiato”.
Fantascienza, ma quanto reale: internet era già attivo, seppure sprimentalmente, e presto sarebbero arrivati i social, i riproduttori illimitati. Non astrusa: “Esempi di memi sono melodie, idee, mode, frasi, maniere di modellare avvisi o costruire archi”. L’arte, cioè, è antica. Ma evolutiva: “Esiste un’analogia”, può sintetizzare Ianneo, “tra evoluzione memetica ed evoluzione genetica” - che lo stesso Dawkins aveva intanto già sistematizzato, in “Viruses of the Mind”, 1993.
Un libro di vent’anni fa, che non ha bisogno di aggiornamento, la realtà era tal quale già nel 1999, o si poteva intravedere possedendo certi strumenti: “La rete rappresenta una società fluida e non gerarchica, dove esistono degli eroi ma non dei capi, dove ancora ognuno è libero di sparare i suoi virus in pasto agli altri”. Molteplici, già a fine Novecento, gli “esempi di  e contagi comportamentali e mentali che si verificano quotidianamente sotto gli occhi di tutti”.
Virus informatici, biologici e mentali. Prodotti “in evoluzione progressiva”. “Nuovi «mutanti» (sia random che progettati dagli uomini”, notava Dawkins nel 1993, “più abil nel diffondersi saranno sempre più numerosi, e si aiuteranno mutuamente, “come fanno  geni”. Replicatori darwiniani e, insieme, agenti patogeni. L’imitazione, “alla base della stessa etimologia del meme”, ne è il motore. Incontrollabile, non c’è quarantena possibile – “gli sternuti mentali si propagano con enorme facilità”. Portatori le religioni, le sette, le leggende metropolitane, il sovraccarico d’informazione”. I memi sono “perfetti venditori ambulanti”, importuni, nonché “trasformisti inimitabili e camaleonti raffinatissimi”, ma simpatici. “I media costituiscono l’habitat principale dei virus mentali del Duemila”.
La memetica, dunque, una scienza dei virus mentali. Non molto di più se ne è saputo da allora, non di carattere scientifico.ma una nuova discipina è nata. E questo è solo l’inizio: “Un’ipotesi ai suoi albori”, la dice Ianneo. Un dottore di ricerca di Filosofia allora a Tor Vergata, esperto di Intelligenza Artificiale, che un po’ teme i memi un po’ ci spera – oggi professando nel Marketing Virale e nelle Campagne Pubblicitarie Innovative. Un visionario anche lui, che espandeva convinto il verbo. Pur cauteloso, mettendo in continuazione in guardia. Benché ancora, fine Novecento, non esistessero facebook, quello specchio universale delle smorfie, con instagram, tiktok, e ogni altra espressione di vanità, twitter, hater, fake news, influencer – si può leggere “meme” anche come me-me, l’io über alles, la vanità dilagante, che si pensa padrona del mondo ed è solo contagiata.
Francesco Ianneo, Meme, Castelvecchi, pp.223 € 9

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